Parte 3

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e nostre mani si cercarono vicendevolmente, insieme si legarono in un delicato contatto, lasciando fluire il carico emozionale che vibrava come uno spirito danzante. I miei passi e i suoi battevano il pavimento all'unisono, mentre spedite attraversavamo il corridoio per tornare in camera. La porta dell'aula di scienze era aperta, e nel momento in cui Astrel ed io vi passammo rasenti, lei si fermò di colpo perché conquistata da una mappa stellare appesa al muro. Svelta entrò in aula invitandomi a seguirla. In classe non c'era nessuno dato l' orario, e ogni nostro spostamento produceva un tenue riverbero che riecheggiava fra i muri. La luce bianca dei lampioni sul cortile s'infiltrava attraverso le finestre. - Scommetto che v'insegnano a distillare la vodka. – Scherzò Astrel, indicando un alambicco. - Quante cose interessanti qui dentro! -Disse, mentre gli oggetti presenti facevano a gara per stimolare la sua attenzione. Osservò distrattamente la tavola periodica di Mendeleev raffigurata col gesso sulla lavagna d'ardesia. Poi s'intrattenne d'innanzi una teca che preservava riproduzioni d'antichi strumenti. Con entrambe le mani lambì il cristallo della vetrina e con il volto si avvicinò tanto da lasciarvi l'alone. Era come se desiderasse trapassare il vetro e ghermire quel vecchio astrolabio per macchinarlo, ma si sarebbe accontentata della piccola meridiana o del termometro galileiano, pur di manovrarne uno. Infine, puntò gli occhi su ciò che dall'inizio l'aveva conquistata più del resto, una gigantografia delle ottantotto costellazioni ufficiali.- Wow! – Esclamò - Guarda com'è bella la Corona boreale! E che mi dici di Pegaso, o della Chioma di Berenice? Con l'aiuto di una fervida fantasia i popoli della terra sono riusciti a disegnare sul firmamento. Dall'emisfero boreale a quello australe, si sono sbizzarriti nell'unire puntini luccicanti dando vita alle figure più inedite. Sono in pochi a conoscere la costellazione dell'Orologio o della Macchina pneumatica. –- A cos'è dovuta questa passione per le stelle? – Le domandai, curiosa di saperne al riguardo. Astrel mi osservò sorridendo, aveva l'espressione classica di chi sogna a occhi aperti.- Hai mai provato a sdraiarti su un prato verde in una notte d'estate? -- Sì, mi è capitato. – Le risposi, immaginando il profumo di rugiada e le carezze dei fili d'erba sulle braccia.- Allora puoi comprendermi. Ti sarai interrogata anche tu sui misteri imperscrutabili del cosmo. C' è un solo universo? Se sì, all'interno di cosa si estende? Ma, soprattutto: noi siamo gli unici ad abitarlo? –- Oh, quanto vorrei poterti rispondere! Forse è inutile porsi delle domande così inarrivabili, sarebbe saggio rinunciare e ammettere i propri limiti ma, credo che un uomo smetterebbe d' essere tale se lo facesse. - Astrel annuì, poggiando una mano sulla cartina. - E' piacevole discutere con te. – Commentò, mostrando apprezzamento nei miei riguardi. – Se anche gli altri adolescenti usassero la tua dialettica forse avrei più amici. – Il suo commento mi stupì piacevolmente, di rado la gente sapeva apprezzare le mie riflessioni e coglierne lo spunto per disquisire con acume, il più delle volte si meravigliavano che persino una ragazza bionda con le gambe in mostra disponesse di un organo celebrale. - Io cerco soltanto d' esprimere i miei pensieri, tento di ricavare un significato a ciò che risulta d'arduo discernimento. - Replicai con modestia.- Capisco. – - Se può interessarti - Continuai, attratta dall'idea che mi era appena balenata in mente. – All'ultimo piano dell'istituto c'è un piccolo osservatorio astronomico. Non aspettarti la stazione di Mauna Kea, però, ci sono due telescopi che arrivano ben oltre i nostri nudi occhi. –- Davvero? Cosa stiamo aspettando dunque? Andiamo a spiare i pianeti. – Accettò lei, entusiasmata dalla mia proposta.L'ufficio della Rosencrans giaceva al buio. Il ticchettio ritmico dell'orologio a pendolo intervallava il silenzio dando voce ai secondi con cadenze regolari. Dalla finestra filtrava una debole luce che illuminava parzialmente la poltrona su cui la preside tentava di riposare. Un inedito