Capitolo 6

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Mi decisi ad aprire la lettera che avevo lasciato sul tavolo in cucina. Continuavo imperterrita ad evitarla, persino temevo che solo lo sguardo si posasse su di essa. Ogni volta era la stessa storia, e mi chiesi quando mi sarei abituata all'idea di trovarla nella posta una volta al mese.
Posai l'attenzione su quel francobollo, sull'indirizzo e sul mittente.
Veniva da lontano, dal passato, da un presente da cui ero scappata. Florida, vecchia casa.
La lessi veloce, e mi accorsi di aver trattenuto il respiro quando arrivai al punto e alle immancabili firme perfette dei miei genitori.
Come ogni mese, tentavano fino alla nausea di convincermi a tornare là in America ma, testardi come non mai, non si erano soffermati mai un attimo a pensare che forse tornare, da dove ero scappata, non era per me l'opzione migliore. Alla fine, come biasimarli, erano i miei genitori... però non erano mai riusciti a mettersi nei miei panni e capire che forse non tutti sono in grado di dimenticare. Se c'era un solo motivo per cui ero in Inghilterra, era per buttarmi tutto alle spalle. Tornare là significava uscire di casa, attraversare il prato perfettamente tagliato e camminare lungo una via in cui tutti sapevano chi fossi e cosa mi fosse successo. Tornare là voleva dire dover sopportare sguardi di finta compassione, dover ascoltare discorsi di un dispiacere apparente a causa del mio incidente, guardare le mie amiche andare all'Accademia d'Arte, osservare le onde di quel mare che si era preso una parte di me. Significava realizzare che non avrei mai più fatto surf, che non avrei più continuato sport al fianco dei miei ex compagni del liceo, che sarei rimasta la "Camille senza gamba" a causa di quel giorno in cui tutto cambiò ribaltando ogni speranza, ogni sogno, ogni desiderio, ogni aspirazione. Tornare in Florida avrebbe voluto dire tornare a rivivere quel dolore, quella paura nell'incrociare il mio sguardo in quelle onde con il timore di scorgere l'ombra di quello squalo che non ebbe pietà di me.
Questo i miei genitori non lo capivano, soprattutto mamma; sapevo che era lei a scrivere la lettera, papà la firmava soltanto. Lei voleva solo che tornassi per continuare gli studi all'università... ma non ero più la stessa, non ero la Camille di due anni fa. Perciò mi ripeteva in modo assiduo che non avrei avuto futuro, che non sarei arrivata ad avere un lavoro stabile se rimanevo a Pembroke. Su questo le davo ragione perché ancora non avevo ripreso gli studi e in quel piccolo luogo non c'era ciò di cui avevo bisogno. Quando avevo tempo in biblioteca studiavo per conto mio, ma lo facevo da sola. Giurai su me stessa che avrei trovato modo di fare anche quello.
Mi disse di nuovo che avrebbe smesso di mandarmi il contributo mensile... e fu in quel momento che stracciai la lettera in mille pezzi.
Ancora non capivo. Io i soldi non li avevo mai chiesti né voluti, in più sapeva che l'autonomia cercavo sempre di guadagnarmela però, nonostante tutto questo, ancora era convinta che avevo bisogno dei loro soldi. Non mi servivano minacce, l'avrei preceduta: avrei bloccato il loro trasferimento sul mio conto e solo al quel punto li si sarebbe resa conto che non avevo bisogno di loro. Non avevo mai avuto bisogno di nessuno, né tantomeno in quel momento.
In preda alla rabbia infilai la giacca in malo modo e uscii di casa solo con le chiavi, il cellulare e qualche moneta che risuonava nella tasca. Cercai di smettere di pensare a quella lettera, svuotando la testa dai mille pensieri, dalla voglia matta che avevo di rispondere a loro con un sms, invece che attendere che la lettera venisse spedita, per dirgli di smetterla di contattarmi solo per sapere se mai un giorno me ne sarei andata di li.
Ed era in quei momenti in cui sentivo un bisogno quasi viscerale di riunirmi col gruppo e Frank per parlare ed ascoltare storie sconosciute per perdermi nei loro vissuti, nelle loro paure, nei loro traguardi... per dimenticare i miei.

«A volte mi capita di sognare. Sogno per davvero di disegnare, di avere davanti ogni volta una tela bianca. È come se mi chiamasse di nuovo, ancora e ancora... ed ecco lì i colori, così vividi, così scintillanti» la ragazza si perse nel ricordo mentre ci raccontava come stesse elaborando il fatto di aver perso il braccio e la mano grazie alla quale dipingeva. Sembrava fosse una delle poche cose a tenerla in vita, gli occhi le brillavano mentre faceva riaffiorare quel sogno. Un sogno.
