Mosca, Russia.Libera dallo studio, scelsi di trascorrere alcune ore del pomeriggio tra le strade del centro storico. La Via Arbat era tra le mie destinazioni predilette; mescolarmi con l'andamento spensierato dei turisti occidentali mi faceva immaginare di trovarmi in una città lontana, ma optai per i Grandi Magazzini Gum. Nella magnificenza del centro commerciale per antonomasia, ero solita spendere molto tempo oltre che rubli. La mia innata esterofilia, erudita da corpose letture, mi conduceva a immergermi nel fascino dei bazar; quanti mondi convivevano tra le scansie di quei negozietti! A volte indossavo delle giacche in lana di lama provenienti dal Perù, e con le dita percorrevo i disegni geometrici che s'intrecciavano in allegre cromature. Non facevo parecchia fatica a immaginarmi in un remoto paese andino, dove le tessitrici filavano la lana con eccelsa maestranza. E che dire della musica occidentale suonata al flauto di Pan! Poi volgevo lo sguardo a oriente, e mi lasciavo sedurre dagli abiti eccentrici delle danzatrici egiziane, e se la commessa era distratta, mi dilettavo con i cimbali o battevo qualche colpo ritmato sulle darbuke in esposizione. Intenta a passeggiare in galleria, catturata dai colori e dalle esposizioni in vetrina, non mi accorsi che qualcuno mi stava tallonando già da un pezzo. Prima aveva mantenuto un andamento distaccato, poi, si era avvicinato pian piano fino a raggiungermi per braccarmi il passaggio. – Ira? Che cosa ci fai qui?- Le domandai, non appena la vidi materializzarsi di fronte ai miei occhi. Irina aveva il fiato corto e un inarrestabile tremulo alle ginocchia. Indossava un cappellino viola dal quale sfuggivano due o tre ciocche castane. A tratti barcollava, e con i guanti rosa si sfregava le gote, come se ciò potesse cancellarle dal volto il tormento che l'attanagliava, ma dal profondo dei suoi occhi verde acqua traspariva la stanchezza per una notte trascorsa a delirale. – Posso parlarti? – Mi chiese con affanno. – Certo. - Replicai, esibendo volutamente la mia disponibilità, affinché lei non fosse reticente.- Sveta, ti seguo da quando sei uscita dal Majakovskij, lungo la strada, sull'autobus, fino ad arrivare qui. Scusami, io non volevo violare la tua privacy, desideravo soltanto parlarti. -- Va bene, ma potevi anche farlo prima che uscissi da scuola, in questo modo evitavi di fare un giro inutile. - No! – Incalzò lei con un guizzo nervoso. - No, al Majakovskij non potevo farlo, lui mi sorveglia sempre. - Guardai Irina con espressione interrogativa, ancora una volta le sue parole apparivano enigmatiche e incomprensibili. - Chi ti sorveglia? Ira, io vorrei tanto aiutarti, ma se tu non mi lasci intendere qual è il problema non so cosa fare. – - Pensi che io sia pazza, non è così? - Mi chiese tra le lacrime. Il suo tono era affranto, per nulla provocatorio. – Non mi stupirebbe, tutti lo pensano di me. - - Non io. - Ribattei decisa. La ragazza condusse bruscamente le mani ai capelli, trepidando si pentì di ciò che stava facendo.- Cos'è che devi dirmi? Puoi fidarti di me, qualsiasi cosa sia, resterà comunque un segreto, te lo prometto. - - Non posso dirtelo. Non posso dirlo a nessuno! Devo andare... - Lesta come una lepre, Irina si dileguò e sparì in mezzo alla folla.– Irina! Aspetta un momento, dove vai? – Le gridai mentre la vedevo confondersi fra le persone. – Magari ti posso aiutare. - Tutto inutile, ancora una volta il turbamento che crucciava la mia compagna rimaneva un enigma.Il boeing 767 jet proveniente da Londra scendeva di quota lentamente preparandosi a toccare il suolo russo. La pista innevata dell'aeroporto Domodedovo si avvicinava sempre più. " Finalmente sto per tornare sul pianeta terra!" Pensò Astrel in procinto di tirare un respiro liberatorio, ma attendendo l'effettivo atterraggio dell'aeroplano prima di allentare la tensione che da ore la divorava. La paura di volare era l'unica fobia che fin da bambina l'aveva accompagnata in tutti i suoi viaggi. Lei stessa non si spiegava a cosa fosse dovuto quell'irrazionale quanto incontrollabile terrore che le prendeva a ogni decollo. Lei che non temeva neppure i ratti, né le lucertole o i serpenti, e che avrebbe condiviso volentieri un tragitto in treno in loro compagnia, piuttosto che abbandonare il suolo alla volta del vuoto, in balia dell'aria e delle sue capricciose fluttuazioni.Finalmente le ruote dell'aeroplano incontrarono la pista dell'aeroporto, sfatando ogni congettura funesta che Astrel aveva rimuginato durante il viaggio. Quando il velivolo si arrestò completamente e i portelloni si aprirono, ella si stupì di come ciò fosse potuto accadere; davvero singolare che i motori non si fossero incendiati durante il viaggio, così come era alquanto strano che nessun passeggero avesse con sé una bomba ben celata dentro il bagaglio a mano. E che dire di tutte quelle spie rosse che mandano in delirio i piloti? Astrel si slacciò la cintura dalla vita con gran foga, certa che a breve un dirottatore squilibrato avrebbe irrotto in cabina di pilotaggio appropriandosi dei comandi e decollando per ch'issa quale destinazione; meglio affrettarsi a scendere prima che ciò accadesse sul serio. Ormai in aeroporto, la ragazza recuperò i bagagli