Sono passati nove mesi da quando tutto è successo e ormai manca poco al parto.
Il piccolo Marco scaccia ininterrottamente, appoggio una mano sul ventre e con l'altra accarezzo la scritta della lapide.
«Oh, Amore mio, vorrei che tu fossi qui. Mi manchi» dico con voce strozzata dai singhiozzi.
Con le dita accarezzo la foto sperando che quel gesto lo riporti da me.
«Perdonami se non sono passata prima a trovarti, farlo avrebbe significato accettare l'idea di non averti più al mio fianco.»
Le lacrime appannano la vista e io mi aggrappo a quella scritta nera e a quella foto mentre con una mano stringo la collana che mi ha regalato in cui c'è una nostra foto e inciso "Comunque vada con me."
«Senza di te è tutto più difficile e meno bello.»
Una mano mi stringe la spalla, distolgo lo sguardo dall'immagine di Marco che mi sorride e mi volto incrociando lo sguardo lucido di Federico.
Appoggio il viso sul suo petto e stringo tra le mani la sua maglia fino a farmi sbiancare le nocche.
«Non è giusto, non è giusto.»
Lui mi stringe a sé con più forza. «Hai ragione, Andrè.»
«Era tutto per me» dico tra un singhiozzo e un altro.
«Lo so, ma ora devi pensare al piccolo Marco.»
Una parte di me se ne era andata con lui, ma sapevo che lui non avrebbe voluto che mi spegnessi e mi lasciassi lacerare dal dolore.
Mi stacco e asciugo le lacrime. In lontananza vedo una donna alta con i capelli neri e gli occhi dello stesso colore di quelli di Marco.
Guardo Federico in cerca di spiegazioni, anche se immagino la risposta. «Chi è?»
«È la mamma di Marco, una volta al mese viene da Grosseto e sta qui per qualche giorno.»
Sbuffo. «Ma se non c'era nemmeno al nostro matrimonio.»
Alza le spalle. «Nina ha creduto giusto avvertirli.»
La donna si avvicina. «Ciao, Andrea.»
Stringo la mano che mi aveva teso più per cortesia che per vero piacere. «Salve, signora Guglielmi.»
Mi scruta soffermandosi sul ventre, poi passò lo sguardo da me a Federico. «Vedo che non hai perso tempo.»
La guardo sperando di poterla incenerire e farla sparire con gli occhi. «Non si permetta di dirmi una cosa del genere. È figlio di Marco e lui è mio cugino... Non solo dopo dieci anni si presenta qui, ora viene pure a fare la morale.»
«Almeno io c'ero al suo funerale.»
Federico serra la dita a pugno. «Era in coma e lei lo sa benissimo!»
Fa un cenno della mano, si avvicina alla lapide e sistema i fiori.
«Questa è l'ultima volta che la vedo qui. Marco non avrebbe voluto», mi volto e mi lascio condurre da Federico verso l'uscita.
Appena siamo lontani dal cimitero, mi mette le mani sulle spalle. «Respira. Calmati. Lo sai che non fa bene al bambino.»
Chiudo gli occhi e faccio profondi respiri per regolarizzare il battito.
«Come sei venuta? Perché non mi hai chiesto di accompagnarti?»
«In autobus, sai che ormai non riesco più a guidare. Avevo bisogno di stare con lui da sola.»
Sospira. «Vieni, ti accompagno a casa.»
Annuisco.Il tragitto verso casa è accompagnato solo dalla musica, osservo i palazzi rossi immersi nel verde.
Un contrazione. Respiro profondamente. Un'altra e subito dopo un'altra ancora. Stringo i denti. «Fede, portami in ospedale.»
Mi guarda e capisce subito cosa sta succedendo. «Respira, Andrea. Respira.»
Stringo la maniglia dello sportello fino a farmi sbiancare le nocche. «Premi quel cazzo di acceleratore.»
Chiudo gli occhi e appoggio la schiena contro il sedile. Respiro. Conto i secondi tra una contrazione e l'altra. Espiro.
Abbasso il finestrino in cerca d'aria per rinfrescarmi.
Dopo quella che mi sembra un'eternità arriviamo in ospedale, scendo senza dare il tempo a mio cugino di fermare totalmente la macchina.
