Anna mi corre incontro. L'abbraccio e le do un bacio sulla guancia.
Mi guarda di sottecchi. «Cos'è tutto questo buon umore di prima mattina? Fiamma, di cosa ti sei fatta?»
Faccio un gesto della mano come se dovessi scacciare una mosca. «Oh, andiamo, non posso essere felice?»
«Sì, ma di solito al mattino sei odiosa.»
Le tiro un buffetto. «Sempre gentile, eh!»
Scuote la testa. «Dai, di', cosa ti è successo?»
Le racconto di Marco e della serata trascorsa in sua compagnia.
«Ma guardati, hai gli occhi a cuore e che ti si illuminano. Sei proprio cotta!»
Arrossisco.
«Fiamma che arrossisce? Sì, ti piace davvero.»
Annuisco. «Voglio rischiare, Anna, non mi importa.»
«Era ora, ormai hai trent'anni! Già ti vedevo zitella a vita con la casa piena di gatti.»
Rido. «A me non piacciono i gatti.»
Sbuffa. «Sei proprio un caso perso.»
Alzo gli occhi al cielo e torniamo al nostro lavoro. Oggi ho il turno in oncologia pediatrica. Indosso una parrucca e un naso rosso certa di strappare un sorriso ai bambini.
Sto facendo il solletico a Michael che poco prima piangeva quando mi accorgo che Marco mi sta osservando.
«Arrivo subito» dico a Michael e raggiungo Marco.
«Cosa ci fai qua?»
«Oh, ciao anche a te.»
Rido. «Ciao» e gli schiocco un bacio sulla guancia. «Come mai sei qua?»
«Fra poco inizia il mio turno e volevo vederti.»
Sento le guance avvampare e per la prima volta non so cosa dire, le parole sono bloccate.
«Dovresti arrossire più spesso... sei stupenda.»
Gli tiro un buffetto. «Smettila di mettermi in imbarazzo.»
Ride. «E va bene, me ne vado.»
«Resta, andiamo a prendere un caffè.»
Annuisce. «Ho ancora dieci minuti.»
Appena siamo lontani da occhi indiscreti, mi attira a sé e mi bacia.
«Mi sei mancato» dico dopo aver ripreso fiato.
«Anche tu.»
Intreccio le mie dita con le sue. «A che ora stacchi?»
«Alle ventuno.»
«Passi da me?»
«Se me lo chiedi così... non me lo faccio ripetere due volte.»
Sorrido e sfioro le sue labbra con le mie, poi torniamo in ospedale ognuno al proprio lavoro.
Il campanello suona. Passo le mani sopra il vestito per sistemarlo o, forse, per asciugarle dal sudore. Non ero mai stata così agitata. Respiro profondamente mentre mi guardo per un'ultima volta allo specchio, poi vado ad aprire.
Appena apro quasi spalanco la bocca: Marco è in jeans e camicia bianca. Deglutisco. Chiude la porta, mi stringe a sé per poi fondere le sue labbra con le mie.***
Suono e prima che mi apra sembra passi un'eternità.
Mi sorride, ha un vestito turchese che richiama il colore dei suoi occhi e risalta il colore diafano della sua pelle. Le gambe lunghissime sono per la maggior parte scoperte e mi tocca deglutire perché è stupenda.
Appena si entra c'è un piccolo, ma accogliente, ingresso arredato da un attaccapanni e da un mobile su cui c'è una fotografia della laurea e il modem per il wi-fi.
In corridoio sono appesi riproduzioni dei più famosi quadri e una libreria piena di romanzi ne occupa una parete.
Mi conduce in sala dove la musica fa da sottofondo diffondendosi nell'ambiente.
Un pianoforte occupa la maggior parte della stanza; di fianco c'è un divano nero a L con la chaise long con sopra qualche cuscino colorato e di fonte a esso un mobile con la TV e un tavolino in vetro.
Scruto il luogo assorbendo ogni dettaglio come se potesse parlarmi di Andrea ed è così che noto una chitarra appoggiata in un angolo.
«E lui?» chiedo indicando lo shiba al di là della vetrata che dà accesso al giardino.
«È Aeron, gli piacerai.»***
«Come mai ti sei trasferito qua a Bologna?» dico prendendo un pezzo di pasta al forno.
«Volevo andarmene da Grosseto... non ho un buon rapporto con i miei genitori e dopo che mia sorella si è trasferita qui e sono morti i miei nonni, non avevo nulla che mi legasse a quella città.»