dal nastro trasportatore e si diresse agli arrivi, percorrendo prima un lungo corridoio. L'enorme sala d'attesa che raggiunse infine, era affollata da una moltitudine di persone. Astrel soffermò la sua attenzione sull'abbigliamento invernale di quegli individui, la maggior parte di essi erano imbacuccati per bene, i loro volti quasi sparivano sotto la pelliccia del colbacco e la lana doppia della sciarpa. Un anziano signore dalla chioma canuta si barcamenava tra la folla di turisti inglesi e cittadini russi di ritorno in patria. Con entrambe le mani agitava un foglio di carta, e a dispetto della sua statura, non troppo elevata, riusciva a sollevare il foglio fin sopra i colbacchi della gente, affinché campeggiasse in bella vista. Istituto Majakovskij riportava a caratteri cirillici. Astrel ebbe qualche difficoltà nel decifrare quell'iscrizione, e prima di riuscirvi la sillabò mentalmente accompagnando l'operazione con un movimento muto delle labbra. Infine comprese che l'anziano signore stesse attendendo proprio lei, e colta da una certa timidezza, lo raggiunse e si presento.- Signorina Astrel Lawless! Ben arrivata a Mosca. Io mi chiamo Vyacheslav Lavrov, e presto servizio al Majakovskij come inserviente. Prego mi segua, fuori c'è un taxi che la sta aspettando. – L'ansiano inserviente, dalla corporatura esile e dai toni garbati, s'incamminò verso l'uscita dell'infrastruttura aiutando la nuova arrivata a trasportare le valigie. Astrel avrebbe gradito scambiare due chiacchiere con quel signore cortese, ma in mente non le giungeva alcuno spunto per avviare una conversazione. Fortunatamente a rompere il ghiaccio ci penso lui.- Quello è il suo taxi. – Disse, appena fuori l'aeroporto. - salga pure, penso io a sistemare i bagagli sul retro. – - Grazie. - Il signor Vyacheslav guardò l'orologio. - Sono certo che la signorina Rosencrans la starà già aspettando. - Astrel salì sul taxi e poi chiese. - Chi è la Rosencrans?- L'anziano inserviente le chiuse la portiera salendo sul marciapiede, poi rispose. - E' la direttrice dell'istituto. – - Ah, capisco. Posso farle una domanda? – L'uomo annuì abbozzando un sorriso cordiale.- Che tipo è? E' una persona severa? - Il signor Vyacheslav attese qualche secondo prima di soddisfare la curiosità della straniera. - Ecco, signorina Astrel, non so le ragioni per cui lei abbia scelto il nostro istituto, a ogni modo se non dovesse trovarsi bene ha la possibilità di rientrare in patria, giusto? – Astrel lo fissò attonita. - In ogni caso, se avrà bisogno di qualcosa si rivolga pure a me, io non sono come lei, non voglio entrarci in quel genere di faccende.- Aggiunse l'uomo. Astrel fu molto turbata da quella risposta, ma non ebbe il tempo di muovere alcuna obiezione che il taxi partì allontanandola dal signor Vyacheslav, che fermo sul marciapiede le accennò un saluto.6 Spiacevole accoglienzaImperiosa davanti all'ingresso del Majakovskij la direttrice Anne Rosencrans attendeva spazientita che la nuova arrivata scaricasse le valigie dal taxi. Non mosse un dito per aiutarla, neppure quando la vide salire gli scalini gravata dal peso dei bagagli. - Signorina Asterl Lawless? – Astrel salì l'ultimo gradino trafelata, poggiò le valigie per terra, e annuì alla donna.- Bene, io sono la direttrice Rosencrans. - Si presentò con tono lapidario - Mi segua all'interno, per cortesia. - Aggiunse burberamente. Astrel si appropinquò alla donna e dopo cinque passi solcò l'ingresso di quella che per un lungo periodo sarebbe stata la sua nuova abitazione. I toni caldi dell'ambiente sembravano poter accogliere chiunque, ma la ragazza provò solo un angoscioso senso di vuoto. Di fronte a sé, si estendeva un enorme atrio ricoperto da una moquette bordeaux, e coronato dagli smerigli adamantini di quattro lampadari. Ai piani superiori dava l'accesso una scala con passamani laccati in oro e gradini rivestiti in marmo. Colonnine ornamentali poste ai lati dell'atrio fungevano invece da piedistallo per alcune riproduzioni in miniatura di sculture famose. La direttrice tagliò l'atrio muovendosi sulla destra, poi si voltò verso la giovane e le fece cenno di appressarla - Da questa parte, signorina Lawless, desidero mostrarle il nostro istituto. – Astrel si attardò al centro dell'atrio lievemente smarrita.- Potrei posare i miei bagagli prima? Sono parecchio pesanti. - La Rosencrans fu innervosita da quella richiesta, e non si fece scrupoli nel mostrare il suo disappunto. Irritata, chiamò un inserviente commissionandogli di sistemare le valigie al piano superiore, poi si rivolse ad Astrel congelandola con lo sguardo.