«Ci provo. Giuro che ci provo, certe sere, a usare l'altra mano ma è come se non funzionasse, come se avessi dimenticato come usarla. Mi sento un robot. Esatto un robot. E penso di essermi spenta, di aver scaricato le pile a disposizione... ecco, non so bene come dirlo, ma mi sento spesso così. Vorrei che non fosse mai accaduto, vorrei tornare indietro nel tempo...» abbassò lo sguardo sui suoi piedi sospirando sconfitta. Continuai ad osservarla, percependo quel dolore e quella mancanza sul petto. Riflettei e realizzai che era proprio così che mi sentivo: una macchina rotta, scarica, inutilizzabile.
«Grazie Rose per aver condiviso con noi questa tua sensazione, questo sentimento che brucia, che fa male.» Frank le sorrise dolcemente, trasmettendole quell'energia e quella positività che in pochi, con un solo sguardo, erano in grado di dare. Purtroppo io non ero mai in grado di assimilare quella speranza, non riuscivo a respirarla o, almeno, mi sentivo bene sul momento poi però... quando me ne tornavo a casa sola lungo il marciapiede, realizzando d'esser sola con me stessa, mi svuotavo di tutto ciò che fino a quel momento mi aveva arricchito.
«Vedete... quel bisogno di voler tornare indietro dovete lasciarlo in un angolo, come se vi voleste sbarazzare di qualcosa, sennò non farà altro che spezzarvi piano piano: così agisce il dolore. Quel desiderio di voltarvi a guardare il passato dovete lasciarlo da parte, ragazzi. Perché sprechiamo tutto questo tempo a vivere nel passato, quando abbiamo un presente ad attenderci per preparaci al futuro?» ci chiese, guardandoci negli occhi uno ad uno.
«Perché aggrapparci all'idea di qualcosa che non potrà mai succedere? E non vi sto dicendo di ignorarlo, quel passato da cui disperatamente vorreste tornare per cambiare le cose. No, dovete prenderne atto, sfidarlo a testa alta e dire a voi stessi che porre fiducia nel passato ci rende solo più deboli. Fronteggiarlo ci aiuta a voltare pagina, e tenerci stretto ad esso causa solo l'esatto contrario...» si sporse un po' in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Mi sistemai meglio sulla piccola sedia, la stanza cominciava ad essere fredda, come ogni ottobre.
«Frank, tornare indietro sarebbe l'unico modo.» intervenne Rose, tremando un po'. Sembrava così fragile, così piccola. Ogni tanto notavo che fissava il vuoto, poi capivo che cercava di ridisegnare il braccio mancante. Passava svariati minuti a fare così, e spesso mi chiedevo se stesse ascoltando o meno le conversazioni.
«Perché Rose? Non pensi che invece andare avanti possa aiutarti? Questa vita è così piena di sorprese, ci riserva tante di quelle cose che non ci aspetteremo mai che, una volta uscito da qua, vorrei solo camminare fino ad aver male ai piedi per rincorrere il futuro, per sfamare questa curiosità... abbiamo una così grande fortuna ad essere qui, seduti gli uni vicino agli altri, a condividere esperienze, lotte e guerre vinte... perché siamo tutti dei vincitori, in un modo o nell'altro.» sorrise appena.
Mi schiarii piano la gola, abbassando lo sguardo. Avrei continuato a pensare di essere principalmente una perdente, non avevo fatto molto per vincere la mia battaglia seppur avessi appena cominciato. La mano dolce e delicata di Fionn si posò sulla mia spalla, scuotendomi dai pensieri. Tirai un piccolo sorriso, sforzandomi ad alzare gli angoli della bocca; lei lo ricambiò con semplicità e naturalezza.
«Guardatevi. Siete qua, insieme. E tutti, chi in un modo chi in un altro, ha avuto il coraggio di dare voce alle paure, ai timori, al passato. Perché solo in questo modo potremmo andare avanti. In questa guerra continua, che è la vita, avrete modo di incontrare tante persone, di affezionarvi, di imparare ad amare, a ricevere l'amore. Capirete che si soffre, perché non sempre le cose vanno come vorremmo; imparerete a rialzarvi su una, due gambe, a reggervi con un dito, una mano, o con entrambe. Capirete che il tempo scandisce ogni momento della nostra esistenza e... sapete cosa?» domandò in modo retorico a tutti noi.