bisogno di raccoglimento l'aveva spinta a celarsi fra le mura del suo ufficio, ma il tentativo d'isolarsi dal resto veniva puntualmente invalidato da qualsiasi brusio o scroscio proveniente dall'esterno. La donna sedeva con lo sguardo perso al vuoto e l'espressione abulica, quasi in trance. Nella sua mente rimuginava la solita ossessione. Quel vizio insanabile che voracemente si cibava del suo patrimonio economico prosciugandone ogni riserva. La donna si massaggiò il collo attraverso un movimento breve e rapido della mano, gravando la pelle vizza della nuca di tutta la sua ansietà. Poi condusse entrambe le mani alle tempie e socchiudendo gli occhi massaggiò anche quelle. " Devo porre fine a tutto ciò. Io devo riuscirci. Da domani, non un solo rublo finirà perduto al gioco." Quante volte se l'era ripromesso? Ma i suoi nobili propositi si frammentavano come cristalli innanzi a una partita di black-jack o a un'invitante roulette. Tentando di scacciare i tormenti, la preside decise di trascorrere qualche ora al PC per completare del lavoro arretrato. Dal corridoio provenivano passi incalzanti che si udivano sempre più acuti, fino a quando, la direttrice non vide la porta del suo ufficio spalancarsi e Liudmila entrare con gran foga. La giovane allieva s'accorse che La luce era spenta, in mezzo al buio intravide la faccia rugosa della Rosencrans, che illuminata dal monitor, appariva biancastra come quella di uno spettro. La voglia d'insultare quella vecchia bacucca ribolliva in lei come la lava di un vulcano. Ancora una volta la preside era riuscita a rovinarle la festa, ma adesso la studentessa si trovava al suo cospetto, e se pur con l'espressione imbronciata e i vestiti stropicciati, doveva fingersi cortese e riverente. La donna accese la luce ed esaminò l'allieva con espressione coriacea.– Ho interrotto qualcosa, Liudmila Borisovna? So che non è buona norma assentarsi quando qualcuno ci viene a trovare, tuttavia, mi urge conferire con lei; temo dunque che il suo ospite dovrà pazientare.- Liudmila strinse i pugni con veemenza, dalla rabbia stava quasi per conficcarsi le unghie dentro la carne. - Non c'è problema signorina Rosencrans, io sono sempre a sua completa disposizione. – Rispose, tradendo la sua affermazione con una smorfia adirata e risentita.- Mi compiaccio. – Affermò la donna, sagomando un sorriso ipocrita. - Desidero sapere se sta svolgendo quel piccolo favore che le ho commissionato. - Liudmila trasalì in preda al panico. Spiazzata, realizzò di non possedere un piano preciso e ben delineato da esporre, così assunse un atteggiamento difensivo.- Ecco, come posso spiegare? Per questo genere di cose occorre del tempo, ed è passato appena un giorno, di conseguenza io... - Quando la direttrice udì pronunciare la parola tempo, balzò in piedi battendo energicamente la mano sulla scrivania.- Santo cielo, Liudmila! - Proruppe alzando il tono della voce. - Se c'è una cosa di cui non disponiamo, quella è il tempo. - - Lo so, lo so. Comprendo perfettamente la delicatezza della situazione ma, quella ragazza è qui d'appena un giorno. Con tutto il dovuto rispetto, signorina Rosencrans, io non sono capace di operare miracoli. – Liudmila espirò ritrattando la sua posizione. – A ogni modo, se mi concede soltanto una settimana, potrei riuscire a... -- Non se ne parla proprio – Troncò la preside perentoria. – Domani stesso farai in modo che l'intera scuola la creda una ladra, a te la strategia. -- Una ladra! – Esclamò Liudmila perplessa. – Come posso? – La Rosencrans tornò al suo da fare fingendo che Liudmila si fosse già accomiatata, e taciturna prese a sfogliare alcuni documenti contenuti in una cartellina.