- Ci sono altre richieste, signorina, o possiamo proseguire? -- Io... no, nessuna richiesta. -Farfugliò la ragazza, spiazzata da un simile atteggiamento.Con alcuni pacchetti in mano feci di corsa e tutta d'un fiato la scalinata del Majakovskij. Sapevo d'essere eccessivamente in ritardo, la direttrice mi aveva concesso soltanto due ore, ed io, beh, me n'ero presa quattro. Furtiva m'intrufolai all'interno della scuola, pregando affinché la Rosencrans non mi beccasse in flagrante, se solo si fosse accorta dell'orario, tutti i miei acquisti sarebbero finiti nella spazzatura. Fortunatamente di lei non vi era traccia, ed io raggiunsi la mia stanza in tutta tranquillità. Aprendo la porta, mi accorsi che per terra giaceva un foglio di carta piegato più volte, sapevo già di cosa si trattava, anzi, di chi si trattava. Chinandomi lo recuperai dal pavimento e lessi con indifferenza il messaggio in esso contenuto.Ciao bambola, che ne dici di divertirci insieme? Conosco un locale dove tutto è concesso... Ti prego non dirmi di no. Lo sai che ti sogno ogni notte. Ivan.Con i nervi a fior di pelle stracciai il biglietto in una miriade di pezzettini e lo gettai nella spazzatura; non era il primo che ricevevo, ed ero certa che non sarebbe stato neppure l'ultimo. Un tocco alla porta fece rinsavire la mia attenzione, se solo si fosse trattato dell'autore del biglietto lo avrei preso a schiaffi. In realtà, dietro la porta a bussare, non c'era lui, ma uno dei tanti inservienti del Majakovskij. In mano teneva due valigie, e a giudicare dal suo fiatone dovevano essere molto pesanti.- Devo sistemare questi bagagli all'interno. - M'informò continuando a respirare affannosamente.- Ah sì! Devono essere della ragazza nuova. Li adagi pure su quel letto. -Astrel percorreva un lungo corridoio dal pavimento granitico. Sulle alte mura rivestite con carta da parati risuonava l'eco dei passi sgraziati che la direttrice batteva due metri avanti a lei. Prima di fare una visita guidata, Astrel avrebbe preferito raggiungere la sua stanza per concedersi una doccia rilassante, e magari riposare qualche ora, tuttavia, scelse di non contrariare quella biasimevole donna dagli atteggiamenti inospitali. Continuando a seguirla, Astrel udì delle voci squillanti provenire da un'aula alla sua sinistra, e quando vi passò rasente, scorse all'interno un gruppo di alunne che attardatesi in classe spettegolavano arditamente. Quando le giovani incrociarono lo sguardo frastornato di Astrel interruppero le coinvolgenti ciance e la puntarono con ingiustificato astio. Astrel accelerò il passo per sfuggire a quegli sguardi inopportuni, d'un tratto l'ambiente che la circondava parve acquisire vita e fissarla in modo torvo, come fosse un corpo estraneo da annientare, perfino il ritratto dello zar Nikolaj II, appeso al muro, la puntò aggrottando i lineamenti del viso. Qualche altro passo rumoroso, e la Rosencrans sostò davanti a una mastodontica porta decorata da vetri colorati. A fatica la spinse ed entrò all'interno della biblioteca scolastica. Astrel seguì la donna in silenzio, mentre un'interminabile fila di scaffali s'illuminava pian piano sotto la luce intermittente dei neon. Il lusso dominò la scena ancora una volta. La grande sala dal perimetro circolare era ornata da preziosi materiali: legno di palissandro per gli scaffali e i tavoli da lettura, cristalli per le vetrine che custodivano i vari trofei e onorificenze dell'istituto. - Questa è la nostra biblioteca. - Esordì la direttrice, presentando lo spazio con un ampio movimento delle braccia, lì dentro la temperatura era decisamente più bassa. Astrel captò l'odore della carta miscelarsi a quello del legno e in mente le tornarono i pomeriggi trascorsi a leggere l'Utopia di Thomas More alla London Library. - Io stessa ne sono la curatrice, mi prodigo nel reperire e catalogare i testi. Qui conserviamo i migliori capolavori che hanno fregiato la letteratura russa: Puškin Aleksandr Sergeevic, Michail Vasil'eviC Lomonosov, Tolsotj, e naturalmente molti altri, ma sono persuasa che lei non sappia neppure a cosa io mi riferisca. - Il tono della Rosencrans tracimava sprezzo. Astrel ebbe qualche secondo d'esitazione, poi rispose. - Beh, a dire il vero, conosco qualcosa sugli autori che ha menzionato, però io sono cresciuta in Inghilterra e ho seguito un altro genere di studi. – - Ragion per cui la conoscenza della letteratura russa è per lei di poco valore.-- No, io non intendevo dire questo. - Spiegò la ragazza visibilmente in imbarazzo – Ma qui è tutto diverso, mi occorrerà un po' di tempo prima di familiarizzare con la vostra cultura. – - Non importa. – Sentenziò la Rosencrans, troncando la discussione. – Il giro allo zoo è terminato, l'accompagno in camera sua. – Astrel si trattenette un momento prima di uscire dalla biblioteca, chiedendosi cosa spingesse quella donna a mostrarsi così inospitale.Recuperando i miei appunti dallo zaino, mi sedetti alla scrivania cominciando a ripassare per l'interrogazione del giorno successivo. Ebbi appena il tempo di aprire il quaderno che qualcuno entrò in camera mia interrompendomi. Feci roteare gli occhi al cielo quando m'accorsi che la Rosencrans aveva irrotto. La sua sagoma bassa e sproporzionata le conferiva un unicum sul genere umano, mi bastò fissarla alcuni secondi per giungere alla mia solita conclusione: la direttrice dell'istituto è davvero orrenda! Molti dei miei compagni, dopo aver visto Il Signore degli anelli, erano soliti paragonarla all'orripilante Gollum, notando come la celebre affermazione dell'hobbit "il mio tesoro" si addicesse al suo viscerale bisogno di accumulare denaro. Certa che la visita non fosse di cordialità, pensai che fosse giunta per redarguirmi, magari qualcuno le aveva spifferato del mio ritardo. Dietro di lei, una figura radiosa si materializzò inaspettatamente. Era una ragazza. Alta circa