Parte 4

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– Signorina Rosencrans, mi rincresce aver creato il caos, ma la "new entry" della scuola mi ha rubato un anello questa notte. La direttrice si voltò verso Astrel ed enfatizzò un'espressione di agghiacciante sbalordimento. Sgomenta da quanta sfacciataggine e sangue freddo potesse avere Liudmila, intervenni nella discussione con impulsività. – Non è affatto vero! Liudmila ha inventato ogni cosa. Mi creda, è la verità. – La direttrice non diede peso alle mie parole, e rimarcando quell'aria inapprensibile non si scompose di una virgola. - Signorina Astrel, ha mai sentito pronunciare la parola reato? Lo sa che i peggiori delinquenti cominciano sempre cosi? Prima qualche caramella al negozio d'alimentari, poi uno o due scippi per strada, e in men che non si dica si ritrovano dietro le sbarre costretti a restarvi per molto, molto tempo. – Astrel si concesse una risata nervosa, chiedendosi fino a che punto quella donna credesse a ciò che affermava.– Probabilmente non ci siamo intesi. – M'intromisi ancora, monopolizzando l'attenzione sul mio cipiglio. – Astrel non è una ladra. – La Rosencrans sbottò brutalmente. – Adesso basta, Svetlana Yaroslavna! Ne ho abbastanza del suo atteggiamento da paladina. Non voglio più vederla impicciarsi in questioni che non la riguardano, e se la scopro a spendere una sola parola in sostegno di quella squilibrata d'Irina, le faccio passare i guai! – Liudmila rise beffardamente – Irina! Lo sanno tutti che è pazza. - Forse era il caso di non replicare alle impudenze della Rosencrans, ma sapevo che di lì a poco Astrel sarebbe stata punita, decisi dunque, di perseverare con caparbietà.- Perché finge di non intendere ciò che dico? Andiamo! E' illogico che un ladro s'intrufoli in una stanza con l'intenzione di rubare ma non porta via né soldi né oggetti di valore, limitandosi a sottrarre uno stupido anello che fra l'altro non è neppure d'oro. - La Rosencrans corrugò la fronte, il mio discorso filava così corretto che avrebbe voluto darmi ragione, ma non lo fece naturalmente. La situazione le stava sfuggendo di mano. Aveva chiesto lei a Liudmila d'architettare quella messinscena, ma si aspettava che l'alunna benamata avesse maggiore sagacia nel rendere il tutto verosimile. Senza saperlo, avevo posto la direttrice in serio imbarazzo, e ora, la donna meditava a mani giunte sul da farsi. Il suo volto inespressivo non permetteva alla preoccupazione d'intravedersi, e il suo silenzio prolungato non lasciava spazio ai buoni pronostici.- Quando lei si rivolge a me, Svetlana Yaroslavna, tiene a mente il concetto di gerarchia? Solo un folle s'arrogherebbe la superbia di ammendare la direttrice della scuola. - Ormai mi ero cacciata in un bel guaio, e qualsiasi cosa avessi aggiunto, non sarebbe servita a mitigare la mia posizione. Ripiombando nel silenzio, la donna si alzò dalla scrivania e si diresse verso il carrello porta vivande. Dalla sua collezione di liquori scelse un whisky e ne versò una piccola quantità in un bicchiere di cristallo. Dopo averne sorseggiato una goccia tornò alla sua scrivania, e abbandonò il bicchiere accanto al fermacarte. – Ieri mattina ho contattato un imbianchino, il muro di cinta del cortile ha l'intonaco che viene giù a pezzi. – Disse, tornando col bicchiere fra le mani. – Considerate le circostanze, credo sarà divertente per lei trascorrere un bel pomeriggio all'agghiaccio in compagnia di un pennello. – Un sorriso sornione modellò le sottili labbra di Liudmila " Se ha punito Svetlana così, Astrel è praticamente espulsa dalla scuola. Oh, sono geniale, il mio piano ha funzionato alla perfezione! " Pensò, reprimendo a fatica l'entusiasmo. – Si rivolga al signor Vyacheslav Lavrov, lui le fornirà il materiale occorrente per tinteggiare il muro, e ora, uscite dal mio ufficio e lasciatemi lavorare. – Astrel era incredula, letteralmente sdegnata da tanta cattiveria. – Quello che sta facendo è vergognoso! – Sbottò, penetrando la Rosencrans negli occhi con una sfacciataggine estranea al suo carattere. – Sono io la ladra, giusto? Allora punisca me. – La direttrice rispose dal dispotismo della sua poltrona, adottando un tono talmente freddo da apparire non umano. – Pare che la ragazzina londinese accusi difficoltà nel recepire concetti elementari: prendo io le decisioni all'interno di queste mura, la mia parola è irrefutabile. E adesso andate fuori dalle scatole! Vi concedo tre secondi per sparire o incapperete in ben altri guai. – Amareggiata dalla perfidia che incarnava quella donna, presi Astrel per mano e la condussi verso la porta.