- Va bene, ci proverò. – Decretò la studentessa dopo aver riflettuto in silenzio. – Ehm, se dovessi fallire? – aggiunse impensierita. La direttrice continuava a lavorare assorta, l'eloquenza del suo silenzio non poteva travisarsi. Liudmila smise d'intrattenersi e si diresse verso l'uscita, solo allora la direttrice alzò lo sguardo e concluse dicendo – Sarebbe davvero un peccato istallare delle grate su tutte le finestre del piano terra, non trova anche lei? -La luna nuova svelava le stelle agli spettatori terrestri, anche le più timide quella sera scintillavano attraverso milioni d'anni luce. Insieme ad Astrel salivo la scala che mi avrebbe condotta all'ultimo piano del Majakovskij, dove grazie ai proventi del signor Stanley, la Rosencrans aveva allestito un piccolo osservatorio per le lezioni d' astronomia. Giunte sull'attico ci intrufolammo guardinghe all'interno dell'osservatorio, non era concesso recarvisi senza un insegnante al seguito, ma il signor Vyacheslav soffriva spesso di sbadataggine e scordava di serrare l'ingresso. Una cupola con struttura a spicchi in lamiera zincata sovrastava il basamento circolare della stanza, e grazie al portellone mobile, da me appena aperto, era possibile scrutare una parte di cielo. Astrel mosse qualche passo curioso calpestando il pavimento circolare, rivestito da un materiale ignifugo di colore bianco. Al centro della stanza, un telescopio con montatura altazimutale non poté che lasciarsi ammirare dagli occhi sedotti della mia amica, ma quando ella si mosse per raggiungerlo fui costretta a bloccarla.- Aspetta, Astrel! – Astrel si arrestò al mio comando – Guarda lì. – Le dissi, indicandole con la punta del dito una piccola spia rossa che lampeggiava sulla scrivania, all'interno di un dispositivo posto tra il PC e un oculare ortoscopico a sei lenti. - L'allarme è attivo. –- Accidenti! – Esclamò lei delusa, ma non troppo. - Oh Astrel, sono desolata! L'allarme si può disattivare solo dalla presidenza, e quella strega sarà lì adesso. Lei sorrise puntando gli occhi al tetto.- L'idea di spiare il cielo alla scoperta dei suoi misteri arcaici mi allettava parecchio, ma questa sera le stelle si vedono benissimo anche a occhio nudo. -- Sì, ma non è la stessa cosa. – Replicai sconfitta. Astrel si avvicinò a me e con un gesto delicato mi cinse la vita.- Io credo sia molto romantico stare qui, non trovi anche tu? - Sole in quel luogo buio, al riparo da sguardi indiscreti e intransigenti, la situazione non poteva che evolversi in un solo modo. Entrambe desideravamo la stessa cosa, lo volevamo intensamente. Mi colpì molto la naturalezza e la spontaneità con cui avvenne il tutto. Non ci fu alcuna esitazione nei nostri gesti, nessuna vergogna né senso del pudore, solo la complicità di due persone fatalmente attratte. Stringendoci, cominciammo a sfiorarci in zone proibite. Lentamente prima, con discrezione e delicatezza, poi con maggiore passionalità. Le sue mani tiepide viaggiavano pioniere sul mio ventre. Sapevo dov'erano dirette, sapevo quando si sarebbero fermate, e desideravo soltanto che giungessero a destinazione. Erano sensazioni così nuove per me, così insolite. Trasportata com'ero in un'altra dimensione, nella mia mente non c'era spazio che per quel momento, il nostro momento. I vestiti sparirono presto dalla scena, cedendo il posto a un contatto intenso. Mi persi in lei così come fa la falena quando vede la luce, ci gira intorno e poi... si fonde nel suo bagliore. Sdraiate ora sul pavimento gelido, sentivo il suo cuore battere forte, la sua pelle soffice strofinarsi con la mia, e finalmente, lei in me nel profondo. Per un interminabile istante provammo un'estasi divina. Adesso la passione aveva ceduto il posto alla tenerezza, la sensualità alla dolcezza, i sospiri intensi a quelli lievi e sussurrati. I nostri corpi nudi, che abbracciati si regalavano carezze sottili e nascoste, di certo apparirebbero uno spettacolo triviale e sgradito ai benpensanti del borgo. Perversione, è la prima parola che userebbero nel descriverci, degrado e devianza sociale, aggiungerebbero anche. A volte mi chiedo perché, perché proprio l'uomo, unico essere del regno animale dotato di razionalità, finisca sempre per comportarsi come il più stolto! D'altronde, chi non reputa l'amore un sentimento libero e privo di confini? Ciò significa che esso va vissuto in totale trasporto e naturalezza, altrimenti, si rischierebbe di perderne lo spirito magico che lo caratterizza. Eppure, a dispetto di questo lampante assioma e della sua incontrovertibilità, in ogni cultura è già stabilito a priori come l'amore debba declinarsi. Si può stare insieme solo se eterosessuali, molto meglio da sposati, all'interno