un metro e ottanta, snella e dalle forme sinuose, bella come una principessa delle fiabe! Lunghissimi capelli neri le cadevano morbidi sulle spalle, ma la cosa che mi colpì in particolar modo, furono i suoi occhi azzurri, sembravano due topazi sfolgoranti. Non fu soltanto il colore di quegli occhi a catturarmi, ma il modo in cui essi mi fissarono. Inspiegabilmente i miei battiti aumentarono, provai una stretta allo stomaco e per alcuni secondi fui incapace di dire la qualsiasi. Non era la prima volta che mi capitava di vedere una bella ragazza, ma mai prima d'ora avevo provato delle sensazioni simili. In me sentivo germogliare un nuovo sentimento, inedito e inaspettatom era come se un legame arcaico e dimenticato mi unisse a lei. E' arduo spiegare, ma quella visione incantevole risvegliò in me qualcosa che riposava da tempo, qualcosa, che non sapevo facesse parte di me. - Signorina Puskovic, questa è la sua nuova compagna di stanza, d'ora in avanti dividerete gli spazi, e guai a voi se non sarete capaci d'accordarvi. – Io e la ragazza ci fissammo ancora, fra i nostri sguardi correva un flusso d'intesa. – Ah, dimenticavo! – Trasalì la Rosencrans, richiamando a sé l'attenzione della nuova studentessa. - Nel nostro istituto vigono regole ben severe, riguardo alle quali, la signorina Puskovic sarà ligia nel delucidarla. Badi bene, Astrel Lawless: io pretendo il più rigido ossequio, la minima inadempienza potrebbe costarle cara. - La ragazza annuì riverente. – Bene. Ritorno al mio da fare e spero che la sua presenza al Majakovskij non sia d'intralcio per nessuno. – La Rosencrans ritrasse la sua lingua da aspide zitella, e uscì dalla stanza circondata da una cupa aura di negatività. La ragazza indugiò fissando il vuoto, frastornata come un uccellino cascato dal nido.- Spero di non disturbarti.- Fu la prima cosa che disse. La sua voce melodica mi sciolse come ghiaccio al sole.- No, nessun disturbo, sono felice di condividere la mia stanza con te. Come ti chiami? – - Mi chiamo Astrel, e tu? – - Sono Svetlana, piacere di conoscerti. – - Che bel nome che hai! Dalle mie parti non è molto comune. – - Grazie. Vieni da Londra, giusto? – - Sì. -‑ Ok, mettiti pure a tuo agio. Ieri sera ho fatto spazio in quell'armadio, così potrai sistemarci le tue cose. -Astrel annuì e iniziò ad aprire le valigie tirando fuori i vestiti, io mi sedetti sul mio letto a farle compagnia.- La nostra scuola deve essere molto famosa all'estero se hai deciso di venirci a studiare. -- Famosa? – Ripeté lei perplessa. - Non lo so. A dire il vero, non ho scelto io di venire a Mosca. Sono stati i miei genitori a spedirmi qui.- Contro la tua volontà? -- Dire che mi hanno buttato fuori di casa equivale a un eufemismo. - Percepivo afflizione tra le parole di quella ragazza; malgrado non la conoscessi ancora, i suoi stati d'animo si fondevano ai miei. - Quanta neve che c'è lì fuori! – Esclamò Astrel indicando la finestra – Non so perché, ma ho sempre immaginato Mosca come una città piena di neve. -- Forse perché lo è veramente, o almeno per un lungo periodo dell'anno. – Le risposi. Astrel lasciò che quei batuffoli leggiadri la seducessero col loro candore.- Per alcuni la neve è sinonimo di gelo e null'altro, io credo che sia una gomma in mano alla natura, capace di cancellare tutti quegli orrendi mostri di cemento, esaltando al contempo la bellezza dei monumenti e delle foreste. - Le sue parole suonarono poetiche alle mie orecchie, e la poesia è un dono inconsueto alla nostra età. I miei coetanei stanno sempre lì a nutrire quel desiderio spasmodico di appartenenza a un gruppo, tuttavia è un fenomeno che ravviso in ogni fascia d'età. Tutti pronti a unirsi a un gregge incuranti della direzione,perchè è più semplice tradire il proprio io e la propria unicità se questa comporta il dissenso dei più. La società non ci insegna a valorizzare la nostra individualità perchè governare un gregge che si muove in mille direzioni diverse non è come dominarne uno che invece s'incammina in un unico sentiero.Sono i media a dirci chi siamo, loro stabiliscono cosa desideriamo e cosa invece non ci piace. A volte mi domando se la volontà esista veramente, se ciò che diciamo, lo affermiamo perché ne siamo persuasi, oppure perché stiamo eseguendo un comando involontario dettatoci dai detentori del potere. E' arduo svincolarsi dalla mediocrità di un mondo senza colori, dove ogni angolo dell'anima è dipinto di grigio, e dove la preoccupazione dei verdetti altrui prevarica sull'affermazione del proprio credo. Sono poche le persone capaci di cogliere la sterilità del grigio, e ancora meno, quelle che possiedono la temerarietà di nuotare controcorrente deprecando le smaniose mode dei costumi. Il loro percorso è arduo e tutto in salita, e una volta raggiunta la cima, non c'è un premio ad attenderli, nessun'onorificenza che possa gratificarli, ma soltanto l'onere d'essere etichettati come "diversi" o "devianti". Io sono una di loro. Sono una diversa che vive in mezzo alle circospezioni della gente, che ha scelto da sola il cammino da seguire, che non si è lasciata trascinare dalla massa informe di una società senza colori.Astrel cominciò a esplorare la stanza con attenzione; trovarvi tutti quei comfort la sorprese. Il Majakovskij, poiché collegio privato, era dotato d'ogni tipo di comodità. Tutte le camere degli studenti erano fornite da connessioni internet a banda larga, Tv satellitare, vasca idromassaggio, e un efficiente impianto di climatizzazione.