Enea, dopo essersi lasciato alle spalle la lussuosa reggia e le ampie case, si incamminò verso i monti per raggiungere la città di Dardano. Attraversò lo Xanto e il Simoenta, fiumi presso cui sua madre lo aveva partorito, e infine giunse alle pendici rocciose.
Bussò alla porta della sua dimora, una casa in legno pregiato e dai soffitti altissimi, e ad aprirlo la nutrice, Caieta, che lo rimproverò del ritardo:«Ah, Enea, Enea... vedi di non farti attendere più così tanto, ché sennò tuo padre chi lo sente!»
Era ormai diventata una ripetizione, quell'apostrofe – ché sennò tuo padre chi lo sente – tuttavia il buon Anchise non aveva mai qualcosa da dirgli, e si limitava sempre ad accogliere il suo figlio prediletto con un sorriso.
Difatti costui, che nonostante l'età e la scoliosi che da anni lo affliggeva restava un uomo bellissimo, lo ricevette a braccia aperte, e insieme a lui gli altri fratelli.
Erano sei figli, in tutto, ma una fiamma del casato reale di Dardano si era spenta, impedendo di tornare a splendere: Lirno, il fratello gemello di Enea, due anni prima da quel giorno era partito verso terre lontane, non facendo mai più ritorno. Aveva commesso uno di quei peccati su cui Priamo, re ufficioso di tutta la Troade, non poteva transigere, e a malincuore Anchise aveva dovuto disconoscere la sua paternità*[1]. In casa la sua mancanza era avvertita; tuttavia, l'affetto da parte degli altri non mancava.
Ippodamia, la maggiore, era una donna amorevole e operativa, indicata come la migliore tra le principesse di tutta l'Asia, essa comprendesse la Troade, o la Frigia, o la Misia. Era un'ottima tessitrice di pepli, la prediletta della sacerdotessa Teano*[2], a cui tutti i fratelli minori, e in particolare Enea, facevano riferimento, per un consiglio o un'opinione.
Suo marito Alcatoo era molto probabilmente l'uomo più giusto e fedele che fosse mai esistito: aveva ereditato dal padre Esiete, un troiano fedelissimo a Giove, quelle qualità che, a differenza di altri uomini, lo contraddistinguevano. Avevano cresciuto Enea educandolo alla caccia, alla lettura, alla scrittura e alle arti oratorie, e se quel giovane ora era uno dei più stimati condottieri lo si doveva al loro impegno e perseveranza.
Ilia era una ragazza adorabile, almeno a primo impatto: bassa, dalle forme proporzionate e l'aspetto gradevole, brillava anche lei nell'arte del cucito, pur non spiccando agli occhi di Teano come la sua sorella maggiore. La sua gentilezza e affabilità l'avevano portata a essere amata da tutti, soprattutto da suo padre, ma a ormai ventisei anni di età non era ancora riuscita a trovarsi un marito, avendo in molti rifiutato le proposte di Anchise. Era destinata al consacramento verso la dea Diana, a divenire una cacciatrice abile e seguire gli insegnamenti di Ieromnene e Sterope*[3]. In alternanza, poteva dedicarsi al culto di Cibele presso l'importantissimo santuario che era situato alle pendici dell'Ida. Spesso la si trovava a battibeccare con Elimo ed Echepolo, altri gemelli generati da una stessa schiava, che amavano la caccia e le battaglie ma, essendo illegittimi, incapaci di ricoprire posizioni di rilievo all'interno della comunità dardanide: il primo, dalla parvenza amabile, avrebbe seguito le orme di suo zio Laocoonte*[4] e sarebbe divenuto sacerdote; il secondo, invece, si occupava volontariamente delle scuderie di suo padre, visto il legame forte che aveva con gli animali, soprattutto con i cavalli. Quello stesso legame, poi, si sarebbe rivelato la sua maggiore condanna.Infine c'era Enea, partorito da Venere, quella che dagli uomini veniva citata come la più bella fra le dive immortali, e che un giorno, vittima di un suo stesso inganno*[5], si innamorò perdutamente del giovane Anchise.
Ella lo vide su uno dei pendii della catena montuosa, e ricordandosi di come Ganimede fu rapito presso le stesse valli, decise di sposare quell'essere umano di straordinaria bellezza e virtù. Spiegò le ali bianche e piumate, inquadrò il giovane coi suoi occhi azzurri e fermi e si diresse verso Cipro, ove aveva sede la sua dimora. Raggiunse il suo splendido palazzo, lì l'attendevano le tre Grazie*[6], che la unsero d'olio di ambrosia, la adornarono di gioielli e di un peplo smagliante, più della vampa di un fuoco. Successivamente lo saldarono con la famosa cintura dorata**[5] e poté partire verso Dardano.
Si stanziò sull'Ida, cominciando a camminare per le fiere: già giacevano, al suo passaggio, leoni e pantere dal pelo nero e lucido, tigri, cerbiatti, abitanti del cielo, della terra e delle acque, dello Xanto e del Simoenta. Si addentrò nella casa di Anchise, che ancora doveva far ritorno dal pascolo, e si stanziò vicino a una enorme apertura, lasciando che il vento e la brezza le rinfrescassero la pelle e i capelli ondulati.
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𝐃𝐄 𝐕𝐈𝐑𝐈𝐒 𝐄𝐓 𝐌𝐔𝐋𝐈𝐄𝐑𝐈𝐁𝐔𝐒 𝐂𝐎𝐍𝐒𝐄𝐂𝐑𝐀𝐓𝐈𝐒 𝐈𝐋𝐈𝐔𝐌 ✓
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