- Lascia stare, è solo una vecchia arpia malefica. – Le bisbigliai mentre andavamo via. Prima di congedarsi, Liudmila si attardò qualche momento fissando la Rosencrans a bocca aperta. " Io non capisco. " Pensò aggrottando le sopracciglia " La direttrice cercava un pretesto per espellere Astrel, e ora che ne possiede uno fra le mani, non ne approfitta ma punisce solo Svetlana. Che diamine passa per la testa di quella donna? " Liudmila stava quasi per muovere la sua obbiezione, era sul punto di sbottare pretendendo delle spiegazioni che giustificassero quel comportamento illogico, ma la direttrice le intimò nuovamente d'uscire con un semplice, ma efficacissimo gesto della mano. Un lungo e fatiscente corridoio buio, una luce abbagliante in fondo a esso. Sulle pareti riecheggiava l'eco dei suoi passi incalzanti, mentre il soffio del suo respiro si faceva trafelato. Col cuore in gola e a gran velocità, Irina saettava verso l'uscita. Voltandosi con un guizzo della testa, scorse Ivan correrle dietro come un toro inferocito, era troppo veloce, di lì a poco l'avrebbe raggiunta. – Fermati bastarda! Dannazione Ira, non fare la stronza, fermati ho detto! - Atterrita, la ragazza cercò d'accelerare ulteriormente il passo sentendo le forze venirle meno. Tutto inutile, le possenti braccia d'Ivan l'agguantarono come arpioni, impedendole di proseguire la sua corsa. Sfiatata, Irina si dimenò e provò a colpirlo, voleva sferrargli un pugno, centrarlo dritto in faccia per fracassargli il naso. Non ci riuscì. Ivan era più forte e non si pose scrupoli nell'immobilizzarla spalle al muro. Ormai in trappola, la ragazza comprese di nulla potere contro il suo brutale aggressore, e con le lacrime agli occhi tentò invano d'indurgli compassione implorandolo con indulgenza. – Ti prego lasciami andare, non voglio entrarci più nulla in questa storia, ti prego Vanja, ti scongiuro. – Lui la puntava minaccioso.– Nessuna può uscirne Ira, lo sai a cosa vai incontro se tenti di scappare, vero? - Irina sentì le gambe cedere dalla paura e la voce bloccarsi in gola, nondimeno, cercò dentro sé la forza per reagire a quelle pesanti minacce. – E tu lo sai a cosa vai incontro se solo informo la polizia di quello che mi costringi a fare? A me e alle altre, naturalmente. - Le parole erano venute fuori di getto e senza mediazioni, mosse da un impulso disperato, lo stesso impulso che aveva spinto Ira ad affrontare testa a testa la persona che più di ogni altra, riusciva a farla cadere in un cronico stato di soggezione. Tuttavia, adesso attendeva timorosa la reazione del compagno di scuola, che preludeva già alquanto crudele. Ivan sentì un improvviso bollore ardergli il viso. Come aveva osato una persona insignificante apostrofarlo in quel modo? Il sangue gli ribollì in testa mandandolo in tilt. In preda a un raptus estrasse un coltello dalla tasca dei jeans, lo fece roteare più volte tra le mani, e poi, lo punto dritto al collo della ragazza. Inghiottendo rumorosamente, Irina percepì la fredda lama del coltello lambire minacciosa la sua pelle. - Non farmi del male. - Fu l'unica cosa che riuscì a dire con un fil di voce – Ti prego abbassa il coltello. – Continuò. Terrificata dalla minaccia di una morte prematura, consapevole che Ivan aveva ormai abbandonato ogni facoltà razionale, Irina immaginò che quel viso indemoniato fosse l'ultima cosa che le restasse da vedere.– Se solo ti azzardi a riferire mezza parola agli sbirri, se osi raccontare a qualcuno ciò che ogni notte fate per me, giuro che ti farò pentire amaramente d'essere venuta al mondo. Nessuno deve sapere, chiaro? - Irina annuì con un cenno del capo, auspicandosi che il suo compagno di scuola le permettesse ora d'andar via. Ivan lesse il terrore negli occhi straziati della ragazza. Sapeva d'impugnare il coltello dalla parte del manico, letteralmente, e ciò gli donò un piacevole senso d'onnipotenza. - Sai che potrei ammazzarti se solo lo volessi? Mi basterebbe aumentare la pressione sul tuo grazioso collo per mozzarti la carotide. E ciò che vuoi, Irina? Morire da sola in un magazzino desolato, sgozzata come un maiale da macello? Vuoi che il tuo corpo putrefatto sia rinvenuto nei fondali del Moscova? –- No! – Vociò stentorea la ragazza.- Bene, allora vedi di non farmi incazzare un'altra volta. Devi fare la brava con me, lo sai. – Ivan ammiccò beffardo e aggiunse. – Questa sera c'è un mio amico che vorrebbe fare la tua conoscenza, si chiama Nikolaij e sarà qui per le undici. Osa disertare l'appuntamento, e ti farò conoscere il lato animalesco del mio carattere. -Le nuvole leggere carezzavano il cielo del tardo pomeriggio disegnando figure che solo la fantasia poteva decifrare. In piedi in mezzo al giardinetto del Majakovskij, con le guance semi congelate e le mani sporche d'intonaco, osservavo il lavoro appena svolto. Il muro di cinta era stato ritoccato in tutto il suo perimetro, così come stabilito dalla Rosencrans per punire la mia insolenza. Le braccia mi dolevano tremendamente, dopo aver trascorso un intero pomeriggio a fare su e giù con un pennello colante di vernice, quasi non le sentivo più. Desideravo tornare in camera e fare una doccia calda, tuttavia, la panchina vuota alla mia destra assunse un inedito aspetto invitante, sedermi qualche momento prima di tornare in camera era ciò di cui avevo bisogno. Attorno a me, sfumature autunnali e invernali si fondevano all'orizzonte del panorama. Il vento rapiva le fronde giallognole ai rami delle betulle per danzarvi in vivace armonia, poi le abbandonava ai loro destini, lasciando che si adagiassero al bianco suolo per baciarlo di oro. Chiudendo gli occhi sotto la pressante stanchezza, m'accorsi di quanto silenzio regnava in quel piccolo giardino; nonostante la scuola fosse a soli due passi dal centro di Mosca, nessun rumore metropolitano riusciva a penetrare lo scudo silenzioso che vi aleggiava. - Ciao – Una voce calda e familiare giunse alle mie orecchie. Voltandomi, vidi Astrel raggiungermi e sedersi sulla stessa panchina malconcia che ospitava me. – Wow! – Esclamò meravigliata, sotto lo scricchiolio del legno marcio. – Lo hai dipinto tutto da sola? – Chiese, intuendo quanto la