- I tuoi genitori devono essere facoltosi se ti fanno studiare qui.- Disse Astrel mentre tornava al suo da fare.- I miei genitori? – Domandai, quasi incapace di trovare un riscontro affettivo a quella parola. Astrel parve contrita.– Scusami, non volevo toccare un tasto dolente. - - No, non preoccuparti. - Le risposi con un sorriso. - Ecco... la mia è una storia un po' lunga. - Spiegai con un certo imbarazzo.- Non sei obbligata a parlarmene se non te la senti. - - No, al contrario. Mi farebbe piacere. - Con una dolcezza da me inaspettata, la ragazza si avvicinò e con discrezione prese posto sul mio letto.– Bene, allora ti ascolto. - Mi fece uno strano effetto sfogliare ancora il libro della vita. Non ricordavo neppure quanto tempo era trascorso dall'ultima volta che ne avevo condiviso le pagine con qualcuno. In realtà, ciò non era mai accaduto. Introversa come sono, ho sempre celato la mia essenza tra i meandri dell'inconscio, ma a volte lo spazio scarseggia. Quando tutto si accalca in una bolgia confusa, l'unica soluzione è liberarsi dalla zavorra, traducendo i pensieri in parole, i sogni in poesie, le angosce in lacrime. - Sei russa, vero? – Mi chiese Astrel mentre si sedeva. - Sì, Sono nata a Novosibirsk. - Le risposi, inebriata dal profumo delicato che la sua pelle emanava vicino a me. - Da una famiglia molto povera, che tentava di sopravvivere alle scelte errate di alcuni leader politici. Ma, non era la povertà l'unico problema... -- Cos'altro? – Domandò Astrel, per liberarmi dall'esitazione.- Loro non si amavano più. I miei genitori, intendo. Forse a causa della gelosia cieca che mio padre nutriva nei confronti di mia madre, non saprei dire cosa minasse l'equilibrio della loro relazione, perché ero troppo piccola, e fra i miei ricordi percepisco ancora il riverbero lontano di furibonde liti. Una fredda mattina di dicembre, quando avevo appena tre anni, mia madre si svegliò prima del solito; In silenzio recuperò una vecchia valigia riempiendola di viveri e di qualche indumento rappezzato, e poi sparì insieme al suo colbacco e all'unico paio di scarpe invernali. -- E' andata via di casa? –- Già. Per i primi tempi mio padre non fece altro che cercarla, si recò perfino a Celjabinsk, la città natale di mia madre, ma a nulla valsero le sue ricerche. Ogni sforzo s'è rivelato vacuo. Fino a oggi di lei non si sa nulla. Feci una pausa, Astrel mi osservò comprensiva, immedesimata nel mio racconto, quasi ne condividesse il ricordo.- Dunque, sei rimasta sola con tuo padre? –- Non proprio. Mio padre perse la testa da quell'episodio. Iniziò a bere, a essere violento e aggressivo, fino a quando, un giorno, colto da un raptus si scagliò contro un compagno di lavoro a seguito di una banale incomprensione e lo uccise. - La mia voce si spezzò come un ramoscello, impedendomi di continuare. Narrare di quegli anni lontani mi parve semplice, e lo feci con apatia e distacco, ma proseguire non fu altrettanto facile, ora il peso dei ricordi cominciava a incombere, e quelle vecchie ferite mai cicatrizzate dolevano inesorabili.- Venne arrestato e gettato in prigione, ma la sua permanenza in cella durò appena il tempo di ammutinarsi alle sbarre con un gesto estremo. –- Oh, lui si è... - Astrel aveva compreso perfettamente che fine atroce avesse spento mio padre, ma lasciò che fossi io a proseguire.- Si è ucciso, proprio così. Penzolava col cappio al collo quando l'hanno rinvenuto. -- Mi dispiace molto. – Disse la ragazza in tono sommesso.- A me non andò meglio. Ormai senza famiglia, solo l'orfanotrofio poteva attendermi, e fu il peggiore di Novosibirsk a inghiottirmi nella sua miseria. - Astrel parve frustrata, desiderava manifestare la solidarietà che nutriva nei miei riguardi, ma conoscendomi appena, le fu arduo articolare le parole. Forse, quella ragazza non sapeva di possedere un dono speciale; forse, nessuno le aveva mai fatto comprendere che i suoi occhi fulgidi riuscivano a essere eloquenti più di mille poemi. - Dopo cos'è avvenuto? Intendo dire, come hai fatto ad arrivare fin qui? –- Appena compiuti dieci anni, l'orfanotrofio che mi ospitava riuscì a rintracciare una parente che non sapevo d'avere.- Una parente? –- La sorella maggiore di mia madre, residente in America. Fu una grande sorpresa scoprire d'avere una zia. -- Anche scoprire d'avere una nipote è qualcosa di sorprendente, lei come reagì? –- Decise d'adottarmi, e in breve mi trasferii a New York, nella sua residenza di Manhattan. - Hai vissuto a New York? - Domandò Astrel con enfasi. – E' la mia città preferita! - Continuò.- Sì, per cinque anni, ma li rammento con mestizia. Conducevo un tenore di vita molto elevato, diciamo che lo conduco tutt'ora. Al mio primo giorno nella Big Apple, mia zia mi portò a fare shopping. Insieme entrammo in un negozio, si chiamava J. Craw. Lì, mi regalò una carta di credito illimitata invitandomi ad acquistare tutto ciò che desideravo; ed io che non sapevo neppure a cosa servisse quel tesserino plastificato. –- Beh, adesso lo sai. – Replicò Astrel sorridendo e indicando il mio I-pod ultimo modello sul comodino.