Capitolo 1

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Avevo preso la decisione. Me n'ero convinta, dopo tanto pensarci e ripensarci su.
Mi diressi nello studio di tatuaggi che si trovava infondo alla strada in cui abitavo; spesso ci passavo davanti e altrettante volte non avevo avuto il giusto coraggio. Per me fare quel che stavo per fare significava accettare la realtà e andare avanti. Per quel che potevo.
Almeno ci stavo provando.
Il campanellino tintinnò quando entrai; mi sentii piccola in un mondo che a malapena conoscevo. Era la prima volta per me entrare in un posto come quello. Camminai piano e mi sedetti aspettando il mio turno. Avevo telefonato quattro giorni prima prendendo appuntamento. Mi tremavano le mani e avrei voluto tanto interrompere quella chiamata, finché non aveva risposto un signore e perciò non potevo più comportarmi da maleducata.
Due sedie più in là c'era un uomo piuttosto grosso, la testa lucida e i baffi ben curati. Alzò lo sguardo dal giornale che teneva tra le mani e fece un cenno silenzioso col capo.
Ormai ero lì, non potevo scappare. Alla fine ne sarei stata orgogliosa, lo sapevo.
«Grazie Carl, e mi scuso ancora per non aver preso appuntamento...» una ragazza dai capelli rosso fuoco uscì dalla stanza tallonata da un signore con la folta barba che poteva essere sulla cinquantina. Era il tatuatore sicuramente.
«Non ti scusare, Debby. L'importante che tu ne sia soddisfatta.» rise di puro gusto, come se si conoscessero da tempo. Dalla voce capii che era lo stesso uomo con il quale avevo preso appuntamento. Aveva tatuaggi lungo tutte le braccia scoperte dalla canottiera e mi chiesi che sensazione fosse avere tutti quei disegni sulla pelle. Chissà quante storie raccontavano.
Io ero lì per raccontare la mia.
«Questo sicuramente! Guarda che bel gioiellino che ho aggiunto alla collezione!» mostrò allegra e soddisfatta la spalla ricoperta dalla plastica.
Ero nervosa, la mia gamba destra faceva su e giù senza sosta. Sospirai piano, cercando di tranquillizzarmi.
«Oh Marshall! Aspetti da molto?»
Sembrava si conoscessero tutti, piano piano l'ambiente sembrava divenire più caloroso e accogliente. Quel Carl pareva simpatico, la sua voce era calda e infondeva fiducia.
«No, non ti preoccupare.» fece spallucce, posando il giornale sul tavolino di vetro.
«Debby è arrivata senza appuntamento e ha scombussolato un po' le cose, dovevo avere te e la ragazza ma gli orari sono sballati.» si girò per farmi un sorriso e ricambiai impacciata senza aspettarmelo. Le mani sudavano dentro le tasche della felpa.
«Sei...» diede uno sguardo al quaderno sul bancone «... Camille?»
«Sì, sono io.» mi alzai lentamente.
«Tesoro, mi dispiace ma purtroppo non riesco a farti il tatuaggio.» si passò una mano sulla testa, dai pochi capelli ricci, visibilmente mortificato.
Ero già pronta ad uscire, anche un po' sollevata. Era come se rimandassi ciò che mi spaventata, ma sapevo che poi non sarebbe cambiato nulla.
«Perciò c'è Joshua. Mi dispiace davvero molto, ma ho Marshall prima e so che per il tuo tatuaggio ci vuole molto. Il ragazzo è davvero in gamba, sa quello che fa, non ti preoccupare!» mi tranquillizzò con il suo sorriso.
«Oh... okay.» non ero venuta perché cercavo Carl in particolare, mi bastava sapere che fossero bravi, ma già ne ero a conoscenza dalle recensioni di internet.
«Ti troverai bene con lui! Se vuoi appendere la tua giacca lì fai pure, e poi per andare da Josh, la prima porta a destra!» mi fece l'occhiolino amichevolmente come se venissi qua spesso. Mi piaceva quell'uomo per la sua bravura a mettere a proprio agio le persone.
«Vieni Marsh, noi intanto andiamo. Ci vediamo dopo Camille!» mi salutò prima di scomparire nel corridoio.
Lasciai la giacca sull'appendiabiti all'entrata e arrivai nel corridoio. Sospirai piuttosto rumorosamente e mi convinsi che non sarebbe stato poi così male. Mi ricordai che ero lì per un motivo, perché me l'ero imposto, lo volevo fare per ricominciare. Ritornare un po' a vivere.
Bussai alla porta.
«Si... ?» una voce sommessa arrivò da oltre la porta e cautamente entrai. Senza ancora varcare la soglia intravidi un ragazzo chino su un tavolo a disegnare qualcosa. C'era pieno di fogli scarabocchiati, foto di disegni, pagine di riviste strappate e appese alla parete con delle puntine.
Si girò sullo sgabello per guardarmi quasi non si fosse reso del tutto conto che c'era qualcuno nello studio. Per qualche secondo era rimasto in silenzio con la matita in mano a ritoccare ciò che c'era sul foglio.
«Ciao, sei Joshua?» chiesi, cercando di concentrarmi su di lui e non su ciò che c'era intorno. Mi sembrava di essere entrata in un mondo a parte, di essere stata invitata a mettere piede nella testa di qualcuno a scoprire un po' della sua fantasia. C'era qualcosa di così personale da sentirmi un'intrusa.
«E tu dovresti essere Camille.» disse, senza rispondere esplicitamente alla mia domanda.
«Sì. Carl mi ha mandato da te perché»
«Me lo ha riferito. Stavo facendo qualche modifica al bozzetto del tuo tatuaggio.» mi squadrò velocemente per poi ritornare chino sul foglio. Non dissi altro, capii che aveva bisogno di lavorare ancora un po' e allora ne approfittai per continuare ad osservarmi attorno.