domanda fosse retorica. – Ma, quel muro è alto un metro e lungo pressappoco altri nove, come hai fatto a pitturarlo in così poco tempo? – - Lavorando sodo. – Le risposi con voce ansante. – Il signor Vyacheslav si è prestato più volte ad aiutarmi, ma ho preferito non farlo incappare nei rimbrotti di quella megera. -Astrel si fece incupita. – Spettava a me quest'incombenza, tu non meritavi una punizione così rigida. –- Nemmeno tu. – Replicai, ammirandola, anche con lo sguardo triste era bellissima. – La Rosencrans avrebbe dovuto punire Liudmila, è soltanto sua la colpa di tutto ciò. - Astrel fece spallucce rassegnata. – Sua, mia, ormai non fa alcuna differenza. Tutti qui, mi credono una ladra, e io non posso dimostrare il contrario. –- Io resto comunque dalla tua parte, hai la mia parola. Qualsiasi cosa accadrà, non sentirti mai sola. - Astrel rapì la mia mano e la fasciò fra le sue dita inguantate e tiepide di lana.– E' la prima volta che qualcuno fa questo per me. Tu mi hai difeso ostinatamente, hai perorato la causa di una ragazza che conosci da appena due giorni. Non eri obbligata, eppure lo hai fatto, certa di non ricavarne nulla se non guai. - Ciò che disse mi addolcì come miele, ancora una volta sentii il desiderio di baciarla e condurla in me con passione. Astrel accolse le mie labbra e con trasporto m'inebriò della sua essenza. Baciandola, compresi di provare qualcosa in più che una semplice attrazione fisica, io mi ero perdutamente innamorata. Sì, amavo un'altra ragazza, l'amavo davvero. Ultimamente scrivo al diario più del solito, con l'inchiostro imprimo domande che si sommano caoticamente alle altre già presenti. Ci sono così tanti quesiti in quelle pagine che una notte ho sognato di sfogliarle al contrario e di leggervi finalmente risposte esaurienti. Se solo con la realtà si potesse fare lo stesso! Magari, saprei già cosa mi vieta d'amare una donna, capirei perché la società non accetta con tolleranza le mie scelte sentimentali, che di certo, non ledono la salute di nessuno.- Tu sei d'accordo con loro? - Domandai una volta al diario - Pensi che sia sbagliato innamorarsi di una ragazza? Come se si potesse scegliere. Certe cose succedono e basta. E poi, ti sembra che io abbia qualche problema? Forse tu non lo sai, ma le persone ignoranti considerano l'omosessualità una grave malattia, alcuni genitori consultano i migliori psicologi nello speranzoso tentativo di "guarire" i propri figli. - Tutto questo è umiliante per la dignità di una persona, non trovi ? – Tempo fa presi la metro, dovevo dirigermi al parco botanico. Mi sedetti in fondo al vagone, casualmente, vicino a due donne sulla quarantina che interloquivano amichevolmente. Indossavano dei colbacchi di volpe e avevano un marcato accento del sud. Parlavano del più e del meno, discorsi vaghi che non ricordo, solo una parte della conversazione mi rimase spiacevolmente impressa. - Tu come reagiresti se un giorno scoprissi d'avere un figlio omosessuale? - Chiese una delle due donne, l'altra non rispose, quasi scandalizzata dalla domanda scabrosa, poi, con aria schifata disse - Oh mio dio! Preferirei mille volte essere la madre di un delinquente che di un gay. - Di colpo mi voltai verso quella donna e la fissai basita, lei notò il mio gesto, e come a volermi sfidare, mi punto negli occhi con ironica commiserazione. - Che c'è? Fai parte del club anche tu? Sei una di quelle? Oh, non vorrei mai venirti madre. - Lasciandomi senza parole, la donna si alzò e si diresse verso l'uscita, l'altra la seguì un po' imbarazzata, e insieme scesero dal treno che si era appena fermato a una stazione. - Razzista pervertita! - La insultai con tutto il fiato che avevo in gola, alcuni passeggeri mi osservarono perplessi. Quest'episodio, caro diario, lo porto dentro con dolore. Sono convita che se tu potessi parlare, mi diresti di ragionare con obbiettività, e di capire che quelle parole sono state pronunciate da una donna stupida. Converrei volentieri con te, se non fossi certa che in fin dei conti l'intera società la vede così, soltanto, che alcuni preferiscono dissimulare i loro sentimenti sotto un infimo velo di un artificioso buonismo. In tutte le popolazioni del mondo, da nord a sud, da est a ovest, la parola "omosessuale" suscita scandalo e vergogna. E' come una colpa dalla quale ci si deve redimere, uno scheletro nell'armadio da tener ben nascosto. E non dirmi che un giorno le cose cambieranno, che l'uomo imparerà a seguire l'amore ovunque lo conduca temendo soltanto l'odio, il tempo in cui ciò accadrà, è tanto recondito quanto l'infinito. –Uscendo dalla presidenza, la Rosencrans spense la luce e chiuse a chiave la porta. Erano le ventitré passate, e in mezzo alla penombra del corridoio, la donna contava i passi che la separavano dal suo elegante appartamento, locato al penultimo piano dell'istituto. Fra le grinze della mano stringeva un mazzetto di chiavi e il manico della valigetta porta documenti. Giunta alla scala principale, scorse una sagoma scura stazionare sui primi gradini. - Chi è là? - Domandò, mentre si avvicinava alla silhouette per svelarne l'identità. – Liudmila Borisovna! – Strepitò sorpresa, dopo averne riconosciuto il volto. – Che cosa ci fa qui? Sa che dopo le nove pretendo il massimo silenzio, e non tollero di vedere gente a bighellonare per l'istituto. Torni in camera sua, adesso. - Liudmila fece orecchie da mercante, e comportandosi come se quell'appassionato rimprovero non le fosse mai stato posto, inveì contro la donna, dimenticando per un momento chi aveva di fronte.