- Eppure – Continuai, chiudendo la parentesi economica – la sua magnanima generosità non era un'espressione d'affetto nei confronti di una ragazzina sfortunata, bensì un rimpiazzo materiale a un sentimento che non era capace di nutrire. Diceva di volermi molto bene, era brava con le parole, la sua retorica avrebbe persuaso anche il più ostinato degli scettici, ma con i gesti quotidiani, dai più banali a quelli importanti, si smentiva da sé. –- Io non capisco. – Obiettò Astrel – Se ha deciso spontaneamente d'adottarti, per quale ragione non riusciva a essere amorevole? -- Ecco, lei non poteva avere figli suoi, ciò la rendeva frustrata e spesso cadeva in depressione. Mi ha adottato per appagare la sua indole materna repressa, erroneamente ha rifuso in me ciò che si aspettava da un figlio naturale, ma io restavo comunque sua nipote, e questa clausola proprio non le riusciva d'accettarla. Credimi, è umiliante sentirsi il premio di consolazione, l'acquisto difettoso che vorresti riportare al negozio per barattarlo con uno migliore.-- Ma tu restavi comunque sua nipote, avrebbe potuto amarti come tale.- Purtroppo per lei raffiguravo ciò che la natura le aveva precluso. Così, una volta compiuti quindici anni, stabilì che dovevo tornare in Russia, perché erano molte le cose da imparare sulla mia terra. Che dire, un brillante espediente per allontanarmi da lei. –- Dunque, neppure tu hai scelto questa scuola di libera iniziativa? – - Affatto. Odio il Majakovskij dal primo giorno che ci ho messo piede. –- Il Majakovskij o la direttrice? – Mi domandò con l'intento di sdrammatizzare. Il suo sorriso complice alleggerì la situazione, prosciugando in sé quel sottile velo di malinconia che appannava i nostri sguardi. - Se solo fossi stata al posto di tua zia – Esordì poi, argomentando con fare convinto – non ti avrei mai considerato un premio consolatorio, bensì un dono prezioso. - Le sue parole suonarono così calde alle mie orecchie, che credei il cuore mi si stesse infiammando.Nella stanza la luce era spenta. Con la complicità del buio i due partner si agitavano vogliosamente sfidando i margini ridotti di un letto singolo. Liudmila era in preda agli ormoni, e rapita dal fascino estatico del suo partner, si concedeva a esso ansimando di piacere. Ancora una volta l'allieva del Majakovskij si strusciava la pelle con i muscoli caldi e suadenti d'un perfetto sconosciuto, ma questa volta, ella ne rammentava il nome e perfino il colore degli occhi. Liudmila pensò d'aver incontrato l'amante perfetto, mai nessuno prima di lui l'aveva fatta godere così a lungo e intensamente. Con ardore lo agguantò per le scapole e inarcò il capo all'indietro, sperando che quel momento non avesse mai termine. D'un tratto ai suoi ansimi di godimento si frapposero degli energici tocchi alla porta che la interruppero sul punto migliore. Liudmila si destò tornando con il capo in posizione corretta, con un balzo fu in piedi scaraventando il suo partner per terra. – Oh mio Dio! – Esclamò colta dal terrore, incerta sul da farsi. Fulminea corse ad accendere la luce e nuda prese a girare per la sua camera ammonticchiando fra le braccia tutti gli indumenti maschili sparsi sul tappeto. I tocchi alla porta si fecero più insistenti. – Sto arrivando! – gridò trafelata, ghermendo il suo stallone per un braccio e spintonandolo fino al bagno. - Entra qui. – Gli intimò, barricandolo all'interno della stanza da bagno insieme agli indumenti che aveva appena raccolto.- Ehi! Aspetta, ma che diavolo fai? Aprimi! – Si ribellò lui, ormai imprigionato dalla ragazza che un momento prima godeva avviluppata alla sua carne. - Resta qui e sta zitto, se solo mi scoprono con te sono nei guai! – Bisbigliò l'allieva con le labbra rasenti all'uscio. All'ingresso qualcuno continuava a infuriare tocchi. Liudmila afferrò frettolosa una tovaglia da bagno e la usò per coprirsi, poi si accertò che in giro non vi fossero altri indumenti maschili e spedita corse ad aprire la porta. La segretaria della direttrice Rosencrans apparve impettita innanzi allo sguardo disorientato della giovane allieva. Una folta capigliatura rossastra le troneggiava arruffata sul capo, il suo naso aguzzo puntellato da efelidi si perdeva nei giganti fondi di bottiglia che era solita indossare quando lavorava. Liudmila avvertì il carico dell'occhiata inquisitoria che la donna le scagliò contro, e preoccupata che ella sospettasse qualcosa si giustificò preventivamente.– Salve, mi scusi se non ho aperto subito la porta, ma come può notare ero sotto la doccia. - Al fine di rendere la farsa più credibile, Liudmila strinse a sé la tovaglia fingendo di sentir freddo, quasi fosse bagnata. La segretaria non diede peso a quelle parole, e col sussiego tipico del suo carattere si limitò a riferire ciò che doveva.– La direttrice Rosencrans ha chiesto di lei, si rechi in presidenza, subito. - Liudmila impallidì, le sue labbra sottili presero a fremere ritmicamente " Forse l'ha visto entrare" suppose terrificata.– La direttrice vu... vuole vedermi? E perché? –- Si rechi nell'ufficio della Rosencrans invece di prolungarsi in stupidi quesiti! - Ribatté la donna parecchio alterata. Liudmila si sforzò di essere cortese.