Quello che si presentava ai miei occhi era senz'altro curioso. Non smisi di chiedermi come ci si sentisse a dover disegnare sul corpo di qualcuno una storia. E come ci si sentisse a guardare la propria storia sulla pelle, ma l'avrei scoperto a breve. Sapevo sarebbe stato importante per me, significava tanto.
«Quando vuoi, puoi sederti.» la sua voce mi strappò via da tutti quei pensieri che mi allontanarono per un po'.
«Certo.» sempre un po' impacciata presi posto sul lettino.
«Allora... Carl mi ha detto che devi farti questo tatuaggio sulla gamba sinistra, sopra il ginocchio.»
«Esattamente.» deglutii.
«Questa è la tua bocca di squalo. Ho fatto qualche modifica, ma senza stravolgere il disegno iniziale... l'effetto deve essere che ti stia mangiando la gamba?» lo disse in un modo un po' scettico, ma anche incuriosito. Sapevo potesse suonare strano.
«Mh, già.» fissai la parete di fronte a me.
«Dovresti toglierti i pantaloni, così cominciamo.» mormorò, per poi iniziare a mettersi i guanti in lattice. Lo disse con disinvoltura e capii che nel suo lavoro, il corpo era la parte più esposta. Però lo immaginavo, e per questo avevo la tuta. In realtà la mettevo non solo per comodità, ma anche per passare più inosservata.
Tirai su i lembi mentre lui era girato di schiena a prepararsi.
«Direi che così possa andar bene.»
Si voltò e restò in silenzio. Sapevo avrebbe avuto una reazione del genere, era normale.
Al posto della gamba avevo un tutore tutto di metallo. Arrivava fin sopra il ginocchio perché avevo perso tutto quel pezzo in un incidente. La gamba finta poteva impressionare, per quello ero piuttosto nervosa a mettermi così a nudo davanti a qualcuno, soprattutto per farmela tatuare.
Era la mia rivincita.
Tolsi tutto quel metallo e rimasi spoglia, fino alle cicatrici. Ora non c'era più quella gamba finta ad illudermi che fossi ancora tutta intera.
«Non sentirai male.» mi disse solamente.
Mi meravigliai che non avesse la solita reazione che avevano le persone che vedevano questo lato di me. Ne rimanevano stupite in negativo, gli si dipingeva in volto quell'emozione di pietà, una pietà che non volevo. Si scusavano per niente, non avevo bisogno di nulla. Nessuno era stato in grado di vedermi per quella che ero, diventavo qualcun'altra con quel pezzo finto.
Sopra il ginocchio erano ancora ben visibili i segni lasciati dalla cucitura. Erano passati due anni nei quali soffrivo ancora dell'arto fantasma, e sapevo che l'ago avrebbe toccato parti ancora sensibili, ma mi ero accertata che sarebbe stato un po' di dolore come sul corpo di chiunque altro. In quello non ero diversa, almeno.
Un po' mi vergognavo a stare sdraiata su un lettino a lasciarmi disegnare, con l'inchiostro, da qualcuno che poteva toccare quella pelle. La pelle lacerata e ricomposta con punti e cuciture. Ero così rotta che avevo la sensazione di sgretolarmi ma lì, insieme a quel ragazzo che non si era scomposto vedendomi e in uno studio di tatuaggi, mi sentivo invincibile.
«Sdraiati e non ti preoccupare.»
Lo guardai negli occhi veramente per la prima volta e lo vidi. Vidi in lui un difetto bellissimo: aveva un occhio castano e uno blu come l'oceano. Rimasi incantata, non avevo mai visto nessuno così. Ebbi la sensazione di non saper dove guardare, come se quelle iridi, così diverse e uguali allo stesso tempo, potessero trasmettere due emozioni contrastanti.
Trattenni il respiro.
Lui si affrettò ad abbassare lo sguardo e poggiò lo stampo sulla mia gamba martoriata.
Distolsi l'attenzione da lui, forse risultai invadente, tanto da infastidito.
«Lo facciamo così, allora?» mi richiamò, ma senza incrociare il mio sguardo.
Abbassai gli occhi, ancora confusa, sulla gamba e vidi quella bocca di squalo. Due fauci aperte, i denti possenti e protagonisti davano l'impressione che mi stesse mangiando per davvero.
Ecco quello che avevo vissuto, il prezzo che avevo dovuto pagare.
In un primo momento mi girò la testa a quella vista, il disegno sembrava così vero, reale. Dal ginocchio in giù non c'era più la mia gamba, ma la testa di quell'animale inferocito pronto a farmi del male.
Poteva essere cruento come tatuaggio, ma era la realizzazione dei miei incubi, del mio passato. Potevo guardare in faccia la realtà nel vero senso della parola, senza chiudere gli occhi sperando di cacciare via il pensiero. Ora potevo guardarmi allo specchio, guardare quel disegno e combatterlo. D'altronde non potevo sconfiggerlo solo dentro di me, doveva convivere con me.
«È perfetto.» mi sdraiai di nuovo sul lettino e socchiusi le palpebre non appena l'ago cominciò a ronzare posandosi sulla mia pelle.
Sapevo che lui aveva capito, era chiaro il messaggio. Non fece domande mentre disegnò per altre tre ore. Forse temeva di sbagliare a parlarne, ma non mi sarei rifiutata se mi avesse fatto una domanda. Il suo silenzio era di rispetto; chissà cosa pensava.
Ogni tanto sentivo male, ma niente paragonato al dolore di questi anni. Un dolore che mi lacerava viva e mi lasciava sanguinare senza tregua. Si prendeva gioco di me nei momenti bui, quando ero sola, indifesa. Un dolore che mi aveva soffocata; io non avevo avuto il coraggio di contrastarlo. Ora però credevo che sarebbe stata la mia occasione di rialzarmi, in un modo o nell'altro.
Prima di tutto viene l'accettazione di sé.
Intendevo cominciare così.