Appena varco la soglia del pronto soccorso, mi si rompono le acque. Un'infermiera accorre subito con una sedia a rotelle. «Come si chiama?»
Mi siedo sopra. «Andrea Minari – Gugliemi.»
Annuisce e mi porta subito nella sala preparto.
Mi fa distendere sul lettino, alza il vestito. «È dilatata di quattro centimetri. Faccio preparare immediatamente la sala parto.»
Federico arriva correndo. «Allora?»
Stringo con le mani il lenzuolo cercando di reprimere il dolore. «Mi porteranno presto in sala parto.»
«Okay, calmiamoci.»
«Fa' portare il borsone che sta vicino alla porta d'ingresso.»
Federico se ne sta immobile come se non avesse sentito le mie parole. «Muoviti!» urlo per distoglierlo dal suo stato di apatia.
Scuote la testa. «Sì, sì», e prende il cellulare. «Zia, sono con Andrea, le si sono rotte le acque. Sì, siamo già in ospedale. Chiede se le porti il borsone. Sì, esatto quello. Va bene. A dopo.»
Si avvicina al letto e prende una mano fra le sue. «Ora, però calmati.»
«Fede, se mi dici un'altra volta di calmarmi giuro che ti piglio a calci in culo.»
Ride. «Come non detto.»
Veniamo interrotti dall'infermiera che mi ha portato il camice. Vado in bagno a cambiarmi, poi mi stendo di nuovo sul lettino e mi informano che sono dilatata di otto centimetri e che mi porteranno immediatamente in sala parto.
Sono ore che sono dentro la sala parto e a ogni spinta il mio corpo si rompe in mille pezzi.
«Spinga, Andrea!»
Respiro. Contrazione. Spinta. Espiro. Mi focalizzo su quella sequenza mentre il sudore imperla la mia pelle.
«Su, spinga!»
Respiro. Contrazione. Spinta. Stringo il camice. Espiro.
«Ancora una» mi sprona l'ostetrica.
Forse per il dolore, forse per il desiderio di averlo accanto in quel momento, vedo Marco appoggiato al muro con il camice verde proprio come quando è nata Anastasia.
Le lacrime bagnano le guance.
«Ci siamo quasi vedo la testa, ancora un'altra.»
Chiudo gli occhi e faccio come mi dice l'ostetrica. «Marco!» urlo e la mia voce si mischia a quella di un pianto.
Apro gli occhi e osservo quel fagotto sporco di muco e sangue che già strilla richiamando l'attenzione di tutti, avvertendoci della sua venuta al mondo.
«È un bel maschietto, come lo chiamiamo?»
«Marco... Marco Guglielmi» dico con voce strozzata dalla commozione.
Mi appoggiano il piccolo sul petto: ha i capelli neri, le labbra carnose e il naso a patata come quello di Marco. Ogni tratto del piccolo viso è identico a quello di mio marito e io non vorrei far altro che tenerlo stretto a me, ma l'ostetrica lo prende per fargli i primi controlli. Invece io vengo portata in una stanza dove tengono monitorata la situazione per accertarsi che non ci siano emorragie.
Dopo qualche ora, mi portano nella camera che mi hanno assegnato. Ci sono altre due donne circondate da familiari. Io vorrei soltanto dormire, ma Federico, Anna e mia mamma irrompono nella stanza.
«Oh tesoro» dice mia madre baciandomi la fronte e passando una mano tra i capelli. «Come stai?»
«Come una che ha appena partorito.»
Con quella frase riesco a strappare a tutti un sorriso e poco dopo arriva un'infermiera con la culla in cui c'è Marco. Inevitabilmente l'attenzione passa da me a lui.
«Ma è uguale a Marco.»
Inclino la testa indietro appoggiandola sul cuscino. «Sì...»
Inizia a piangere e Anna lo prende per poi sistemarlo sul mio petto. Subito con la piccola bocca va alla ricerca del seno, inizia a ciucciare e io non posso far altro che rimanere incantata da quello spettacolo.
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Vorrei averti qui
RomanceAndrea è un'infermiera di trent'anni con la passione per le corse di moto clandestine. Arrogante, egocentrica, distruttiva, a tratti un po' stronza, non lascia che qualcuno si avvicini a lei, ma il destino la obbligherà a uscire da quella trincea di...