– A che gioco stiamo giocando, signorina Rosencrans? Per quale motivo mi ha spinto a fare una cosa simile se poi non è servita a nulla? – Strillò, con il viso corrucciato. La Rosencrans non ebbe alcuna reazione apparente. Il suo sguardo cheto e imperturbabile strideva con la situazione animata.- Non so a cosa si stia riferendo, Liudmila. – Disse la donna con voce apatica. L'allieva indugiò qualche istante prima di ribattere, la soverchia tranquillità della Rosencrans la inquietava parecchio, quella donna era perfettamente in grado di gestire le proprie emozioni, per tale ragione le riusciva così semplice agire in maniera spietata.- Sa benissimo a cosa mi riferisco! -- No, non lo so. – Ribadì la donna cominciando a salire le scale.- Sto parlando di ciò che è successo oggi, del furto che mi ha costretto a inscenare. - La Preside si fermò con i piedi su due gradini differenti, e poggiandosi sul passamano si voltò verso l'allieva.- E allora? Il suo piano si è rivelato un fiasco, e lei ne pagherà le conseguenze. - Liudmila cominciò a frignare e a tirarsi i capelli.- Il mio piano era perfetto! Tutta la scuola ha creduto che quella stupida anglosassone mi avesse rubato un anello, e stata lei che ha lasciato il furto impunito. Non è mia la colpa! - La Rosencrans rise sarcasticamente.- Sei proprio un'inetta, Liudmila. Una persona all'altezza della situazione, non avrebbe mai congeniato un piano così balordo. Bastava che tu nascondessi soldi in quello zaino, una somma compromettente, ed io ti avrei subito appoggiato denunciando un furto di denaro dal mio appartamento. - Un silenzio repentino calò fra le due. Liudmila incrociò le braccia e meditò a lungo su quella possibilità.– E va bene! – disse infine, ostentando scaltrezza. – Ho sbagliato lo ammetto, ma siamo in tempo per rimediare. Mi procuri dei contanti e vedrà di cosa sarò capace. - La Rosencrans sembrava persuasa, ma non lo diede a vedere. - Ci penserò su. - - Dunque... siamo d'accordo? Mi concederà una seconda chance? –- Ho detto: ci penserò su! – Sbottò la preside riprendendo a salire le scale.18 La Far DreamLe buie e tranquille acque dell'oceano Atlantico ospitavano l'imponente sagoma della Far Dream, una sfarzosa e rinomata nave da crociera, che più volte l'anno salpava da Southampton alla volta di New York. Il varo del raffinato transoceanico, avvenuto appena due anni addietro, era riuscito a sfatare tutti gli scetticismi e le polemiche per ciò che i media definivano " La rinascita di un mito", o con toni più sensazionalisti, " Il Titanic riemerge dagli abissi ". Si stentava a crederci, ma salire a bordo della Far Dream significava tornare al 1912 e rivivere il fascino di un gioiello sfortunato e dalla vita effimera. - Intendiamo restituire all'Inghilterra ciò che il mare le ha sottratto. Una volta terminata, la Far Dream diventerà la precisa copia del Titanic. – Così commentava l'architetto Charles Chatham ai microfoni della BBC. – A parte le nuove tecnologie adottate per i sistemi di propulsione e navigazione, lo stile architettonico della nave rispecchierà in ogni dettaglio quello del celebre transoceanico. Io e il mio collaboratore stiamo lavorando alla ricostruzione del salone da pranzo, che realizzeremo in stile Giacomo I, con colonne dorate e suppellettili in argento. Anche le sale da lettura, decorate con intarsi di madreperla su pannelli di mogano, faranno fede alle originali. Il tocco finale sarà conferito dal grande scalone A, uno degli elementi ornamentali di maggior spicco, insieme al cupolone di vetro che lo sormonterà. – Il revival del Titanic apparteneva un po' a tutti, all'orgoglio dei britannici come alla storia della navigazione, ma quel lusso galleggiante restava un privilegio riservato a esigui facoltosi. Solo chi poteva acquistarne il biglietto avrebbe aperto le braccia al vento per farsi immortalare sulla prua della nave, partecipando poi, a un'indimenticabile festa a tema con abiti d'epoca. L'attuale viaggio della Far Dream volgeva quasi al termine. Il suolo americano si stagliava all'orizzonte come un lungo nastro scintillante, spezzando con i suoi bagliori la piattezza della notte. Gli oltre duemila passeggeri si preparavano a scendere, poche ore di navigazione, e anche per loro un'esperienza indimenticabile si sarebbe conclusa. Stringendo a sé il cappotto, Lara passeggiava serenamente sul ponte di coperta. Adesso poteva respirare una boccata d'aria fresca e scaricare lo stress accumulato durante una lunga settimana di lavoro a bordo. Il firmamento sovrastava il mare ornando la notte di magia. Il rumore dei motori si fondeva a quello dello scafo battuto dalle onde. Poggiandosi al parapetto, la ragazza lasciò che la brezza notturna le sfiorasse il volto. Osservando New York avvicinarsi sempre più, Lara capì d'avercela fatta. Era riuscita a scappare dall'Inghilterra, aveva abbandonato lo zio e le sue botte, e ora, un'infinita distesa d'acqua la separava dal vecchio continente, dal luogo in cui, anni tristi e dolorosi erano trascorsi inesorabili. Lì, in mezzo alle lucine metropolitane, una vita nuova e carica d'aspettative attendeva solo d'esser vissuta, ma prima di raggiungerla, Lara doveva superare un ultimo e decisivo ostacolo, l'ingresso nel