𝟏.𝟏- 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐞𝐥𝐥𝐞

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La sala principale della reggia di Priamo era una delle più grandi e belle che Enea avesse mai visto: i motivi geometrici che l'adornavano venivano seguiti dagli occhi siderei di quel ragazzo di Dardano *[1] ormai prossimo all'età adulta, quasi si fondesse e confondesse con essi. Tanto era concentrato, che la distrazione lo colse di sorpresa e lo fece inciampare sul chitone*[2] di lino bianco che sua sorella Ilia*[3] gli aveva tessuto.
Alzò lo sguardo verso l'alto da che lo aveva puntato sul pavimento, e il rossore delle sue gote fu paragonabile solo a quello dei suoi capelli vermigli: capì quasi immediatamente di essere osservato. La platea non era numerosa, ma a guardarlo c'era lei, la principessa Euridice dagli occhi cerulei. Quasi per un momento, quando i loro sguardi s'incontrarono, parvero analizzarsi a vicenda, accesi da un desiderio di voler capire e prevedere le parole dell'altro. Incrociò le braccia al petto, si riguardò le unghie, spostò gli occhi verso il basso e in seguito risollevò il capo.

Ella amava paragonarlo a un gabbiano, un volatile in cerca di una meta, perennemente incantato sul mare, innamorato delle acque e delle navi dei marinai che seguiva. Dopo la maledizione imposta da Giove a Scilla, i gabbiani erano costretti, per pietà, ad andare incontro le imbarcazioni imponenti, come fossero guida o spalla.
Chi cercava con quei suoi sguardi, Enea? Cosa cercava?
Le domande le frullavano nella mente come il vento che le scompigliava i capelli, che la faceva sentire leggera, libera.

«Vuoi continuare a fissarmi, o torni alla realtà, sognatore?» lo prese in giro, ridendo sotto i baffi per quel suo essere teneramente impacciato.
«Preferisco guardare te, piuttosto che la realtà», ammise, sempre con quello sguardo che andava oltre le cose, oltre le persone, un po' presente e un po' no.
La risata della ragazza mutò in un sorriso timido. Le guance s'arrossarono e le palpebre si piegarono verso il basso. Il pudore da punzella prossima al matrimonio s'era dimostrato in soli piccoli gesti, di cui Enea s'accorse, e sotto sotto sorrise anche lui. Il suo era un risolino differente, non per il pudore o altro, un sorriso ancor più dolce, come una fetta di pane bianco appena sfornato: gli uomini innamorati cadevano nel sentimento, si emozionavano, riuscivano a provare unicamente quello.

Non si ricordavano la prima volta che si erano incontrati, erano piccoli: Enea aveva cinque anni, Euridice tre. Si conoscevano da tempo, ormai, essendo uniti da legami dinastici: cugini per mezzo dei padri, i re di Dardano e Troia, i due erano cresciuti insieme, ed Euridice aveva ricevuto da Enea l'appellativo di Creusa*[4]. Quando erano solo due fanciulli e il ragazzo era scudiero di Priamo, pronunciò in sussurri solenni queste parole:«Perché sei una principessa... la mia principessa», e con quella frase le barriere imposte ai loro sentimenti crollarono, unendoli come fossero designati dal fato. Dopo molte preghiere, in un torneo di circa due anni prima, Enea aveva ottenuto dal padre della fanciulla il permesso di sposarla. La cerimonia si sarebbe tenuta alla fine del mese consacrato ai gemelli divini*[5], ma più desideravano che l'occasione si avvicinasse, più essa pareva lontana, distante e forse irraggiungibile.

«Come mai sei qui?» riprese la ragazza, dopo quegli attimi di contemplazione.
«Ho saputo che continuerai con i tuoi racconti. Mi piacerebbe assistervi», confidò Enea di tutta risposta, «per la verità, direi di aver condotto qui mezza Dardano; credo che le tue storie meritino di essere raccontate.»
Un sorriso, un battito del cuore, una parola, che tutto il resto taceva, e restava in secondo piano. Succedeva quando il fiume delle parole interrompeva il suo corso, lasciando spazio al complesso ma decifrabile linguaggio del corpo.
«Credi che meriti davvero di essere ascoltata?», domandò ancora, curiosa di sapere quello che il dardanide aveva da dirle. Egli annuì, e a fargli eco vi fu Alike, primogenita di Irtaco*[6], la prima persona ad aver mai prestato ascolto a un suo racconto.
«Lo crediamo tutti», confermò questa con un sorriso.
Quando Enea e l'Irtacide*[7] che l'aveva seguito furono condotti nella stanza riservata agli ospiti, incontrarono le numerosissime schiere di Priamidi, e tra essi riconobbero il maggiore, Ettore, in compagnia di sua moglie Andromaca. Avevano preso posto presso l'ultima fila, e i nuovi arrivati si posizionarono accanto a loro. Di Ettore si diceva fosse uno dei migliori soldati mai esistiti, e di sua moglie venivano espresse solo lodi. D'altra parte era la principessa perfetta: devota al marito, al protocollo e all'obbedienza dinnanzi la volontà altrui. In apparenza si sarebbe detto che fosse una donna forte, e che Creusa la stimasse molto. Era stata obbligata ad arrivare a Troia, ma una volta giunta non se ne volle più andare: s'innamorò di Ettore, e lui ricambiava cordialmente il sentimento. Il loro doveva essere un amore puro, divino, da far invidia a qualsiasi umano e dio. Erano i futuri sovrani di Troia, ciò era scritto nelle stelle e ciò sarebbe stato. O meglio, avrebbe dovuto essere.

𝐃𝐄 𝐕𝐈𝐑𝐈𝐒 𝐄𝐓 𝐌𝐔𝐋𝐈𝐄𝐑𝐈𝐁𝐔𝐒 𝐂𝐎𝐍𝐒𝐄𝐂𝐑𝐀𝐓𝐈𝐒 𝐈𝐋𝐈𝐔𝐌 ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora