𝐏𝐑𝐎𝐋𝐎𝐆𝐔𝐄- 𝐥'𝐮𝐨𝐦𝐨 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐥𝐢𝐦𝐢𝐭𝐢

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Era il 4 agosto 1872, un mattino così cocente che percepivo ancora sulla mia pelle i raggi del sole. Me lo ricordavo, ero stesa supina sul prato, avevo l'Iliade in mano e la leggevo con maggior piacere del solito. Forse era per la brezza marina che, quel poco che poteva, rendeva l'atmosfera più piacevole; forse il fatto che ero consapevole di non trovarmi in un luogo qualunque: due fiumi rigavano e contornavano come lunghe lacrime la vallata tinta d'un verde abbagliante, e dinnanzi mi si prospettavano uomini e uomini sudati, impegnati nella realizzazione del sogno di quella che fu una delle figure più di spicco dell'intero Ottocento.
Quel che ammiravo della sua forte personalità era il non fermarsi di fronte alle critiche e alle difficoltà, perseguendo ineluttabilmente la sua ossessione: ritrovare l'affascinante Troia di Omero, ripresa poi da gran parte dei mitografi che vennero dopo di lui. Il suo nome, indimenticabile: Heinrich Schliemann.

C'eravamo conosciuti nel 1868 al suo stesso matrimonio: convolato a nozze con una mia parente greca di origine, Sophie Engastromenos, avevamo subito notato un'intesa straordinaria, e decidemmo di mantenere vivi i contatti. Quando poi nel 1870 mi comunicò di aver iniziato le ricerche del famoso "Tesoro di Priamo" si decise a portarmi con sé, e fui veramente entusiasta all'idea di intraprendere un percorso così formativo con una persona di tanta spiccata cultura e intelligenza. Adesso avevo ventitré anni, lo assistevo personalmente e mi sentivo privilegiata nelle vesti di aiutante. Elisabetta De Luca, assistente personale dell'archeologo Schliemann.

Nacqui nel 1849, ed era strano come la mia longeva e stanca vita si sforzasse ancora, nel 1947, in una gelida Berlino del dopoguerra, a scrivere appunti e rimembrare passati mai dimenticati.
Schliemann lo trovò, poi, il tesoro di Priamo, ed era bizzarro pensare che in seguito alla sua morte, da qui al più vicino 1945, Hitler avesse ordinato di metterlo nel suo bunker per impedirne il ritrovamento da parte dei sovietici. Così non fu, e Stalin se ne appropriò dopo la Seconda guerra mondiale. Doveva essere prezioso, allora, aveva avuto ragione.

«L'ho trovato», disse, «Elisabetta, io l'ho trovato!», e fu da quelle parole che il suo desiderio veniva a compimento. Lo avrebbe reso pubblico a tutta l'Europa, e nonostante sentissi che ci sarebbe stata avversione nei suoi riguardi, lo sostenevo e mai gli avrei voltato le spalle. D'altra parte quei bacini idrografici erano così simili a uno Xanto e a un Simoenta*[1], e la piana poco distante dai monti poteva ospitare un intero esercito nemico. Eppure quel sassolino in mezzo alla scarpa faceva sorgere in me qualche dubbio: il modesto abitato ritrovato da Schliemann era diverso dalla Troia dalle porte di bronzo e le mastodontiche mura narrata da Omero. Il poeta o chi per lui in quel suo ἔπος*[2] aveva sicuramente lasciato lavorare la sua spiccata fantasia, e Schliemann s'era sempre premurato di spiegarmi la differenza tra φημί e λέγω*[3].
Quando poi tornai con la mente da lui, lasciando perdere tutto il resto, potei dire:«Sono felice per te, mio caro amico», chiusi la traduzione dell'iliade e soffiai su un po' di inchiostro fresco; stavo revisionando degli appunti, in quel periodo, appunti che non valevano niente, ma che per me erano di inestimabile entità. Schliemann sembrò non badare a quel che stavo facendo, bensì espresse con entusiasmo puerile tutto quello che aveva da riferirmi, anche se in cuor mio già lo sapevo.
«Hai capito a quanto potrebbe ammontare questa scoperta?», chiese, «A quanto potrebbe essere meravigliosa?»
Più che sulle sue frasi, mi focalizzai sugli atteggiamenti: il suo prendermi i polsi, gli occhi ansimanti di desiderio, il tremolio che avvertivo nelle sue mani gelide... non potevo che annuire, le parole che avevo da dire erano precedute dalle sue, così spontanee e fanciullesche.

Era in quei momenti che mi rendevo conto di quanto Schliemann fosse un genio: mente attenta, determinata, acuta e concentrata nei minimi particolari. Ogni aggettivo, ogni patronimico, ogni epiteto, per lui risaltava come il naso in mezzo alla faccia.
Le minime imperfezioni, i vari buchi di trama e di continuità tra i due poemi omerici, rendevano forte il suo desiderio di continua ricerca, non di qualcosa quanto di se stesso. In ciò che faceva lui rivedeva l'Heinrich bambino del 1829, quando soleva udire i racconti del padre, che, prima di rimboccargli le coperte, gli garantiva sogni tranquilli narrandogli di Ettore, di Achille, di Enea, di Agamennone e di tutti quei greci e troiani che riempivano il suo cuore di un vuoto abissale che pareva incolmabile. Quel vuoto che chiamavo desiderio, attaccamento, fissazione.

Forse per non distruggere i suoi sogni preferivo non criticarlo: mi astenevo da quella banda di scimmie degenerate che miravano ad affossarlo, a renderlo piccolo, vulnerabile a ogni accusa, magari per frode, magari per imbroglio...
Ciò che sapevo, di cui ero certa, era che la fama di quell'uomo avrebbe riecheggiato nell'eternità, il suo nome sarebbe rimasto impresso nei libri di storia, i miei figli e nipoti avrebbero letto di lui, lo avrebbero conosciuto attraverso quelle poche notizie che avevano della sua vita.
E in quel momento pensai a come vivevano loro, i troiani, che sempre più dei greci mi prendevano, che sempre migliori credevo e che sempre avrebbero segnato un punto di svolta nel mio cuore. Soprattutto lui, il figlio della dea...

NOTE:

1. Xanto e a un Simoenta: quelli di cui Elisabetta sta parlando sono i due fiumi che ritroviamo oggi in Turchia. Xanto corrisponde anche allo Scamandro (nell'Iliade Omero lo chiama in entrambi i modi) e corrisponde all'attuale fiume Karamenderes, a sud della collina di Hissarlik. Il Simoenta, invece, corrisponde all'attuale fiume "l'attuale Dumrek Su, a nord della collina di Hissarlik."
2. ἔπος: si pronuncia "èpos" e significa "racconto epico", "epica".
3. φημί e λέγω: si pronunciano rispettivamente "femì" e "lègo", ed entrambi significano "dire" (il significato originale di λέγω è "raccogliere", dire infatti è "raccogliere le parole"); l'unica accezione differente è che φημί indica il dire "irrazionale", ovvero il discorso di fantasia e dunque l'ἔπος; λέγω, invece, è riferito al discorso "razionale" e sensato, dunque al "λόγος".

To be continued...

𝐃𝐄 𝐕𝐈𝐑𝐈𝐒 𝐄𝐓 𝐌𝐔𝐋𝐈𝐄𝐑𝐈𝐁𝐔𝐒 𝐂𝐎𝐍𝐒𝐄𝐂𝐑𝐀𝐓𝐈𝐒 𝐈𝐋𝐈𝐔𝐌 ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora