Capitolo 1

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Di una cosa sono certo e un po' mi da conforto: due persone non si possono dividere finchè esisterà il ricordo.
- Che vuoi che sia, Irama

La sveglia suona. Con la mano vado alla cieca alla ricerca del cellulare, schiaccio lo schermo per far cessare quel suono odioso, poi affondo il viso nel cuscino.
Poco dopo risuona. Sbuffo, mi rigiro tra le lenzuola. Tasto la parte di letto accanto alla mia, è vuota. Marco è... se ne è andato. Una fitta stringe il cuore e tante schegge infilzano i polmoni impedendomi di respirare, mentre un brivido percorre il mio corpo, nemmeno la luce che filtra attraverso la tenda riesce a riscaldarmi. Nessuna parte del mio corpo sfugge al dolore che come un virus si diffonde fino alle ossa. Urlo, poi mi lascio andare a un pianto disperato, mentre l'ammasso di piume assorbe tutte le mie lacrime. Crollo. Non sono più l'Andrea forte e orgogliosa di una volta, ormai di quella persona non rimane altro che un involucro vuoto. Sono una spezzata, un essere che si spinge avanti nei giorni cercando di attenuare la voragine che le trafigge il petto.
Nonostante sia passato del tempo non riesco a rassegnarmi. Le lacrime continuano a bagnare il viso; cerco di evocare la voce di Marco, il suo tocco e la dolcezza con cui ogni mattina mi svegliava. Per un attimo mi sembra di rivederlo accanto a me che fa il solletico ad Anastasia, ne riesco a sentire le risate.

Anastasia salta nel letto entusiasta. «Mamma, Papà! Dai, alzatevi!»
Sbuffo, mi volto dall'altro lato. Anastasia mi scuote. «Dai, ma'!»
Mi stiracchio e mi arrendo al terremoto di mia figlia.
Marco la prende fra le braccia e inizia a farle il solletico. «Allora principessa, cosa vuoi fare oggi?»
Anastasia è in preda alle risate e io non riesco a far altro che appoggiarmi alla testiera del letto e godermi quell'attimo, ma poco dopo Anastasia e Marco si guardano complici e mi assalgono: mia figlia mi riempie di baci e mio marito inizia a farmi il solletico. Rido e per un attimo penso che sia questa la vera felicità.

La sveglia del cellulare mi riporta al presente, vorrei rimanere intrappolata nei ricordi e annullare ogni emozione, ogni sensazione di spaesamento e annientare tutto quel male che attraversa ogni singola cellula, ogni singolo muscolo.
Alzo il viso dal cuscino e la prima cosa che vedo è la fotografia che tengo sul comodino: Anastasia è seduta sulle spalle di Marco, io e lui ci guardiamo complici e sorridiamo. La prendo, passo le dita prima sul viso di Anastasia, poi su quello di Marco. La stringo a me.
Ricordi e foto, solo quello è rimasto della mia felicità e sono l'unica certezza che Marco c'è stato davvero. Questa è l'unica cosa capace di darmi conforto e attenuare quella stretta al cuore che non mi lascia da quando ho aperto gli occhi.
Prendo la maglia di Marco che tengo sotto il cuscino. Faccio un profondo respiro, inalo il suo profumo. Devo andare avanti. Devo farlo per Anastasia. Quel nome mi fa alzare di scatto, poi mi preparo per andare in ospedale.
La stanza è bianca, asettica e ha un forte odore di disinfettante; l'unico suono che la invade è il ritmico bip bip del monitor cardiaco che si mescola a quello del respiratore.
Mi avvicino al letto e bacio la fronte della mia bambina. «Ciao, piccola mia»
Prendo la spazzola e inizio pettinarle i capelli. «Sai, a scuola chiedono tutti di te.»
Per un attimo sembra che le sue labbra si incurvino in un sorriso, ma è solo un'illusione: Anastasia continua ad avere gli occhi chiusi e a respirare attraverso le macchine.
Questa è la fotografia di come si svolgono le mie mattine da quando mi sono svegliata dal coma. Se solo avessi saputo cosa mi aspettava uscendo da quel sonno profondo, sarei rimasta nel buio.
Sospiro e, dopo averla spogliata, le passo la spugna in tutto il corpo. «Non lasciarmi anche tu...» Un nodo chiude la gola e non riesco a respirare.
La speranza che Anastasia si svegli è l'unica cosa che mi permette di alzarmi dal letto ogni giorno. L'unica ragione che mi permette di sopravvivere e non lasciarmi andare. Se dovesse abbandonarmi non sopporterei oltre, non mi concederei di trascinarmi lungo giornate vuote.
«Andrea...» Mia mamma mi raggiunge e mi allunga un sacchetto. «Ti ho portato un cornetto.»
Al solo pensiero di mangiarlo mi sale la bile in bocca e una smorfia di disgusto appare sul mio volto.
Sospira e lo appoggia sul comodino, poi saluta Anastasia con un bacio sulla guancia.
Mi lascio cadere sulla sedia accanto al letto, poi stringo la mano di mia figlia e nascondo il viso contro il suo braccio crollando in un pianto amaro.
Mia madre mi appoggia una mano sulla spalla, poi scoppia in lacrime: sa che se dovessi perdere anche Anastasia se ne andrebbe con lei anche ciò che resta di me. Per un tempo che sembra infinito rimaniamo impotenti a lasciarci travolgere dal dolore. Il mio il dolore della perdita, il suo quello della paura di perdere.
Poco dopo mia mamma se ne va lasciandomi da sola e io ne approfitto per stendermi accanto ad Anastasia. La stringo a me, cuore a cuore, confortandomi con il suono di quel lieve battito che la tiene ancora in vita.

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