Capitolo 11 - Polizia e Confidenze

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Era passato più di un mese da quando avevo cominciato i turni di notte, tutto sembrava scorrere per il meglio.
Avevo poco tempo per stare con la mia famiglia e con gli amici, perché dormivo quasi tutto il giorno, ma andava bene così.
Lo stipendio era aumentato, per non so quale ragione, dato che non facevo mai nulla se non fare compagnia a Toby, eppure i 1300 dollari al mese erano diventati 1700, Bobby sosteneva che i turni di notte erano più impegnativi e che dovevo essere retribuito meglio, ma non sapevo per quale motivo non gli credetti.
Entrai nella clinica e appesi il giubbino di jeans all'appendiabiti, il caldo primaverile aveva preso il sopravvento sul freddo invernale e le fioriture di maggio non erano mai state così belle.
Salii le scale e salutai educatamente le poche persone che passavano. Finché un signore mi bloccò con una frase "Toby non c'è".
Aggrottai le sopracciglia "ma è giovedì, di solito non esce" affermai.
Lui scosse la testa lentamente "è venuta la polizia" sussurrò dispiaciuto.
Portai una mano alla bocca, per soffocare un'imprecazione di stupore.
Gli sbirri erano venuti a prenderlo, cosa sarebbe successo? Avevano scoperto che era tutta una farsa? Se così fosse sarebbero stati coinvolti tutti quanti i medici e infermieri.

"Volevano interrogarlo ancora riguardo la morte di suo padre" spiegò.
"Dopo sei anni cercano ancora informazioni?" domandai, senza aspettarmi una risposta, che sapevo già essere affermativa.
I poliziotti non erano stupidi, non avevano completamente bevuto la storia dell'infermità mentale.
Ora Toby doveva solo mostrarsi un bravo attore e fingersi pazzo, di nuovo.
Passai più di due ore nella stanza 17, leggendo un libro e non capendo nemmeno una parola. Stavo semplicemente sdraiato sul letto, impregnato dell'odore del castano e tentavo di estraniarmi dal mondo per non pensare.
Quando degli insulti arrivarono alle mie orecchie capii che era tornato.
"Mollami stronzo, so dov'è la mia camera!" sbraitò la sua voce rotta.
Compresi che stava piangendo e pensai che la polizia non avrebbe dovuto vedermi in camera sua, così mi alzai, cercando di levare le pieghe sulle lenzuola e mi nascosi in bagno.
Lasciai la porta socchiusa, per vedere cosa sarebbe successo.
Pochi istanti dopo Toby e un uomo con l'uniforme entrarono nella camera.
"Non mi freghi ragazzino" esordì il tizio spingendolo sul letto.
"E' da sei anni che mi state col fiato sul collo, avete rotto il cazzo" sibilò arrabbiato, mentre il poliziotto faceva cenno agli infermieri che la situazione era sotto controllo, facendo in modo di farli allontanare.
Deglutii da dietro quella porta bianca, pensando che Toby in quel momento sembrava tutto fuorché sano di mente, sembrava davvero un pazzo, con quegli occhi infuocati e brucianti di lacrime e la rabbia nelle vene.
Il poliziotto scosse la testa, continuando a fissarlo, non abbassava il suo sguardo nemmeno per un istante, fronteggiandolo ad ogni costo.
"Ti stanno tutti parando il culo, so che stai fingendo".
L'uomo ebbe uno scatto di rabbia e si avvicinò pericolosamente al castano, sobbalzai quando lo vidi prendere il colletto della maglietta di Toby tra le sue mani.
Mi venne voglia di urlare, quello era abuso di potere, cazzo.
Non poteva trattare un ragazzo in quel modo.
"Povero Jeremy" sussurrò Toby, accarezzando la spalla dell'uomo.
Non riuscii a capire se lo stesse prendendo in giro o era veramente dispiaciuto per lui.
Mi diede la conferma della prima ipotesi con la frase successiva "il mondo senza mio padre è un mondo migliore, caro piccolo Jeremy" lo schernì.
Il poliziotto si allontanò, guardandolo schifato.
"Dovresti essere contento che l'abbia ucciso, dopo tutte le denunce che ho fatto a voi stronzi e mai una volta siete venuti a casa mia per vedere com'era messa la situazione" lo accusò Toby, facendo abbassare la testa al poliziotto.
"Quante volte vi ho detto che era pericoloso e violento?" chiese, tirandogli poi un calcio sulla caviglia quando quello non rispose "QUANTE?" sbraitò alzandosi dal letto.
"Tante" ammise Jeremy.
"Avete aspettato che rapisse una bambina per intervenire ed è stato troppo tardi".
Ora Non sembrava più pazzo, sembrava un uomo adulto che rimprovera un bambino per aver mangiato una caramella prima di cena.
Stava incolpando quell'uomo per la sua vita andata in frantumi.
E credevo che avesse tutte la ragioni del mondo per rivendicare la sua adolescenza rubata.
"Signor Capo della Polizia" lo chiamò con un tono arrogante e pieno di disprezzo "è colpa sua se sono diventato un assassino".
L'uomo accusò il colpo.
"E' colpa sua se sono qua dentro e il minimo che lei possa fare adesso è smetterla di importunarmi".
In quel modo Toby diede la conferma al capo della polizia che non era pazzo, che non era più quel ragazzino con un coltello insanguinato in mano, a cavalcioni di suo padre, mentre – dopo anni di inferno – metteva fine alla sua vita.
"Mi dispiace di non aver fatto nulla" si scusò Jeremy.
"E' tardi per chiedere perdono" disse scuotendo la testa "si assicuri solo che non ricapiti ad altri e si ricordi che se qualcuno viene a denunciare non lo fa per divertimento".
Il poliziotto se ne andò, con la coda tra le gambe.
Lasciò Toby da solo e lo maledissi: in un momento così fragile nessuno dev'essere lasciato solo.

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