Regnava il silenzio in quella stanza fredda e scarna. Frank aveva il potere di attirare la nostra attenzione in qualche strano modo, era in grado di farci dimenticare che là fuori combattiamo ogni volta... vederci quel mercoledì per tutti noi significava riprendere fiato, spostarsi da quella quotidianità movimentata, e piena di ostacoli, per soffermarci su ciò che da soli non sapevano scorgere.
All'inizio nemmeno volevo frequentarlo il gruppo, per svariate settimane neanche mi ero azzardata ad aprir bocca... poi ad un certo punto mi sbloccai e capii quanto tenessi a qualcosa in quella nuova vita, in quella nuova Camille.
«Il tempo è ciò che non possiamo controllare. Il fatto è che ci possiamo alzare tutte le mattine e decidere di agire in un determinato modo, di non mangiare e lasciarci sprofondare nel buio, possiamo decidere se vedere qualcuno o meno, che decisioni prendere, quali pensieri far prevalere su altri, decidere chi vogliamo al nostro fianco o meno. Possiamo decidere molte cose, abbastanza da ritenerci soddisfatti... ma non il tempo. Ah, ragazzi, il tempo scorre, va per conto suo, non si cura di nessuno, non aspetta chi alla mattina si alza in ritardo o chi, la sera, non riesce ad addormentarsi.
Il fatto è, ragazzi miei, che con il tempo noi non possiamo avere a che fare, è una cosa che non saremo mai in grado di controllare... ed è per questo che ogni giorno dobbiamo alzarci e fare di tutto per goderci cinque secondi, cinque minuti, qualche ora, svariati giorni, diverse settimane, anni... fin quando sarà di nuovo lui, quel tempo, a decidere per noi.
Ci fa sentire impotenti, è vero, ma perché non approfittare di questa debolezza e trarne vantaggio? Domani alzatevi e sorridete. Sorridete davanti alle mille possibilità che avrete domani, ai sogni che siete in grado di realizzare, anche se vi mancano dei pezzi, ai desideri che si possono raggiungere solo con un po' di determinazione.
Il tempo non aspetta nessuno, ricordatevelo. E non lo sprecate, perché ci rimetterete soltanto.
E sarete soddisfatti, capirete quanto vivere sia quella piccola cosa a contare per davvero. Lo dovete essere ogni volta che vi presentante, ogni mercoledì... Anche se non ve ne accorgete guardate in faccia la realtà e affrontatela. Serve solo qualcuno che ve ne faccia rendere conto. Ora guardatevi.» indicò un po' tutti nelle stanza.
Ci provai, tentai a incrociare lo sguardo con più persone, anche se mi innervosii un po' la cosa, forse perché con la testa non c'ero per davvero a causa della lettera.
«Voi siete coraggiosi, combattete ogni mercoledì venendo qua. Gli occhi che state incrociando sono i vostri stessi, siete uno il riflesso dell'altro: siete coraggiosi. Vi sedete e ascoltate l'altro, assorbite le sue battaglie, le sue sconfitte e lo fate sentire più leggero una volta uscito da qui, lo fate sentire vincitore ogni volta di più.» parlava con fervore, con forza, con quell'energia che tanto bramavo in Frank. Avrei voluto essere così sicura un giorno, esattamente come lui.
«Smettete di sentirvi delle macchine scariche, vecchie, a pezzi. Siamo persone con qualche fragilità in più, con qualche parte che apparentemente manca. E non avete bisogno di tornare indietro, di ricucirvi il passato addosso, perché avete paura di affrontare questo presente. Smettete di pensarvi diversi, rotti, irreparabilmente. Se siete qui, ogni mercoledì, è perché avete più coraggio di qualsiasi altra persona là fuori!» indicò con fervore la finestra, puntando il dito fuori, al di là del vetro dove la vita continuava non curante di noi, dove il sole si nascondeva dietro al castello di Pembroke per lasciare il posto alla sera.
«Se siete qui, è perché volete vivervi questa vita, questo presente... ma semplicemente non lo sapete, o non ve ne siete mai resi conto. Aprite gli occhi, ragazzi miei.» ci sorrise, ed era come se parlasse ancora in silenzio, come se tutte quelle parole ce le sbattesse in faccia senza paura di abbattere il nostro muro: voleva romperlo definitivamente, sradicando le radici della paura e dell'insicurezza. Frank aveva bisogno di spronarci ed era solo parlandoci così schietto che le parole ci colpivano il petto, bussando alla nostra testa.