Lo guardo negli occhi cercando di capire di più.
Lui appoggia la forchetta sul piatto. «Devo tutto ai miei nonni, visto che i miei genitori non hanno mai accettato che facessi medicina... volevano che prendessi in mano la loro catena di alberghi.»
Annuisco. «Allora hai fatto bene ad andartene.»
Sorride e appoggia la sua mano sulla mia, poi riprende a mangiare. «Invece la tua famiglia?»
«Mamma mi ha cresciuto da sola, mio padre è morto di cancro quando avevo tre anni.»
«Mi spiace.»
Alzo le spalle. «Ricordo poco di lui, però so che si amavano molto...»
Mi accarezza il dorso della mano con il pollice. «Neppure la morte può dividere due persone finché esisterà il ricordo.»
«Forse è così.»
«Da quando suoni?» mi chiede cambiando discorso.
«Da quando avevo quattro anni. Nel ristorante dove lavorava mamma c'era un piano bar: una sera mi sono avvicinata al pianoforte ed Edoardo mi ha preso in braccio insegnandomi le prime note. Da quel giorno ho supplicato mia madre di portarmi sempre con lei in modo che potessi imparare.»
«E la chitarra?»
«Ho cominciato alle medie, poi alle superiori mi sono pagata le lezioni facendo la babysitter, non volevo gravare ulteriormente su mia mamma... non abbiamo mai vissuto nel lusso così quando potevo lavoravo anche quando ho iniziato l'università.»
Piega la testa di lato, mi scruta fino arrivare nel profondo della mia anima. «Questo ti fa onore...»
Sorrido e, visto che abbiamo finito di mangiare, lo prendo per mano e lo conduco verso il pianoforte. Mi siedo sullo sgabello, inizio a suonare Shallow di Lady Gaga e Brandly Cooper e lui mi sorprende cantando la prima strofa, io mi limito a far scorrere le dita sui tasti fino ad arrivare al pezzo in cui canta Lady Gaga.
Si siede accanto a me, e continuiamo a cantare, i nostri nasi quasi si sfiorano. Ci siamo solo io e lui, il resto è tutto scomparso. Le nostre anime ballano un lento creando un legame intimo e profondo.
Appena arrivo all'ultima nota, Nathan prende il mio viso fra le mani e mi bacia con veemenza.
Intreccio le mie dita con le sue e lo guido verso la camera.
Mi attira a sé, gli getto le braccia al collo mentre lui con una mano mi sfiora la coscia e con l'altra, appoggiata sulla schiena, fa aderire i nostri corpi.
Ci stacchiamo e per qualche secondo ci scrutiamo lasciandoci scuotere dalle sensazioni che ci attraversano.
Mi accarezza i fianchi scendendo fino all'orlo del vestito, me lo sfila. Inizio a sbottonargli la camicia, lasciandogli un bacio su ogni centimetro di torace che scopro. Appena arrivo a metà mi ferma e se la toglie. Mi spinge delicatamente sul letto mentre mi bacia con veemenza e con una mano mi slaccia il reggiseno che poi lancia sul pavimento. Bacio dopo bacio lascia una scia fino ad arrivare alle mutandine, le abbassa lentamente sfiorando lieve le cosce fino a farle cadere per terra.
Mi osserva avidamente come a voler imprimere nella memoria ogni più piccolo particolare, e io lo imito accarezzando con gli occhi gli addominali scolpiti.
Si toglie i pantaloni e i boxer in un unico gesto senza distogliere lo sguardo da me. Si avvicina lentamente. Lo scruto beandomi del desiderio che ha scaturito in me, vado verso il centro del letto.
Mi bacia sovrastando il mio corpo con il suo. Siamo pelle contro pelle. Gli bacio e mordo il collo mentre lui percorre ogni centimetro del mio corpo con le dita. Mi stringe i fianchi, plasma le sue labbra con le mie, s'insinua dentro me e i nostri corpi diventano uno solo.
Non smettiamo un istante di guardarci come se i nostri occhi fossero incatenati uno a quelli dell'altro.
L'intensità di quel momento mi annienta e io capisco che non potrò più fare a meno di lui.
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Vorrei averti qui
RomanceAndrea è un'infermiera di trent'anni con la passione per le corse di moto clandestine. Arrogante, egocentrica, distruttiva, a tratti un po' stronza, non lascia che qualcuno si avvicini a lei, ma il destino la obbligherà a uscire da quella trincea di...