paese da clandestina. La paura di non farcela, l'idea di vedere il suo sogno sgretolarsi rapidamente come un vaso di creta, l'angustiava esageratamente. - Ho diritto anch'io a una vita migliore! – Protestò impetuosamente, rivolgendosi a un Dio che non credeva esistesse. - Lo so che c'è l'hai con me, lo so. Se così non fosse, non m' avresti portato via i genitori a soli cinque anni, abbandonandomi alle follie perverse di un porco senza scrupoli. Dov'eri tu quando mi picchiava a sangue, o quando mi strappava gli slip con la bava alla bocca? - Lara interrupe bruscamente quel dialogo, in realtà si trattava soltanto d'un monologo, un monologo elegiaco inscritto nel vento e abbandonato a esso. – Queste cose appartengono al mio passato, devo dimenticarle a ogni costo! – Concluse singhiozzante, per non piombare in un pericoloso vortice di ricordi. L'odore pungente di una sigaretta accesa distolse Lara dai suoi turbamenti. Lo chef della nave si era avvicinato a lei con passo felpato, catturato anch'egli dal panorama in avvicinamento.- Ormai manca poco, Lara! – Esordì, con elegante accento parigino. - Riesco già a vedere la statua della libertà. - Disse scherzosamente, gettando la sigaretta in mare. Sulla camicia bianca portava un cartellino plastificato in cui v'era scritto il nome François, ma il raffinato chef si faceva chiamare Verner. Da molti anni lavorava in giro per l'Europa, e nel fascino di città come, Varsavia, Vienna, Budapest e Praga, François amava deliziare i palati più esigenti col gusto di una delicata arte culinaria. Attualmente cucinava in mezzo all'oceano, regalando ai passeggeri della Far Dream, banchetti succulenti e imbanditi con le migliori prelibatezze.- Che cosa farai adesso, Lara? - Chiese François accendendo un'altra sigaretta. - Ti prenderai qualche giorno di vacanza, prima di tornare a bordo? – Lara esitò un istante, lo chef non sapeva del suo contratto lavorativo inesistente.- No, non credo. Arrivata a New York ripartirò per Seattle. – Spiegò sbrigativamente.- Seattle? Quella vicino al monte Rainier? Dove Kenneth Arnold disse d'aver avvistato degli ufo? Ho capito! Sei appassionata di dischi volanti. - Lara sorrise apprezzando l'umorismo dello chef.- No, tutt'altro. A Seattle vive mio fratello, e ho intenzione di trasferirmi lì con lui. -- Hai un fratello? Anche a me piacerebbe averne uno, o magari una sorella. Purtroppo, i miei genitori hanno lasciato che restassi figlio unico. – Commentò François, con un retrogusto d'infantile malinconia. Lara lo osservò comprensiva.- In realtà, io e mio fratello abbiamo due madri differenti, siamo fratellastri, ma a me non piace questa parola. -- E perché mai? – La interrogò lui.- Non saprei spiegarlo, sembra connotare una forma d'intolleranza reciproca. Io e mio fratello, invece, ci siamo sempre voluti un gran bene, anche se abbiamo vissuto in case separate. –- In case separate? – Chiese lo chef, facendosi interessato.- Sì - Temporeggiò Lara, riflettendo su quanto fosse saggio raccontare le proprie vicende a un estraneo. – Purtroppo, i miei genitori sono morti a seguito di un grave incidente stradale. –- Ah, mi dispiace molto. – Si scobrò lui espirando il fumo della sigaretta. - Per mio fratello è andata diversamente.- Spiegò Lara dopo essersi seduta a gambe incrociate sul pavimento ligneo del ponte. - Lui ha perso soltanto un padre fra le lamiere accartocciate di quella Mercedes, ed è cresciuto con la madre naturale, mentre io, ho trascorso l'infanzia con uno zio paterno. –– Sono certo che ti avrà cresciuto come fossi figlia sua. – Disse François, ignaro di quanto le sue parole suonassero sconvenienti. - Già... - Lara simulò un sorriso d'assenso, sforzandosi d'apparire credibile, quasi temesse che François potesse leggerle dentro e scoprire la verità.Mosca, MajakovskijUn plumbeo lunedì mattina era da poco cominciato. Nell'aula di chimica, gli allievi del primo anno svolgevano taciturni la verifica scritta; dieci minuti ancora, e avrebbero dovuto consegnare il compito. La professoressa Tatjana Vasilevna Meštrovic, procedeva lungo la classe accertandosi che nessuno sbirciasse la scheda del compagno a fianco, il rumore dei suoi tacchi a spillo riecheggiava fra le pareti. Seduta al penultimo posto con la scheda di verifica seppellita sotto un'infinità di prodotti make-up, Liudmila piegò più volte un bigliettino di carta, e con un gesto rapido lo passò alla compagna antistante. La ragazza afferrò il biglietto con prudenza, nascondendolo dentro la manica del maglione. Quando fu certa che la professoressa non potesse vederla, lo dispiegò velocemente e lo lesse. Mi sei in debito. Mi devi un favore. Fatti trovare in biblioteca alle 17: 00, non un minuto più tardi! La ragazza si voltò verso Liudmila con aria interrogativa.– Che cosa intendi dire? Perché mai sarei in debito con te? – Le chiese a bassa voce, scuotendo il biglietto fra le mani. - Ne riparliamo più tardi. – Replicò Liudmila a labbra serrate, con in mano il rimmel blu cobalto che tanto le faceva gli occhi da cerbiatta. Stringendo la mano d'Astrel sfrecciavo giù per la scala principale. Erano le quattro del pomeriggio e avevo appena disertato la lezione di biologia con un fantomatico mal di testa. - Svetlana, aspetta! Non così veloce. - Senza assecondare Astrel continuai a scendere esortandola a sbrigarsi.