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[ vidi la sua auto davanti alla mia, e prima di poter frenare, scorsi come un flash in movimento uno sguardo spaventato, due occhi blu in preda al panico, che come i miei non potevano metter rimedio a ciò che sarebbe successo nel giro di frazioni di secondi.
E poi lo scontro.
Nero. ]




















Nero.
Ricordo solo una frazione di secondo di puro panico, appena prima dell'impatto, e poi tutto nero.

Mio caro diario, non so nemmeno dirti per quanto tempo ci fu quel nero davanti ai miei occhi, ma so solo che il primo ricordo nitido che riesco a ricollegare al mio risveglio è un odore. Un odore sgradevole, per giunta. E inconfondibile. Un odore quasi asettico, impregnato di disinfettante al punto da pungermi le narici.
Aprii gli occhi, e ciò che avevo immaginato nel sentire quell'odore trovò conferma alla mia vista: mi trovavo in ospedale. Ero sdraiata in un letto, molto scomodo per giunta, con la schiena rialzata. Avevo preso coscienza di trovarmi lì da pochi secondi, eppure già volevo strappare le coperte e andarmene via.

D'istinto abbassai lo sguardo e vidi il mio braccio, e trattenni un sospiro mozzato nel vederlo. Era una semplice ingessatura, ma in quel momento non potevo sapere se i danni fossero stati ulteriori.
I miei vestiti erano spariti e al loro posto c'era una vestaglia dello stesso colore delle lenzuola, una tonalità di verde chiaro che si addiceva soltanto ad un posto per malati. Come quello in cui mi trovavo.

Come avevo fatto a finire lì? La domanda aveva una risposta semplice, ricordavo abbastanza bene l'incidente seppur non riuscivo a capire quanto tempo fosse passato dall'accaduto. Ciò che realmente mi chiedevo era come avessi potuto essere così distratta da lasciare che capitasse tutto questo.
La mia vita prima di quel fatidico giorno mi andava benissimo. Ero padrona delle mie giornate, dei miei programmi e della mia routine. Non c'era niente fuori posto, e a me andava benissimo così.
Assurdamente, sembrava fossi più seccata che preoccupata di ciò che era successo. Talmente seccata che guardarmi intorno non fu nemmeno la prima cosa che feci.

Quando volsi lo sguardo alla mia destra restai quasi accecata dalla luce abbagliante che proveniva dalla finestra. Desideravo alzarmi per poter far scivolare le tende a filtrare quella luce così forte, ma mi trovavo in quel letto che in pochi istanti sentivo già come una trappola.

Girai così il mio sguardo a sinistra, e fu solo allora che mi accorsi di lui.
Era nella mia stessa stanza, in un letto a qualche metro di distanza da me, ma identico al mio. Era completamente sdraiato, e i raggi di sole che provenivano dalla finestra illuminavano la sua figura supina.
Le coperte lo coprivano fino alle spalle.
Al di fuori di esse spuntava il suo viso.
I suoi capelli alla sommità erano leggermente ricci, e cadevano in piccoli boccoli sulla federa verde e sulla sua fronte liscia. Ai lati erano decisamente più corti, ed erano attraversati da una striatura bianca.
Fui mentalmente grata di non aver chiuso le tende. Il suo profilo si stagliava nella luce che inondava la stanza. I suoi occhi chiusi sembravano riposare tranquillamente.

Restai quasi incantata a fissarlo per non so quanto tempo, chiedendomi chi fosse e cosa aveva passato per finire lì come me.
Sulla sommità del suo letto si trovavano delle carte e delle schede, dalle quali riuscii a leggere due sole parole: Richard Starkey.


Fu allora che la porta si aprì, e un'infermiera entrò. Mi voltai verso di lei, e nel vedermi sveglia mi rivolse la parola, chiedendomi come mi sentissi e da quanto tempo avessi aperto gli occhi.
Le voci svegliarono il paziente accanto a me. Si sentì un leggero fruscio di coperte che si muovevano, la sua testa si voltò piano, e finalmente aprì incerto gli occhi, con un'espressione spaesata.

Allora lo riconobbi. Riconobbi quegli occhi che mi fissavano cercando di capire dove si trovasse, quegli occhi blu un po' spaventati, che avevo visto ben più terrorizzati un attimo prima dell'impatto.
Era lui.

L'infermiera rivolse le stesse premure anche a lui, per poi lasciarci, chiudendo la porta dietro di sé.
Si rivolse nuovamente a guardarmi, non aveva ancora aperto bocca ma i suoi occhi parlavano per lui: era ancora molto confuso e probabilmente, come me pochi istanti prima, stava cercando di ricollegare gli eventi che lo avevano portato fin lì.

La sua bocca finalmente si socchiuse piano.
"Sai perché siamo qui? O almeno io?"
accennò timidamente, la sua voce ancora un po' roca dal suo risveglio.
Sorrisi piano, intenerita e affascinata da lui al punto da non riuscire a nasconderlo più nemmeno con lo sguardo.

"Non ricordi dell'incidente?" risposi provando a far riaffiorare nella sua mente qualcosa.
Il suo sguardo, che dal suo risveglio era sempre stato fisso su di me, quasi interrogandomi cercando di trovare spiegazioni, con un'aria indifesa, si fece d'un tratto distante, e restò in silenzio a bocca aperta per qualche secondo. Immaginai che aveva di colpo collegato tutti gli eventi.

"Oh mio dio, è vero, l'incidente! Come stai? Ti sei fatta male? Mi dispiace così tanto, sono stato un irresponsabile! Cos'hai? Perché sei qui?" le parole gli uscirono di bocca ininterrottamente, e sembrava genuinamente preoccupato per me. Pensai che era adorabile. In verità lo pensavo già da tempo. Precisamente da quando mi ero accorta di lui nel letto accanto al mio.

"Tranquillo, davvero, sto bene. L'infermiera poco fa mi ha rassicurata, ho solo una frattura, nulla di grave. E poi non devi scusarti, sicuramente la colpa è stata di entrambi. Probabilmente ero distratta e non ti ho nemmeno visto arrivare, sei tu che devi scusare me. Spero che anche tu stia bene." gli sorrisi.

Il suoi occhi allarmati si addolcirono alle mie parole, e conobbi un nuovo sguardo. Non più quello terrorizzato appena prima dell'incidente, non più quello spaesato appena risvegliato, e non più quello preoccupato per me. Era uno sguardo che equivaleva ad un abbraccio.


Non seppi mai se volesse dirmi qualcosa in quel momento, perché la porta si aprì, e un dottore chiamò il mio nome. Venni portata fuori dalla stanza, ascoltai molte parole a cui non prestai attenzione, e compresi soltanto che ero libera di tornare a casa.
Pochi minuti prima, trovandomi in quella gabbia di letto in una prigione di stanza, avrei addirittura fatto salti di gioia a quella notizia. Invece non mi toccò nemmeno. I miei pensieri erano fissi su Richard, o almeno quello che pensavo fosse il suo nome.

















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eccomi qui con una nuova parte, spero vi piaccia!
lasciatemi sempre qualche commento, anche negativo mi va bene, ci tengo a sapere se è tutto di vostro gradimento
al prossimo capitolo!

all the love,
marta

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