Camille, dovevi smetterla di pensarti una macchina rotta. Non eri un robot scarico, come diceva Rose. E non avevi bisogno di ancorarti al passato... dovevi viverti la vita, assaporarla, amarla in ogni sua sfumatura, sfaccettatura, accettando le delusioni, le gioie, il dolore, la felicità; accetta l'amore, le nuove persone, lasciandoti amare. Dovevi tornare a vivere.
Mi alzai quando l'incontro terminò e, come ogni volta, andai a salutare personalmente Frank. Quel giorno non avevo parlato; non mi ero dimenticata di parlare della festa a cui avevo partecipato la domenica scorsa, non mi ero scordata di doverlo raccontare agli altri per dimostrare che dopo due anni ero tornata a fare una cosa 'normale'. Semplicemente, quel mercoledì, avevo bisogno solo di ascoltare. Anche mentre qualcun altro parlava, mi resi conto che tutt'attorno a me era in silenzio perché ancora ero rimasta indietro al discorso di Frank per Rose, e per tutti alla fine. Mi resi conto di essere rimasta soprappensiero per altri venti minuti.
Quella volta, oltre che a salutare Frank con un abbraccio, gli confessai un'altra cosa.
«Non sono sicura di star vivendo per davvero.» ammisi a me stessa e a lui, dando voce ai pensieri costanti che occupavano la mia testa.
Non ero in grado di lasciare lì nell'angolo il mio passato.
Spesso mi sembrava di esistere soltanto, di svegliarmi la mattina, andare al bar all'angolo a bere il tè caldo col latte, a dirigermi alla biblioteca e aspettare che poi arrivassero i bambini nel pomeriggio. Spesso mi sentivo un'automa, niente nella mia vita cambiava, era sempre il solito giorno ripetuto in serie come se il nastro della cassetta si fosse inceppato nel lettore: gli stessi momenti si ripetevano con monotonia, niente cambiava mai, niente modificava lo scorrere naturale delle cose.
«Non ne sarai sicura, Camille, ma ci stai provando.» mormorò a bassa voce guardandomi dritto negli occhi. Abbassai per poco lo sguardo, non essendo in grado di sostenerlo.
Ci sto provando?
«Spesso vorrei lasciare me in un angolo.» sussurrai. Non ero sicura che Frank mi avesse sentita, non capivo nemmeno perché avessi deciso di andargli a dire tutto questo... avevo agito istintivamente, come se di quel peso sullo stomaco non riuscissi a liberarmene da sola.
«Arrendersi non è un'opzione.» si limitò a dirmi, dandomi una leggera pacca sulla spalla, riscuotendomi dalla bolla che avevo creato attorno a me.
Mi sorpassò per finire di salutare i pochi rimasti e rimasi immobile, incapace di agire.
Arrendersi. Non. È. Un. Opzione.
Ripetei nella testa parola dopo parola, nella speranza di convincermi fosse così.
Non sapevo se poi avrebbe funzionato, ma dovevo tornare a vivere.
E forse nemmeno in quel caso avevo molte alternative.
E forse era la mia unica opzione.



Eccomi!!
Come state?
È passata poco più di una settimana ma, ho fatto le cose con più calma senza badare troppo al tempo, scrivendo quando me la sentivo... in modo da rendere questo mio ritorno il più naturale e spontaneo possibile (ho aggiornato ora anche per dare la possibilità alle persone di rimettersi in pari con il capitolo che ho scritto poco tempo fa dopo mesi e mesi di assenza)
Probabilmente vi aspettavate qualcosa di diverso, qualcosa di più movimentato, ma ho preferito concentrami su questo lato della vita di Camille perché usare la scrittura come mezzo per dare voce ai pensieri e discorsi che potrebbero riscuotere qualcuno che legge, mi ha dato la forza di parlare in maniera più intima di discorsi non troppo comuni. Magari vi sarete annoiati, lo capirei, ma sentivo la necessità di dire queste cose, di lasciare che questo discorso motivazione di Frank non sia solo per Camille ma per tutte le Camille che si trovano là fuori, e che forse stanno leggendo le mie parole. Perché penso che ogni tanto dovremmo sentirci dire ciò che vorremmo sentire... perciò: vivete che il tempo scorre. Non ancoratevi al passato, andate avanti, affrontatelo ma poi lasciatelo in un angolo: il futuro vale molto di più la pena!
Detto questo, vi saluto🧡

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