Prologo

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Grigoriy guardò Nikolay che stava leggendo un libro scritto in cirillico.

-Anche se hai passato molti anni in America, ricordi molto bene la tua lingua natia...- Gli disse sedendosi vicino a lui sul divano.

Il ragazzo sospirò, chiuse il libro e guardò l'altro negli occhi. -Cosa ci faccio qui?-

-Ti stai curando, per ciò che ti è successo...- Rispose l'altro.

-Non in quel senso, Gry. Perché mi hai salvato, perché mi hai portato via? Perché mi stai curando e ti occupi di me?-

Grigoriy si passò una mano fra i capelli. -Perché quando ti ho visto in quelle condizioni, non potevo lasciarti là...-

-Non ero l'unico...-

-Degli altri ce ne stiamo occupando...-

-Gry, ho veramente bisogno di sapere la verità...-

L'uomo si alzò in piedi e andò alla finestra.

-Ho fatto molte cose nella mia vita. Anche degli errori e sto cercando di rimediare...-

-Che vuoi dire?-

-Per un periodo in cui ero confuso, ho aiutato delle persone...- Emise uno sbuffo. -I miei non lo sanno. Io ho aiutato i tuoi rapitori, ti ho riconosciuto, perché ricordo benissimo i tuoi occhi. Mi dissero che ti avrebbero portato a studiare, non sapevo o forse non ho voluto sapere...-

-Come...come...li hai aiutati?- Sussurrò il piccolo.

-L'aereo che ti ha portato in America, era il mio, ti fecero dei documenti falsi, e poi non ti vidi più. Fino a quel giorno, e ti ho liberato...-

-E non c'è nessun altro motivo?- Nikolay sembrava deluso.

Grigoriy chiuse gli occhi, ne aveva molti di motivi, ma non poteva dirglieli, non voleva causargli altri traumi.

-No, che altro motivo dovrei avere...-

La voce del giovane era delusa mentre diceva un "Ah...".

Lo sentì alzarsi e andare a chiudersi nella sua stanza.

"Sono un idiota, sono uno stupido, sono un codardo..." Si ripeteva mentalmente.

Ma come fare a dirgli che era secondario il fatto che si sentiva in colpa, ma che lo voleva?

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Sentì riaprirsi la porta della stanza del giovane, lo vide uscire con una valigia.

-Dove vai?- Grigoriy lo guardò incrociando le braccia sul petto.

-Ho bisogno di prendermi del tempo. Devo ritrovare la mia famiglia. Devo capire chi sono. Non posso rimanere qua e non fare nulla della mia vita...-

-Vengo con te...- Disse sicuro.

Nikolay lo fermò. -Ho bisogno di farlo da solo. Se e quando mi servirà qualcosa da te o dagli altri, verrò a cercarvi...-

Grigoriy sospirò, poi si avvicinò al giovane.

Gli diede in mano una busta, sapeva che sarebbe successo, era gia pronto.

-Qui ci sono i tuoi documenti, una carta di credito ad uso illimitato, e l'indirizzo dei tuoi, e dei soldi in contanti, cerca di diventare un "invisibile" e se sei nei guai...-

Il giovane annuì, guardò l'uomo davanti a sé e si avvicinò baciandolo, un lieve tocco delicato, senza nessuna pretesa. -Grazie, un giorno tornerò...- Poi si voltò e se ne andò.

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Nikolay si svegliò di soprassalto, quasi ogni giorno sognava di lui. Sbuffò infastidito.

Erano passati quasi dieci mesi, eppure la sua mente, e il suo cuore, erano sempre dietro all'uomo che era il suo inferno e il suo paradiso.

Si alzò dal letto, aveva un piccolo appartamento in una zona studentesca, aveva cercato e ritrovato la sua famiglia, ma lo avevano "rifiutato". Nel momento in cui aveva detto loro che era gay, non si erano nemmeno scusati per tutto quello che gli avevano fatto passare, anzi, sembravano convinti che era colpa della sua omosessualità, e che quindi si era meritato tutto.

Aveva sputato in faccia a quello che doveva essere suo padre, e se n'era andato.

Era rimasto confuso per qualche settimana, non capendo cosa voleva fare della sua vita, quindi si era iscritto a delle scuole, aveva fatto corsi serali, per ritornare ad un livello accettabile di conoscenza.

I suoi studi si erano fermati quando lo avevano rapito e portato via.

Si versò una tazza di caffè, guardando fuori dalla finestra.

Era riuscito a studiare in quei mesi, a mettersi in pari con tutto, anche perché non aveva una vita sociale. Aveva ancora paura.

Quella era ormai dentro di lui sempre, legata alla sua mente, ogni psicologo e psichiatra che avevano consultato, ancora quando abitava con Gry, gli aveva dato un opinione diversa, uno disse che era schizofrenico, un altro che era borderline, il più realistico disse che era stress post traumatico.

Lui la chiamava solo paura. Paura di ritornare in quello schifo, paura di ricevere torture e violenze.

Paura delle persone, che fossero tutte uguali.

Per coprire alcune cicatrici sulla schiena, si era fatto un tattoo.

Andò allo specchio guardandosi la schiena.

Un enorme aquila nera con le ali aperte.

Le ali coprivano le spalle e scendevano verso il corpo e il centro della sua schiena. Gli unici tocchi colorati erano gli occhi giallo-arancione, il becco e le zampe, con gli artigli che tenevano fra di esse delle catene spezzate.

Per lui significava la sua libertà, ma anche che era rimasto segnato.

Per questo aveva voluto incidere sulla sua pelle la paura, per esorcizzarla.

La paura c'era ancora, stava sempre attento ad ogni cosa, ma si sentiva meglio.

Anche se gli mancava qualcosa, o meglio qualcuno.

Guardò di nuovo fuori dalla finestra.

Gry.

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