𝟏.𝟓 - 𝐠𝐚𝐦𝐨𝐬

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L'alba di quel mattino di agosto così intenso era la più bella che Creusa avesse mai visto. Quando era nervosa, o percorsa da innumerevoli dubbi – il matrimonio preoccupava da sempre le fanciulle – soleva sostare vicino alla sua finestra, poggiata sui gomiti, a osservare il meraviglioso panorama che si delineava di fronte a sé, con l'Aurora che pallidamente dominava con la sua luce opaca le distese marine e la catena dell'Ida, che per quanto perfetta pareva disegnata.

Ogni elemento di quel luogo così importante era di un significato e valore inestimabile, più dell'oro che riposava negli scrigni di Priamo, come fosse mandato dagli dèi o da un essere superiore che vigeva silenziosamente su tutti loro. La perfezione della natura era indescrivibile. Aveva imparato a valorizzare ciò che la circondava, perché magari un giorno non lo avrebbe più posseduto.

Non voleva finire per rendersi conto dell'immenso valore delle cose solo dopo averle perse.

Immaginò d'impulso la dimora che da quel giorno sarebbe stata la sua nuova casa, e inevitabilmente fantasticò su come potesse essere il suo talamo nuziale. Lo credeva enorme, con un baldacchino a sporgenze dorate e lenzuola di seta purpuree. Già pensò alla sua prima e ufficiale notte di nozze, e si sentì come una semplice ragazza sognante, sprizzante di felicità sul volto arrossato e intriso di velato pudore. Sino a quel momento aveva solo assaggiato l'amore, adesso, era pronta a farne la conoscenza.

A differenza di quel che pensavano tutti, Creusa aveva un'idea profonda dell'amore e di tutto ciò che costituiva quel sentimento a dir poco magnifico: tutti la vedevano come una creatura logica e calcolata, evitando di guardare quel lato tenero che la costituiva. Si sentiva come rivestita da un esoscheletro che la rendeva visibile solo dal buco della serratura; in pochissimi potevano dire di conoscerla davvero.

Poi un istinto, uno spettacolo magnifico: l'Aurora di zafferano vestita tracciò una scia indefinita per il cielo blu; le ali spiegate formavano un astro luminoso come tutte le stelle del firmamento. Il profumo della dea raggiunse perfino la casa di Priamo, la principessa poté avvertirlo perfettamente. Sbatté le palpebre e si diede un buffetto sulla guancia, come per svegliarsi qualora quello fosse stato un sogno. Invece no, era tutto vero, era tutto reale... se ne rese conto solo poi, quando Beroe, con una voce stridula, richiamò la sua attenzione.

«Euridice, Euridice,» quelle urla provenivano dal corridoio, «sbrigati e vieni subito qui!»

«Arrivo,» bisbigliò lei, «è appena l'alba, non urlare così!»

Fanciulla insolente, pensò Beroe, che liquidò la questione con un sorriso impertinente e un'alzata di occhi al cielo. Euridice, qualche secondo più tardi, dopo essersi rivestita della tunica spalancò la porta e mostrò il suo volto assonnato.

«Sei stata sveglia fino a tardi?» domandò la nutrice, incrociando le braccia al petto.

«Io direi che mi sono svegliata fin troppo presto», ammise Euridice, di tutt'altro avviso.

«Sei emozionata, immagino,» suppose Beroe, «lo ero anch'io il giorno del mio matrimonio... poi mio marito è morto in una spedizione contro le amazzoni, pace all'anima sua.»

Creusa non seppe come rispondere, se non rivolgendo un'espressione lievemente turbata e stranita. Non aveva mai ipotizzato la sua vita senza Enea, e ancora peggio era immaginarselo portato via da una guerra improvvisa. Distolse l'attenzione da quei macabri pensieri: quello era il suo giorno speciale, e non avrebbe permesso a nulla di rovinarglielo.

Beroe le prese d'impulso il volto tra le mani, ne osservò tutte le sfaccettature e si ricordò di quando la principessa era ancora bambina e i suoi lineamenti non erano femminili come in quel momento, e che pareva una dea nel vederla così, con la pelle candida e le guance tinte di rosa. Sorrise.

𝐃𝐄 𝐕𝐈𝐑𝐈𝐒 𝐄𝐓 𝐌𝐔𝐋𝐈𝐄𝐑𝐈𝐁𝐔𝐒 𝐂𝐎𝐍𝐒𝐄𝐂𝐑𝐀𝐓𝐈𝐒 𝐈𝐋𝐈𝐔𝐌 ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora