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Han Lin ha sempre pensato che lei e Miyeon fossero legate dal Destino. Consideravano la loro amicizia qualcosa di sacro. Lin è sempre stata al fianco di Miyeon e viceversa. Il suo mondo viene rapidamente messo a soqquadro qua...
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«L'amore mi travolse,
e la sua bellezza mi accecò.
Divenni suo schiavo»
– Park Jimin
La mia mente avrebbe potuto definirsi una tabula rasa in questo momento. Non ero in grado di interpretare nemmeno il Canone di Pachelbel, e probabilmente il mio più grande ostacolo era la mente: ero eccessivamente razionale, ciò comportava la perdita di quel sentimento che avrebbe dovuto macchiare ogni singola nota. Ma come potevo riuscire in un tale obiettivo se suonare non era una mia passione, ma un semplice modo per buttare fuori ciò che nascondevo al mondo. Era a dir poco sfiancante. Lo sguardo puntiglioso del mio insegnante ancora di più, il quale - proprio come la maestra che ebbi da bambina - mi trattava come se fossi affetta da una qualche forma di infermità mentale. Era bello essere trattata in questo modo persino da dei perfetti sconosciuti? Certo che no. Ormai però anche quella era diventata una routine della mia vita infelice, perennemente grigia, che veniva colorata solo da Miyeon.
Avrei voluto chiudere gli occhi, smettere di dare ascolto a quello spregevole adulto, che non si era reso conto di quanto fastidio mi procurasse con la sua voce dal tono arcigno. In realtà avrei preferito trovarmi in un campo sterminato, oppure su un'isola deserta, pur di non stare alla Chongdae School of Arts. I miei pensieri slittarono su Miyeon. Cosa starà facendo in questo momento? Dove sarà? Vorrei tanto che mi venisse salvare, era la solita riflessione a cui giungevo in qualsiasi momento della mia mediocre esistenza. I miei occhi, alla conclusiva sgridata dell'insegnante, si fecero inevitabilmente lucidi. Perché non mi opponevo nemmeno a lui? Avevo davvero così tanta paura? Avrei dovuto reagire. Era ciò che mi ero ripromessa di fare anche con Suji, eppure erano due giorni che andavo a scuola con lo sguardo soddisfatto di Jeon puntato addosso: non gli avevo dimostrato alcunché. Ma c'era davvero qualcosa che avrei potuto fare? Io non ero nessuno lì dentro, solo la persona che si classificata puntualmente per seconda agli esami. Ero anonima e mediocre a livello sociale, mi conoscevano solo per via dei miei natali e dei miei voti.
«La prossima volta che ti mostri impreparata parlerò con tuo padre. Faresti meglio ad esercitarti» Le parole dell'insegnante non mi toccarono, forse perché erano cose che già sapevo. L'unica cosa che avrebbe potuto recarmi turbamento era la menzione di mio padre, solo che ormai sapevo che cosa mi avrebbe detto: idiota. Per loro non ero mai abbastanza, nonostante il mio impegno. Stupida la ero, poiché avrei dovuto fare qualcosa riguardo questa terribile situazione.
Non appena udii la porta della sala sbattere, le mie dita si posarono sui tasti, mentre la pura infelicità mi ricopriva dalla testa ai piedi. Si mossero, produssero note con irruenza e rabbia, riversarono sui tasti solo dolore: la più grande emozione che avevo mai provato. Al mio volto era vietato esprimere sentimenti, ma ciò non valeva per le mie dita, il mio corpo che era il riflesso del mio stato mentale. Le note erano il mio grido di ribellione, quella che materialmente non avrei mai potuto fare. Il Crescendo del mio tumulto venne interrotto da un suono che scardinò il mio flusso di rabbia, e quindi la musica che le mie dita stavano producendo. Alzando lo sguardo incontrai due occhi sconosciuti, mi fissavano ammaliati, quasi fossi un animale in via d'estinzione. Era un ragazzo che non avevo mai visto, per qualche ragione insulsa collegati il suo volto alle fragole, sembrava dolce quanto esse, almeno all'apparenza. I suoi occhi invece parevano quelli di un gatto, la loro forma era affascinante, nonostante così banale poiché la maggior parte dei coreani aveva quel taglio sottile ed affilato, capace di ferire. A mio dire era un retaggio lontano, proveniente dalla Cina.