Il 2 novembre del 1990, il giorno del suo quinto compleanno, Matteo ricevette in regalo l'orologio di suo nonno. Era un orologio a cipolla, vecchio ma ancora lucente. Era stato tenuto come l'iconografia di un santo, nel taschino del nonno, che lo aveva protetto per molti anni, avidamente. Non lo mostrava mai, ma quando morì lo lasciò in eredità al nipote. Il padre di Matteo si sentì scavalcato, perché l'orologio non era stato lasciato a lui? Cosa aveva fatto a suo padre per non aver avuto il tanto sospirato orologio in dono? Non aveva mai trovato una risposta. Solo Matteo sapeva il perché: le maledizioni saltano sempre una generazione.
Matteo prese delicatamente l'orologio, anche se aveva solo cinque anni, gli era stata insegnata l'importanza degli oggetti di valore e sapeva che quell'orologio valeva molto. Lo nascose in un fazzoletto e lo nascose in uno scrigno all'interno dell'armadio, sotto le coperte, dove sapeva che nessuno l'avrebbe visto. Solo quando calò la notte capì che l'orologio non doveva stare nascosto ma doveva esser tenuto vicino al proprietario.
- Mamma? Tutto bene? - Matteo si era fatto coraggio e arrancando un po', era arrivato nella stanza da letto della madre.
- Si, sto bene- disse asciugandosi le lacrime -Scusami-
Matteo la guardò e sospirò
- Vuoi che metta una maglietta a maniche lunghe? -
- No, cucciolo, non preoccuparti, va bene. -
La madre provò ad accarezzargli la testa, ma la sua mano ricadde subito sul letto, quasi essa stessa si rifiutasse di toccarlo. Matteo capì.
Tornò in camera, si tolse la canottiera ed indossò una maglietta a maniche lunghe che nascondesse le cicatrici che tanto facevano soffrire la madre.
- Ma perché lo fai? -
Matteo non gli rispose
- Cosa ha fatto lei per aiutarti? Perché continui a rinnegare la tua natura? Tu non capisci, il tuo compito è fondamentale, non puoi farti fregare da qualche lacrimuccia. -
Matteo lo ignorò e tornò dalla madre.
- Così va meglio? -
La madre lo accarezzò, piano, senza fretta, una piuma che sfiorava la pelle, una farfalla che si posava sul fiore, delicata, aggraziata, ma le lacrime continuavano a scendere.
- È colpa mia. -
- No, mamma! Non devi dire così. -
- Parli ancora da solo? La notte ti sento sveglio mentre urli o parli velocemente, arrabbiato... -
Succedeva ogni notte, pensava Matteo, "Coso" iniziava i suoi monologhi e Matteo non poteva dormire e nel momento in cui le parole di "Coso" si facevano troppo pesanti, scoppiava in una rabbia furiosa e non poteva calmarsi se non quando "Coso" tornava nella sua tana.
- Mamma, mangiamo fuori stasera? -
La madre lo guardò esterrefatta.
- Tu? Tu vuoi uscire? -
- Mamma sono passati 2 anni ormai, i miei compagni si sono diplomati e l'anno prossimo prenderanno la laurea, io cosa ho fatto? Mi sono pianto addosso, devo ricominciare. -
- Bravo Matteo, molto bravo - la voce di "Coso" risuonò nella mente di Matteo, come un'emicrania.
Il ristorante era comune e i camerieri scontrosi. Ai due non importava mangiare, a loro bastava essere lì.
Matteo accompagnò la madre al tavolo, era vecchia, consumata dagli anni, troppi solchi sul viso in ricordo di troppe sofferenze che ormai l'avevano distrutta.
Il cameriere arrivò con due bicchieri di champagne e disse che era un offerta della casa. Matteo sapeva la verità.
- Scusa - disse alla madre mentre la vita si allontanava da quel vecchio corpo.
- Mamma, mamma, guarda bello il mio orologio. -
Matteo era fiero del regalo appena scartato, saltellava come un coniglietto e aveva gli occhi lucidi per la felicità. Sapeva quanto il nonno tenesse a quell'oggetto e promise di proteggerlo per sempre. I genitori erano felici, Matteo aveva accettato di buon gusto quel vecchio orologio ed era bello per loro vedere come il figlio avesse subito capito di dover maneggiare con cura l'orologio molto prezioso. Ma Matteo era costretto a trattar bene l'orologio, lui lo obbligava ad adorare quell'orologio e gli sussurrava che il patto era stato sigillato.
Matteo si svegliò presto, era una fresca mattina di ottobre e l'aria era frizzante e profumata.
- Dove vuoi andare? -
Nessuna risposta
- Matteo, tu non devi ignorarmi, lo capisci? Tu mi appartieni, ringrazia pure tuo nonno per questo, ma ora vieni qui e parlami. Dove vuoi andare? -
Solo un grugnito
- Ok, forse non ricordi cosa posso fare, vuoi provare il brivido dell'omicidio un'altra volta? Chi vuoi uccidere stavolta? La tua professoressa? Carlo? La ragazza che ti ha rifiutato? Chi? –
Matteo smise di camminare, respirò rumorosamente, chiuse gli occhi e una lacrima gli graffiò il viso.
Cadde a terra.
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Una maledizione è per sempre
General FictionCi sono maledizioni che non ti puoi levare di dosso.