- Suvvia, Astrel! Dobbiamo far presto. Il signor Vyacheslav potrebbe sbucare da un momento all'altro e scoprirci. - Quasi tutti gli studenti a quell'ora, seguivano i corsi pomeridiani, la Rosencrans invece, lasciava l'istituto per disbrigare alcune faccende. Quale momento migliore per abbandonare la scuola senza rischiare d'esser colti in flagrante. Furtivamente oltrepassammo l'uscita secondaria e procedemmo con passo circospetto lungo il vialetto laterale, voltandoci più volte per ispezionare alle nostre spalle. L'ansia ci accompagno fino all'angolo, ma una volta svoltato, essa si confuse nel caos metropolitano. Le auto che leste avanzavano sull'asfalto tingevano la neve di un sudicio grigio fumo.I pedoni ai lati delle strade attendevano l'accensione del verde per schizzare via al ritmo degli impegni personali, mentre parecchi metri sotto i loro stivali, vagoni brulicanti di gente saettavano nel buio dei tunnel. Al quadro di un'ordinaria giornata cittadina, faceva da sfondo un pallido sole che presto si sarebbe addormentato a ponente, sfumando i colori del giorno come pastelli su carta bagnata. Lungo la Via Mokhovaya Ulitsa, feci segno a un'auto di fermarsi. Il conducente sulla cinquantina decelerò accostandosi gradualmente sul ciglio destro della carreggiata. Premendo un bottone vicino al volante abbassò il finestrino anteriore e sorrise cordialmente.- Buona sera! - Mi salutò. Aveva un'aria affidabile, e la sua macchina profumava di concessionaria. Dall'interno proveniva un ameno tepore, e la stazione radio su cui era sintonizzato stava trasmettendo un pezzo di Varvara, Tayal sneg, il mio favorito, una ragione in più per salire. Ricambiando il saluto, mi rivolsi all'uomo chiedendogli se fosse disposto ad accompagnarci al Gorki Park per la cifra di cento rubli. L'uomo accettò volentieri invitandoci all'interno. Mentre aprivo la portiera, notai che Astrel esitava a salire mostrando una certa diffidenza.- Su, Astrel, andiamo! Questo signore è disposto ad accompagnarci. – - Ma... lo conosci? – Mi chiese, sperando che rispondessi di sì. Sorridendo, compresi che Astrel non era conoscenza di quella tipica usanza moscovita.- No, non lo conosco. – Le risposi con sincerità. – Vedi, qui a Mosca ci sono pochissimi taxi e quando la gente non ha voglia di prendere la metro, chiede dei passaggi a pagamento. Lo fanno in tanti, basta accordarsi sul prezzo. – Astrel obbiettò ancora incerta. - Una sorta d'autostop? -- Sì, più o meno. – Le risposi, mentre salivamo in macchina e l'uomo partiva.- Che strano, a Londra sarebbe impensabile chiedere passaggi agli estranei. – Commentò lei, mentre la città scorreva oltre il finestrino.- Forse perché ci sono troppi autobus a due piani. – Ribattei sorridente. Avvolta nella penombra crepuscolare, la biblioteca del Majakovskij riecheggiava i torvi silenzi di un'abbazia gotica. Davanti all'ingresso, alcuni docenti scambiavano considerazioni sulla didattica colloquiando a voce bassa. Un allievo sedeva sulla scala a libretto consultando assorto alcuni testi appena prelevati dallo scaffale, affiancato da un giovane che sgranocchiava biscotti salati. Al centro della stanza un inserviente dava la cera al pavimento sperando di arrecare il minor disturbo possibile. Seduta a un tavolo da lettura con la lampada pieghevole accesa, Liudmila attendeva che la sua compagna di classe si presentasse all'appuntamento, e per ingannare il tempo sfogliava una rivista di moda. La caterva di libri classificati sugli scaffali potevano offrirle intrattenimenti migliori di un semplice magazine che spiattellava modelle imbronciate e anoressiche, ma Liudmila sembrava allergica alla cultura, non riusciva a coglierne l'importanza. Soltanto lo shopping la rendeva appagata, o quelle intriganti serate trascorse a ciarlare con le amiche tra una spennellata alle unghie e l'altra. – Non capisco perché la gente spreca carta stampando libri, quando potrebbe impiegarla per stamparvi rubli. – Diceva spesso e stupidamente, guadagnandosi il benestare di chi la pensava esattamente come lei. Dei passi svelti ed echeggianti tagliarono il silenzio della biblioteca creando una sorta di fischio, simile a quello che accompagna i giocatori di basket nelle palestre. Liudmila li sentiva sempre più incalzanti, ma non si voltò. Sapeva già che la sua compagna di classe stava per raggiungerla, soltanto lei poteva calpestare l'eleganza del Majakovskij con delle inappropriate Converse.- Potresti spiegarmi quale oneroso debito mi lega a te? - Esordì la ragazza, richiamando Liudmila all'attenzione. – Sappi che io non ti devo alcun favore! – sbottò perentoriamente. Liudmila si concesse un sorriso mordace.- Non mi devi alcun favore? Ne sei persuasa? -- Sì, ne sono assolutamente persuasa. – Ribatté la ragazza senza farsi intimorire da quell'atteggiamento bieco.- Ebbene, mettiamola così, carina: c'ero anch'io l'altra sera al Goldman, e ti ho vista quando ubriaca fradicia ti sei tolta il reggiseno e ti sei messa a ballare su una sedia. - La ragazza avvertì i muscoli addominali contrasi in uno spasmo virulento che le troncò il respiro.- E con ciò? – Disse, sforzandosi di non far vacillare la voce.- Se ora non mi aiuterai in quello che ti chiedo, farò in modo che lo sappia tutta la scuola. – La studentessa rimase di sasso, una repentina sudorazione accompagnò le palpitazioni del suo giovane muscolo cardiaco.