Capitolo I, La Decisione del Consiglio

122 15 28
                                    

Il sole si era appena innalzato, con il suo chiarore rifletteva delicatamente tutte le bellezze della città e i candidi edifici brillavano della sua lucentezza. Era una calda mattinata di fine estate, a tratti ventilata da una fresca brezza. La rugiada inumidiva il suolo e gli aironi stormivano nei pressi del porto, accingendosi a pescare.
C'era chi, come consuetudine, si preparava ad aprire le proprie attività commerciali. Dai forni si poteva cominciare a sentire odore di focaccia e i maniscalchi battevano il ferro con le loro attrezzature. I mercanti presentavano i migliori prodotti appena arrivati sulle loro bancherelle: pesce fresco, frutta di stagione e tanta carne di pecora, cercando la clientela con gli schiamazzi. Le guardie cittadine sfilavano per le vie principali con le loro ronde.
Con il passare del tempo un bel viavai animò la città che sempre di più stava prendendo vita.

Una figura incappucciata stava camminando rapidamente tra gli stretti sentieri del paese. Accortosi di essere in ritardo affrettò il ritmo e la lunghezza dei passi, ritrovandosi velocemente di fronte al palazzo reale.
La struttura rettangolare era stata costruita utilizzando principalmente il marmo ed il granito. Si articolava attorno ad una stanza centrale dalla pianta quadrata, dove vi era il trono del Re.
L'imponente facciata era adornata da una moltitudine di semicolonne e di paraste. A ciascuno dei due angoli anteriori del castello era stata posta una torre campanile a scopo ornamentale ma soprattutto difensivo.
Fuori dal palazzo, adiacente al maestoso portone con arco a sesto acuto, vi era una spaziosa piazza. Il praticello ben curato che vi si trovava era suddiviso in due semicerchi, nel mezzo dei quali vi era un passaggio in terra battuta ricoperto di ghiaia. Al centro si ergeva una monumentale statua di marmo bianco, il cui soggetto in posa ieratica, fiancheggiato da due soldati, impugnava una grande spada.
Due guardie, di spalle al portone, sorvegliavano orgogliose l'accesso al castello e alla vista del viandante incrociarono le loro lance, bloccando l'entrata

«Alt!» gli si imposero.

Si fermò e come per prendere tempo ed organizzare le idee si tolse il cappuccio e si tirò indietro i lunghi capelli castani. Una fronte alta si stagliava su di un volto magro ed allungato. Aveva due vivaci ed intensi occhi azzurri, con degli zigomi piuttosto marcati e sporgenti. Una piccola bocca dalle fini labbra si vedeva appena tra la cuprica barba incolta che prendeva la forma di un mento particolarmente affilato e prominente.

«Sono Aenghrist, figlio di Torvas NeroCorno».

Allora, le due guardie lo riconobbero, fecero un cenno con il capo e con un ghigno beffardo gli permisero di passare innalzando platealmente le loro armi.
Quando ebbe finito di pettinarsi i capelli con le mani ed essersi lisciato più volte la barba, afferrò i due grandi anelli battenti di bronzo ed aprì il portone. Titubò, grattandosi la spalla destra, dove fin da poche ore prima avvertiva un lieve ma fastidioso prurito. Poi, si mosse per entrare.

Con la fronte madida di sudore attraversò il magnificente ingresso. La cadenza del suo andare aumentava man mano che si addentrava nelle profondità della fortezza, quasi con furia. Sembrava stesse fuggendo, tormentato da ciò che si lasciava alle spalle. L'eco delle suole che calpestavano il pavimento, frettolosamente, spezzava quel silenzio così profondo che aleggiava sovrano.
Era complicato ricordare quali svolte imboccare all'interno di quell'intrico di strade. Eppure, guidato dai suoi sensi, riusciva a procedere ad una notevole velocità, mantenendo la corretta via. L'odore acre delle mura più interne risultava una notevole guida alle narici. Persino la temperatura variava nei meandri più reconditi di quella roccaforte.
Passo dopo passo vedeva stendersi sotto i suoi piedi lunghi tappeti rossi. Delle decorazioni gialle, blu e nere prendevano la forma di varie figure geometriche e simboli appartenenti alla casata reale. Erano stati ricamati accuratamente per adornare i pavimenti pietrosi ormai consunti dal fervore di chi li aveva percorsi.
Le pareti degli angusti ambulacri, composte da grosse pietre quadrangolari, erano tappezzate di quadri incorniciati d'oro. Alcuni ritraevano re e principi in posa, vestiti con abiti sfarzosi e lussuosi, tutti in pompa magna. Invece altri riportavano eroiche gesta o pose di combattimento di importanti personaggi storici.
Ad ogni porta, arco o pertugio che fosse, vi erano appostate delle guardie. Immobili e silenziose, tutte imbacuccate nelle loro pesanti armature d'acciaio. Elmo, corazza, guanti, stivali e un ampio scudo che ritraeva l'emblema della Casata reggente: ovvero la testa di un ariete. Tenuto su con fierezza copriva il braccio sinistro e nell'altra mano una lunga lancia metallica impugnata verticalmente con l'estremità inferiore che poggiava sul terreno.
All'ennesima svolta di uno degli innumerevoli corridoi di quel dedalo asfittico presente all'interno del palazzo rallentò il passo.
Era giunto davanti ad un vasto e lungo ingresso nella sezione centrale che conduceva ad una grandissima porta di legno. Su ambedue i lati del passaggio si potevano contare una ventina di soldati, dieci per parte.

I Racconti di Hira. Il Destino di un Uomo, Libro I (Il Viaggio)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora