Capitolo 8

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Fionn aveva lunghi capelli ramati e mi perdevo tra i suoi riccioli. Ormai era abitudine sorseggiare una birra, in compagnia, nel bar all'angolo dopo la riunione del gruppo. Quel mercoledì avevamo fatto più tardi e, nonostante fuori facesse ormai freddo, rintanarci tra quelle mura ci faceva stare bene. Anche io, in qualche modo, percepivo una bella sensazione forse perché parlare con Fionn mi liberava da ogni cosa, o anche solo ascoltandola. Col tempo avevamo avuto modo di aprirci una nei confronti dall'altra senza pregiudizi o aspettative. Lei mi aveva raccontato del suo incidente, di come avesse perso la gamba per un pirata della strada che si era scoperto essere un uomo annebbiato dall'alcol. Mi raccontò il suo dolore, le costole e una vertebra fratturata, il braccio ingessato per qualche mese e alla fine la perdita della gamba. In realtà, Fionn si era svegliata in un letto d'ospedale e l'arto già le mancava... non aveva avuto modo di dire addio a una gamba che fino a quel momento era cresciuta con lei, donandole una normalità e una quotidianità che ormai non le appartenevano più. Io ero rimasta cosciente fino all'ultimo, e pensai a come ci si dovesse sentire a svenire e poi aprire gli occhi realizzando che la vita non era più la stessa di come la si ricordava. Mi domandai anche quanta rabbia si potesse provare all'idea che qualcuno avesse avuto il potere di sottrarti una delle cose più importanti, solo perché aveva bevuto troppo. Almeno lo squalo era spinto dall'istinto o da qualcos'altro, ma restava pur sempre un'animale. Per quanto rimasi per troppo tempo arrabbiata con quell'essere che aveva sconvolto la mia esistenza, non riuscii a immaginarmi cosa si potesse provare al pensiero che fosse per colpa di qualcuno che non aveva badato a se stesso, finendo per ferire qualcuno che nemmeno conosceva. Incredibile come le vite si potevano incrociare per caso, per destino, per quell'attimo fuggente che bastava a cambiare completamente l'evolversi delle cose.
«L'hai mai più rivisto quell'uomo?» provai ribrezzo nei confronti di quell'essere che nemmeno si era fermato dopo aver investito una ragazza, annebbiato e perso completamente.
«Si... tre mesi fa, dopo che erano passati nove mesi dal giorno esatto dell'incidente.» ammise sorridendo lievemente. Spesso facevo fatica a capirla ma, a dire il vero, non la capivo affatto.
«Passo ogni trenta giorni su quel marciapiede perché così mi piace affrontare le cose. Quei duri e intensi momenti di riabilitazione mi hanno tolto la voglia di rimanere arrabbiata per qualcosa che era accaduto senza che la colpa fosse di nessuno.»
Quasi mi strozzai con la birra. Mi ricomposi sulla panca.
«Quell'uomo ti ha quasi uccisa. Ti ha privato di una gamba sulla quale stare in equilibrio, sulla quale danzare, a te che piace la musica. E nemmeno si fermò, quel giorno...» asserii decisa, le parole mi uscirono di bocca senza che avessi il tempo di controllarmi.
«Camille... non era colpa sua. Chissà cosa lo aveva indotto a ridursi in quel modo, e sicuramente neanche se ne accorse a cause delle condizioni in cui guidava.» fece spallucce, racchiudendosi un po' nel cardigan marroncino. Inclinò la testa, abbassando lo sguardo sul bicchiere mezzo vuoto, come a rivivere i ricordi della memoria.
Mi sforzai, ma non compresi.
«Non hai avuto modo di chiederglielo?»
«Sono andata in prigione... ma non mi ha mai guardata negli occhi, attraverso quel vetro che ci divideva. Continuava a torturarsi le mani attorcigliandole le une tra le altre, senza tregua.» il suo viso si incupì come se quel pensiero la facesse soffrire.
«Si vergognava talmente tanto che ovviamente non riusciva a guardarti.» ribattei, convinta.
«Camille... non sai mai quali guerre gli altri stiano combattendo. Quell'uomo soffriva, l'ho scorto nello sguardo intimidito dalla mia presenza e dalla sua reazione, mentre si nascose da me. È come se mi avesse chiesto scusa, senza dirmi nulla. Non riuscivo ad andare avanti senza perdonarlo... penso che abbia capito, o comunque avrà tempo per capirlo. Non si merita la mia rabbia, il mio dolore. Sono andata avanti.» mi sorrise dolcemente, per poi tornare a fissare il bicchiere.
Ancora una volta, rimasi in silenzio per ascoltare l'eco di quelle parole tanto vere quando crude.
Non si sa mai quali guerre combattano gli altri. Credevo che fosse qualcosa che le persone ancora non erano in grado di capire. Dovevamo imparare tutti da quelle parole ricordandoci, ogni tanto, che non avremmo mai saputo cosa gli altri stessero affrontando, al solo giudicarli dall'aspetto e dal comportamento. Bisognava andare oltre, e Fionn me lo stava insegnando.

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