- Sì, mi perdoni. Indosso qualcosa e corro in presidenza. –- Si sbrighi. – Aggiunse la segretaria mentre andava via borbottando fra sé parole incomprensibili.La studentessa richiuse la porta alle sue spalle e incollerita prese a scalciare contro una parete. - Odiosissima vecchia befana! Sei riuscita a rovinarmi la serata. – Rintronò, sferrando calci con maggiore violenza.Sono sempre stata una ragazza introversa e riservata. Non ero solita coinvolgere gli altri nella trama burrascosa che caratterizza la mia vita. Accanto a me, tuttavia, posava un angelo dalla tale dolcezza, che credevo quasi mi leggesse dentro. Non abbiamo avvertito il bisogno di "rompere il ghiaccio", tra noi, il feeling è stato immediato. Potrebbe apparire inverosimile legare emotivamente con una persona che, per quanto benevola sia, resta pur sempre un'estranea. A volte si parla di colpi di fulmine, infatuazioni repentine capaci d'annientare tutte le norme sociali che si frappongono alla libertà d'esperire un rapporto interpersonale con la sola empatia. Adesso mi sentivo leggera come una libellula, finalmente ero riuscita ad affrancarmi dalla zavorra, quel fardello oppressivo di ricordi e paure che incalzava il mio spirito ovunque si recasse. Per tutto questo tempo non avevo fatto altro che sgusciare via dai miei fantasmi, chiedendo asilo alle fantasie riguardo al futuro e ai buoni propositi per affrontare il presente. Seduta sul mio letto, osservavo Astrel organizzarsi in un nuovo spazio. Si muoveva in modo aggraziato ed elegante, anche i gesti più banali, se compiuti da lei, apparivano armonici come il volo delle farfalle. Quando si chinò per sollevare una valigia, la mia attenzione cadde su un ciondolo rosa che indossava al collo, assomigliava a un cristallo, e luccicava a ogni leggiadro movimento che la proprietaria compiva. - Com'è bello quel pendente! – Commentai interessata. Astrel condusse una mano al collo bloccando il dondolio del suo monile. - Questo? - Chiese. - E' un talismano. Mi è stato donato da una donna Rom durante un soggiorno in Romania, solo che io non credo in questo genere di cose. – - A cosa non credi? - Domandai incuriosita. - Quando la vdonna me lo diede in dono, mi disse di non separarmene mai, perché il talismano mi avrebbe protetto da ogni male. Allora avevo solo dieci anni, e ogni volta che mi arrampicavo su un albero del mio giardino senza precipitare giù spaccandomi l'osso del collo, credevo fosse opera del talismano. –- Devo supporre che negli ultimi tempi avrai cambiato opinione? –- Sì, naturalmente. –- E, se pensi che il tuo talismano non sia capace di proteggerti, come mai lo porti ancora al collo? – Domandai, sperando che le mie parole non suonassero indiscrete. Astrel tentò di spiegarmene il motivo, sembrava lieta di farlo, quasi attendesse da parecchio che qualcuno la sollecitasse su quell'argomento.- Per me è una sorta di retaggio. Se lo stringo fra le dita posso rivivere il capitolo chiuso della mia infanzia, credere ancora nelle fiabe e riscoprire la magia che i miei disincantati occhi ormai non vedono più. – - Dunque - mi pronunciai ora con l'intento di desumere la mia conclusione. – tu non credi che il mondo possa tornare magico come allora? – Astrel scosse la testa silenziosa, nel suo sguardo si rapprese un commisto di pessimismo e di vacua speranza.- Lo vorrei tanto, ma ho imparato che la felicità non vive di vita propria, perciò, è futile ricercarla con tanto ardore, dovremmo solo imparare a generarla. –- E come potremmo farlo? – Le domandai, stregata da tale profondità, la saggezza che palesava non si accordava alla sua giovane età.- Beh, funziona un po' come il calore, se vogliamo ottenerlo ci occorre una fonte d'energia, la mia felicità si nutre solo d'amore e finché non ne troverò a sufficienza continuerò a stringere questo talismano con amara malinconia. -9 Insidiosi stratagemmiOgni sera, alle ventuno scoccate, l'illuminazione interna della scuola si spegneva in automatico cedendo il posto alle bluastre lampade notturne istallate nei corridoi e nell'atrio centrale del piano terra. Tutto imbruniva nella paziente attesa del mattino. In fondo al corridoio est, dall'imponente ingresso della presidenza, una luce fioca filtrava dal millimetrico interstizio fra la base della porta e il pavimento. La Rosencrans s'intratteneva ancora nel suo ufficio, impelagata nella burocrazia delle carte pareva aver scordato l'esistenza dell'orologio. Con indosso un tallier blu notte dal taglio classico, l'anziana donna sedeva laboriosa dietro la scrivania, sorseggiando un wisky invecchiato quindici anni dal pregiato cristallo di un bicchiere. Il suo viso corrugato dal tempo e incorniciato da una sfoltita chioma canuta raffigurava tutti gli anni decorsi dal suo cinquantesimo compleanno. Liberandosi momentaneamente dagli occhiali da presbite, l'attempata direttrice si sfregò le palpebre conducendo la nuca sullo schienale della poltrona. Il suo sguardo vagante si posò su vecchie fotografie ingiallite che occupavano parte della sua scrivania, e come sovente avviene innanzi al nostro passato cartaceo, la donna abbandonò se stessa a lacunosi percorsi di