Ciao!!
Come state?
Sono tornata, dopo un po' di tempo. Un tempo che mi è servito per capire di cosa farne delle parole che ho in testa. Per ora la storia di Luke (per chi ha letto le altre storie) l'ho messa da parte perché vorrei cominciare un nuovo capitolo. Ma, da come potete intuire, questo mondo non l'ho lasciato. Ho deciso di scrivere una storia che abbia sempre protagonisti i tatuaggi e i 'disegnatori di storie' come piace chiamarli a me.
Quindi, non avrete molta nostalgia.
Quello che spero è di non deludervi (ci tengo moltissimo a cercare di assecondare le vostre aspettative, o per lo meno, di farvi piacere ciò che scrivo).
Fatemi sapere la vostra prima impressione, per me è fondamentale (soprattutto ora che comincio un nuovo percorso).
Con questo prologo ho detto molto, ma vedrete! Spero di avere una rivincita anche io con questa storia, sperando di superarmi e migliorare ogni volta.
Questa storia parla di anime fragili che cercano un modo per smettere di esistere in modo banale e vivere, vivere per davvero... nonostante la vita faccia credere del contrario!
È una storia di speranza.
Spero vi piaccia come inizio!

P.s La protagonista di Camille nasce da un'ispirazione venuta grazie a questa donna fantastica [nina rima]

(Per tutore intendo questo, in caso qualcuno non avesse capito; il tatuaggio si sviluppa dal ginocchio in su)

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(Per tutore intendo questo, in caso qualcuno non avesse capito; il tatuaggio si sviluppa dal ginocchio in su)

Per il tatuaggio mi sono ispirata a uno show, che di solito vedo, chiamato "ink master" ed è un programma in cui si scontrano vari tatuatori. Una volta è arrivata una 'tela umana' (una persona che ha offerto una parte del suo corpo per farsi tatuare durante la gara) e ha richiesto di farsi tatuare la bocca di uno squalo sulla gamba amputata. Mi andava di dirvelo per rendervi ben chiara la situazione e dare un senso alle mie idee. Per altri chiarimenti non esitate a scrivermi😘
Spero ancora di non deludervi.
A presto🧡

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