Capitolo 4

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Batto un pugno contro la macchinetta che si è bloccata. «Dammi i miei cracker, maledetta!» Do un altro pugno sperando che sta volta funzioni, ma non ottengo nessun risultato. «Ti odio, sappilo!»
«Hai finito di parlare con la macchinetta e prenderla a pugni?»
Nonostante l'abbia sentita solo una volta, riesco a riconoscere quella voce. Mi volto verso la direzione da cui proviene. È Marco e indossa un camice bianco. Sarà la stanchezza, ma in divisa lo trovo ancora più affascinante di quando l'avevo visto con i jeans e il giubbotto di pelle.
«Che c'è, ti hanno portato via la lingua per caso?»
Scuoto la testa, ridestandomi dal mio stato di apatia. «No, però la macchinetta ha deciso che per stasera non cenerò.»
Mi giro per andarmene, ma lui mi stringe il polso con la sua mano. «Aspetta.»
Rimango immobile e mi lascio attraversare dalla scarica elettrica che ha provocato il suo tocco, poi incrocio il suo sguardo. Ci osserviamo per alcuni secondi, forse minuti, senza dire alcuna parola come se volessimo intuire i pensieri uno dell'altro.
Si china, infila un braccio dentro il distributore e dopo alcuni minuti mi porge i cracker. «Tieni.»
«Grazie!» Li prendo, le nostre dita si sfiorino e il mio cuore inizia a battere freneticamente. «Non ti avevo mai visto in reparto» dico più per annullare quelle emozioni che mi attraversano che per vera curiosità.
«È il mio primo giorno, mi sono trasferito da poco.»
«Capisco. Beh allora ci si vede presto», e mi volto per andarmene.
Ride scoprendo i denti bianchissimi. «E così la famosa Fiamma ha paura.»
Lo guardo di sottecchi. «Non ho paura, sto tornando al mio lavoro.»
«È notte, i pazienti dormono e non mi sembra che qualcuno abbia suonato il campanello.»
Sbuffo. «Cosa vuoi da me?»
Fa un passo avanti, i nostri corpi quasi si toccano. «Prima di tutto sapere il tuo vero nome.»
Alzo gli occhi al cielo e picchietto con un dito il cartellino di riconoscimento attaccato alla tasca della divisa. «Sai leggere, no?»
I suoi occhi si spostano nel punto che ho indicato. «Andrea Minari.»
Scandisce lettera per lettera e io penso che il mio nome non abbia mai avuto un suono così bello. Scuoto la testa e mi accorgo che lo sguardo di Marco si è spostato dal cartellino al seno. Gli prendo il mento con due dita e gli alzo il viso in modo che i nostri sguardi si incontrino. «Idiota! Gli occhi li ho qui!»
Lui ride e io mi innervosisco ancora di più. «Senti, dottor Guglielmi, io torno al mio lavoro.»
«Mi devi una gara.»
Mi volto verso di lui. «Se proprio vuoi assaporare di nuovo la sconfitta.»
«Lo vedremo.»
Il campanello di chiamata suona e ognuno torna al proprio lavoro.
Il reparto è silenzioso, è una serata abbastanza tranquilla così decido di mettermi in guardiola a leggere.

***
Mi annoio a morte e saperla lì da qualche parte mi rende irrequieto, così inizio a camminare per i corridoi bianchi del reparto e la vedo nella guardiola a leggere Stephen King. Scuoto la testa divertito, non potevo aspettarmi che le piacessero di certo romanzi rosa. Mi appoggio allo porta e la osservo: i capelli rossi sono legati in una coda in maniera disordinata, le lunghe gambe appoggiate su una sedia, il seno si alza e abbassa a ritmo del respiro e gli occhi spalancati si muovevano veloci da una riga all'altra.
Rispetto all'altra sera il viso è lasciato al naturale e solo ora mi accorgo delle lentiggini che le ricoprono gli zigomi e il naso all'insù.
È talmente immersa nella lettura che non mi ha neppure sentito arrivare, starei ore a guardarla mentre è immersa in un mondo tutto suo, ma decido di attirare la sua attenzione. «E cosa poteva leggere Fiamma se non Stephen King?»

***
Sbuffo e alzo lo sguardo. Marco è appoggiato alla porta e mi scruta avidamente. «Spero tu abbia un buon motivo per interrompere questo momento idilliaco.»
«Mi annoio.»
Gli faccio un gesto con la mano come a voler scacciare una mosca. «Trova un altro diversivo per la tua noia», e torno a leggere.
Lui ride e si posiziona accanto a me, poi mette i gomiti sulle ginocchia e il viso sulle mani chiuse a pugno. «Purtroppo, non vedo altre persone.»
Sbuffo, chiudo il libro. «Ripeto, cosa vuoi da me?»
«Conoscerti. Se vinco io, esci con me: andremo in un ristorante che conosco e offrirò io. Invece, se perdo io mi offrirai una birra.»
«Insomma non ho scelta... devo uscire con te.»
Sorride beffardamente. «Già.»
Alzo un sopracciglio e incrocio le braccia sotto il seno. «Sappi che odio perdere.»
«Anche io.»

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