- E' una minaccia questa? Raccontalo pure a chi vuoi, se non hai le prove per dimostrarlo, gli altri penseranno che siano i tuoi soliti pettegolezzi. -- Chi ti dice che non ho le prove? – Chiese Liudmila, porgendo alla compagna una busta bianca che aveva appena recuperato dalla borsa. La ragazza estrasse il contenuto della busta e lo fissò incredula, oltre dieci scatti la ritraevano ubriaca e svestita mentre con ilarità danzava attorniata da turisti americani.- Oh mio Dio... - Balbettò tramortita. – Non posso essere io. - Di quella serata le rimanevano pochissimi ricordi, l'alcol li aveva offuscati in un groviglio intricato di luci e suoni. Le foto che stava sfogliando supplirono al vuoto di memoria, con fredda obbiettività le mostrarono un inedito aspetto del suo carattere, dove il senso del pudore era migrato negli sguardi di chi la osservava. – Come ho potuto spogliarmi davanti a tutti quei ragazzi? – Si domandò confusa, iniziando a stracciare le foto con dei movimenti brevi e tremolanti delle mani. Liudmila non la fermò, le permise di ridurre gli scatti in brandelli.- Puoi anche bruciarle se vuoi, io non sono una sprovveduta, le originali si trovano nel mio PC. -- A chi le hai mostrate? – Domandò la ragazza, consapevole di dover cedere ai ricatti di Liudmila.- A nessuno finora. - Rispose lei osteggiando una flemma che risultava quasi cortese. - E nessuno ne verrà mai a conoscenza, se tu mi aiuterai in ciò che ti chiedo. –- Dunque, non mi resta che pagare il tuo silenzio? –- Vedo che cominci a ragionare. – Commentò Liudmila, felice di poter piegare qualcuno alla propria volontà.- Dimmi che cosa vuoi! – L'asservì la giovane profondamente umiliata.- Ecco, diciamo una mano d'aiuto per intrufolarmi in camera dell'ultima arrivata, non dovrai far altro che star di guardia davanti l'uscio, mentre io do un' occhiata all' interno. –- Ma sei impazzita? – Strillò la ragazza – Sai benissimo che queste cose non si possono fare, pensa a come ci punirebbe la Rosencrans se ne venisse a conoscenza! – - Oh, come siamo fifone. – La canzonò Liudmila. - Hai paura della preside? Allora stai ben attenta, non vorrei che le tue foto finiscano per sbaglio in mezzo ai suoi documenti. –- No, ti prego! Liuda non farlo, i miei genitori ne verrebbero presto a conoscenza. – La supplicò la ragazza giungendo le mani come si fa innanzi a un'icona religiosa.- Aiutami, è l'unico modo per evitare che ciò accada. - Concluse Liudmila, con inamovibile fermezza. La campanella della scuola suonò puntuale alle diciotto. Il suo trillo acuto indicava la conclusione di tutte le lezioni e accompagnava per circa un minuto il caos di ragazzi che dalle aule si riversavano nei corridoi. Liudmila uscì dalla biblioteca con appresso la compagna di classe. La borsa sportiva che portava a tracolla conteneva una grossa somma di rubli, tutti in contanti, tutti vinti dalla Rosencrans al casinò Arbat. " Quando li avrai nascosti in camera della londinese, io denuncerò la scomparsa del denaro, e farò intervenire le forze dell'ordine. " Il piano della preside superava d'ingegno il suo, e se pur a malincuore, Liudmila dovette ammetterlo a se stessa. Col senno del poi si pentì di non aver fatto altrettanto quando poteva agire nero su bianco, a ogni modo, una seconda chance per riscattare il suo errore si schiudeva all'orizzonte, e la giovane era fiduciosa di potersela cavare degnamente. Stringendo a sé la borsa l'allieva si fece strada tra i ragazzi che congestionavano le scale, e dopo averle salite, s'incamminò per il corridoio ovest del primo piano; la sua compagna le stava dietro fissandola con sguardo accigliato. Le porte delle camere si susseguivano monotonamente tra venature di palissandro e targhette in ottone incise da numeri. Sui muri i volti d'insigni personaggi storici incorniciati nell'onorificenza dei quadri, parevano osservare le due ragazze con taciturno dissenso. Liudmila incalzò il passo fino a che non giunse innanzi all'uscio che le interessava. Rapidamente cacciò l'occhio in fondo al corridoio per sincerarsi che nessuno s'aggirasse nelle vicinanze, e con un gesto nervoso inserì una chiave nella serratura.- Chi ti ha dato quella chiave? – Domandò la ragazza, stazionando accanto a lei con una spalla poggiata al muro.- Questa chiave? Ehm... - temporeggiò Liudmila – Il signor Vyacheslav Lavrov. E' la copia che tiene in portineria. - Concluse frettolosamente dando due giri di serratura.- Il signor Vyacheslav Lavrov? – Ripeté la ragazza con scetticismo. - Così è tuo complice? Andiamo, gliel'avrai rubata. -- Chiudi il becco, dannazione! – Eruppe Liudmila, muovendo la maniglia verso il basso e aprendo la porta. - Resta qui e non ti muovere di un solo millimetro. - Ordinò bieca, dirigendosi all'interno della stanza. Una delicata essenza di talco inebriò le sue narici, ma lei non si lasciò sedurre e aggrottò il volto quasi fosse uno sgradevole miasma. La studentessa cominciò a scrutare intorno a sé con subdola indiscrezione. L'ordine che dominava su tutto non serbava neppure un angolo al caos, e ciò la colpì in modo particolare, la sua camera appariva un campo di battaglia al raffronto. Dal lampadario fissato al centro del tetto, pendeva giù un acchiappasogni in legno di salice. Le sue piume colorate attingevano vita dall'aria, e fluttuando su ignoti itinerari animavano il pavimento con ombre ballerine. Su tutti i vetri delle finestre, farfalle di carta lucida sfolgoravano in armonica allegria, eclissandosi a tratti nella seta celeste delle tendine. L'obiettivo primario di Liudmila era quello di trovare un luogo strategico dove celare il denaro, e sgattaiolare via a lavoro compiuto, ma il desiderio irrefrenabile di sbirciare all'interno di beautycase e cassetti, tipico del suo carattere puerile, la costrinse a modificare parzialmente i piani d'azione. Vittima della curiosità, si diresse verso l'armadio e l'aprì. Vi frugò come una bambina che ammira di nascosto gli abiti della mamma, e fa un giro veloce sui tacchi affondandovi i piedi. Poi corse a scartabellare alcuni giornali stipati sotto la scrivania, ma i periodici che trattavano di scienze e attualità non potevano interessarla. Infine, si recò nel bagno e cominciò a giocherellare con i prodotti make-up.