reminescenza. Inglese dalla nascita, la direttrice Anne Rosencrans era cresciuta a Londra tra le finezze di una vita agiata. Il padre, un abbiente proprietario terriero amante delle scienze umanistiche, conduceva a Londra un ragguardevole collegio privato, dove i figli dell'elite cittadina ricevevano l'adeguata istruzione per debuttare in società. La madre, anche lei dall'apollineo spirito filantropico, si dilettava con l'arpa e il violino, insegnando musica nella scuola del marito. In quest'ambiente erudito e alto borghese, l'allora giovane Anne vi era cresciuta, maturando presto la capacità di declinare la sua persona con i diktat del moralismo e dei falsi sorrisi, in totale asservimento ai cliché sociali. Con la morte d'entrambi i genitori, tutti gli averi succedettero alla figlia, unica erede. Per ragioni del tutto sconosciute, nel 1995 ella vendette la scuola del padre alla blasonata famiglia Stanley, impiegando il ricavato nella fondazione di un nuovo collegio con sede a Mosca. La donna diede all'istituto il nome di Vladimir Vladimirovic Majakovskij, per onorare la memoria del primo poeta russo di cui aveva letto le opere, augurandosi che ciò fosse propiziatore di fausti. Fu così, che la Rosencrans divenne la direttrice indiscussa del Majakovskij, e a decorare d'autorevolezza la sua carriera, come i nastrini sulle divise militari, vi sono ben dieci anni di conduzione scolastica. Rammento un periodo, circa un anno addietro, in cui i fondi dell'istituto cominciarono a scarseggiare. Si vociferava che il Majakovskij fosse sull'orlo del collasso, " Impossibile" smentiva perentoria la Rosencrans se le chiedevano conferma a quella voce " Le classi tracimano d'allievi, e ogni anno tutti quei ricconi infatuati dal capitalismo non fanno che inoltrare domande d'iscrizione per i loro figli." Su tali persuasive argomentazioni, la direttrice confutava tutti coloro che sostenevano il contrario. Ciò nondimeno, la carenza di liquidità era palese in quel periodo: dal cibo di seconda scelta, al taglio delle spese per lo sport e i viaggi d'istruzione, fino al licenziamento ingiustificato di alcuni docenti. Nessuno si spiegava a cosa fosse dovuto quel repentino buco di bilancio, e scavare nelle insidie che insabbiavano la verità risultava ostico. Gli insegnanti destituiti vociferavano che la Rosencrans si fosse data al gioco d'azzardo, e in effetti, non di rado la si poteva incontrare in un casinò di Mosca a intrattenere una partita di poker o semplicemente incantata dinanzi ai monitor luminescenti delle slot-machine. Quale che sia la realtà, in meno di un anno la situazione si ristabilì. Gli insegnanti furono riassunti, il cibo tornò a essere quello di una volta, e tutti parvero dimenticare la misteriosa vicenda senza porsi ulteriori domande. Intenta a digitare caratteri sulla tastiera, la direttrice udì bussare alla porta. - Avanti - Disse, schiarendosi la voce. Liudmila fece il suo ingresso in presidenza dominando la scena con spettacolosi ancheggiamenti di bacino, come se stesse calcando una passerella d'alta moda. Mantenendo l'andatura e la rotta, raggiunse la scrivania della direttrice e si accomodò sul pouf verde muschio con rifiniture colore oro. L'allieva ebbe attenzione di curare la postura ed elegantemente accavallò le gambe poggiando entrambe mani sopra le ginocchia. Liudmila adorava atteggiarsi come una donna di classe, incarnare stereotipi confezionati dal senso comune le dava maggiore fiducia per affrontare la gente. Spesso i suoi gesti artificiosi la rendevano oggetto di scherno da parte degli altri allevi, ma questo era un fattore di poco conto, per Liudmila contava soltanto una cosa nella vita: trovarsi sempre al centro della scena. Bramava affinché gli altri la considerassero perfetta, lei meritava d'esserlo! Nel narcisismo esasperato Liuda vi era affondata trascinando giù i sentimenti, a galla persisteva soltanto il marcio. Alta appena un metro e sessanta, dalle forme arrotondate e dai comuni occhi castani, la giovane era in conflitto col suo aspetto e con la schiettezza di tutti gli specchi. La vita era stata così crudele appioppandole quel corpo da anatroccolo che un cigno come lei non meritava d'incarnare, e quanto odio fomentava dentro per tale perfidia subita! Con fare cerimonioso, la ragazza lanciò alla preside uno sguardo adulatorio sperando d'aggraziarsene i propositi.- Desiderava proferire con me, signorina Rosencrans? - La direttrice sollevò il bicchiere di wisky poggiato sulla scrivania, fece roteare per alcuni secondi i cubetti di ghiaccio quasi sciolti, e poi mandò giù l'ultimo sorso d'alcool.- Avrei un favore da chiederle, Liudmila Borisovna. Vorrei affidarle un compito abbastanza intrigante. - Liudmila rizzò la schiena sul pouf, così da trovare una posizione consona all'annuncio.- Dica pure, sono a sua totale disposizione. – La direttrice diede un colpo di tosse parandosi la bocca, poi si espresse.
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Melting Snow
RomanceUn collegio russo esclusivo, due studentesse che s'innamorano follemente... L'ambiente è ostile al loro amore, così Astrel e Svetlana fuggiranno via, vagando per la Russia. Il loro viaggio sarà un'avventura, un avvicendarsi d'incontri inaspettati, p...