- Liuda? Devi fare molto? Sono stufa di aspettare qui! – Protestò la ragazza dall'ingresso. Liudmila sussultò, e con le labbra imbrattate dalla sbavatura di un rossetto uscì dal bagno. Forse era giunto il momento d'occuparsi del denaro, tuttavia, un portagioie ornato con pepite colorate e fili in oro, posto su un comodino, suscitò ai suoi occhi un'attrattiva irresistibile. " Aprimi." Sembrava sussurrarle, "Vieni a scoprire cosa si cela al mio interno ". Quasi ipnotizzata, la studentessa si avvicinò al portagioie e lasciò che le sue mani vi si posassero lentamente. Con entrambi i pollici premette sulla chiusura a scatto, e una volta apertala, la ragazza sollevò il coperchio superiore del cofanetto. L'interno del portagioie era rivestito da elegante raso vermiglio, e tra fermagli e orecchini di vario genere, si nascondeva un piccolo diario dalla copertina rosa. Liudmila fissò il contenuto del portagioie con sguardo da predone, come un pirata che brama innanzi a uno scrigno che tracima dobloni. – Un diario! Uno di quelli che non si fanno leggere a nessuno. – Esclamò eccitata, recuperando il libricino. – Melting snow - lesse ad alta voce – Melting snow? – Si domandò, del tutto incapace di astrarne il senso. – Cos'è? Un catalogo per i tropici? – La giovane allieva si accomodò su uno dei due letti, pronta a cacciare il naso tra le pagine di un diario che non le apparteneva. Nessuno scrupolo le balenò in coscienza detenendola dal violare i pensieri segreti che quei fogli custodivano e avventurandosi nella lettura, s'imbatté in romantiche poesie, in citazioni famose e in aneddoti di vita. Nulla che fosse degno di ricevere la sua attenzione. Probabilmente, Liudmila si aspettava una piccante antologia di pettegolezzi con maldicenze d'ogni tipo, e magari, anche una serie di stuzzicanti episodi a sfondo erotico arricchiti da minuziose descrizioni. Tuttavia, procedendo negli scritti, la giovane allieva rintracciò qualcosa che la sorprese. La sua espressione si tinse di sbalordito sgomento, più avanzava nelle righe spostando le pupille da sinistra a destra, più articolava smorfie di sdegno. – Loro due...- realizzò con gli occhi sgranati dallo stupore. – Non posso crederci! E' rivoltante. – commentò, percorsa da brividi di repulsione. Adesso Liudmila sapeva. Adesso tutto sarebbe cambiato. Il diario, da sempre emblema di private confessioni, aveva inconsapevolmente tradito, prostrandosi inerte alla foga di famelici occhi che ne avevan divorato il contenuto. Liudmila non era una ragazza dalla spiccata perspicacia, di questo nessuno poteva dubitarne, ma dal basso della sua ingenuità, ella comprese di possedere un'arma micidiale da scagliare contro la sua acerrima rivale inglese. Il denaro era passato in secondo piano, quasi l'allieva non rammentasse più di essersi recata in quella camera con uno scopo determinato; d'altronde, se alla Rosencrans urgeva un pretesto per cacciar via Astrel dall'istituto, quell'insignificante diario gliel'avrebbe servito su un piatto d'argento. - Insomma, hai finito? – Sollecitò nuovamente la ragazza, facendo capolino dallo stipite della porta. Liudmila annuì alzandosi dal letto. Con un gesto accurato stirò la coperta in modo da cancellare il suo passaggio, poi trafugò il diario riponendolo nella borsa, e si allontanò insieme ai rubli.Il Gorki Park è uno dei più famosi e divertenti giardini di Mosca. Sorge proprio sulla riva del Moscova e si estende per circa tre chilometri. Al suo interno si trova un piccolo luna park dotato di ruota panoramica, e spesso nell'auditorium del parco vengono organizzati concerti rock. In estate, le barche che salpano dal molo effettuano qualche escursione lungo il fiume, in inverno invece, i laghetti artificiali si congelano completamente, trasformandosi in sconfinate piste di pattinaggio. Perfino gli Scorpions lo avevano citato in un loro brano "Wind of change" e lo scrittore Martin Cruz vi aveva ambientato un thriller agghiacciante nel suo libro dal titolo omonimo. Con l'arrivo della stagione fredda, potevo tirar fuori dalla scatola i miei pattini da ghiaccio e recarmi al Gorki Park, dov'ero solita trascorrere interi pomeriggi slittando libera e veloce sulla gelida coltre che ricopriva le acque dei laghetti. Astrel mi aveva appena confidato di non cavarsela bene sui pattini, che l'idea d'indossarli le faceva pensare a tutti i lividi che avrebbe contato sulle ginocchia e sui gomiti, eppure, adesso si trovava proprio lì, su un'enorme pista ghiacciata, insieme a me e a tanta gente che desiderava provare l'ebbrezza di planare in tutta libertà.

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