del matrimonio si sa, quella scurrilità che si pronuncia "sesso" trova una collocazione funzionale. Non si può amare una persona che abbia il colore della pelle diverso dal proprio, e nemmeno chi crede in un altro Dio, è vietato pure amarsi, se vi è differenza d'età o di ceto sociale. Ci sono modi "giusti" d'amare, modi "permessi", modi "normali". Siete davvero convinti di tutto ciò? Pensate che il terreno ideale per coltivare l'amore sia una società bigotta e intollerante? Quella stessa società che chiude occhi e cuore di fronte a guerre e sofferenze, e si lascia invece scandalizzare da due uomini che vanno in giro mano nella mano? Io ho scelto un luogo differente per coltivare il mio sentimento, una terra vergine e prospera che porta il nome di libertà. E non importa se il dazio da pagare è l'intolleranza della gente, i loro giudizi razziali, e l'emarginazione. Il mio cuore pulsa comunque di gioia, alimentata dalla tenacia che mi ha spinto a travalicare il confine.Il pavimento freddo cominciò a sortire i suoi effetti, forse era giunto il momento di alzarci e recuperare i vestiti sparsi qua e la intorno a noi. A volte la sera, prima d'addormentarmi, socchiudevo gli occhi per fantasticare sulla mia prima volta. L'immaginazione riusciva a condurmi in ogni luogo: letti soffici, vasche idromassaggio, spiagge esotiche o romantici chalet. Devo ammettere che un osservatorio astronomico ha un po' deluso le mie aspettative, ma in cambio ho avuto lei.- Da oggi il mondo è più bello. – Le dissi, mentre la guardavo rivestirsi. Gli occhi d'Astrel sbucarono dal pull-over che stava indossando, smaniosi di ritrovare i miei.- Anche per me. – Rispose verace. Mettendomi in piedi le porsi una mano per alzarsi. - Ti conosco da poco tempo, Astrel, ma ti reputo una ragazza speciale. -- Speciale? – Ripetè lusingata.- Proprio così. Sei dolce, affabile, aperta, e poi nessuno più di te riesce a comprendermi con uno sguardo. – Lei annuì serafica, arrossendo appena. - Correggimi se mi sbaglio. – Continuai, stringendo la sua mano tra le mie - Ma penso ci sia qualcosa in te, qualcosa che non ti consenta di viver serena come un adolescente dovrebbe. -- Esatto. E' proprio così. – Si meravigliò lei, quasi convinta che possedessi un'arte divinatoria, e per un momento mi fece sentire un'indovina al cospetto della sua palla di vetro. - Ora sei stata tu a capirmi con uno sguardo, mi hai letto l'anima. E pensare che quello stupido freudiano del mio analista non c'era mai riuscito! -- Per certe cose non occorre la psicanalisi. Cos'è che ti affligge? - Astrel chiuse gli occhi per un momento, una lacrima calda e veloce le rigò il volto.- Sono tante le cose che non vanno, Svetlana, ma... il problema maggiore è costituito dai miei genitori. Loro non vogliono accettarmi per quella che sono. -- Ti riferisci al fatto - Astrel annuì ancor prima che formulassi la mia domanda. – Sì, esatto. Credo ti sarai accorta che i ragazzi non m'interessano più di tanto. – Con un sorriso le carezzai il viso prosciugandole il segno umido della lacrima. – E allora? Pensi che questo legittimi i tuoi a rovinarti la vita? A emarginarti o farti sentire inferiore? Sai qual è l'unica differenza tra le persone come noi e gli altri? – Astrel lasciò rispondere me. – Che noi siamo una minoranza, un universo inesplorato, e la gente ha sempre temuto ciò che non conosce. –- Convengo col tuo pensiero, Svetlana, ma ciò non li autorizza a fomentare disprezzo nei nostri riguardi. Nessuno ha il diritto di annoverarci tra i rifiuti della società. Eppure il mondo ci riserva lo stesso livore che spetterebbe a un delinquente, per non citare l'opprimente senso di colpa che in base al parere di certi religiosi dovremmo provare.- Senso di colpa! – Sbottai infervorata – Così dovremmo essere noi a martoriarci per colpe inesistenti? E certi capi di stato? Uomini panciuti dall'aria malandrina, che allegramente discutono sotto cappelle dorate e si beffano delle conseguenze che le loro scelte comportano. - Entrambe sospirammo in segno d'impotenza, due ragazze che nutrivano il medesimo dispregio per le brutture del mondo, non costituivano certo la condizione necessaria per sovvertirne i connotati.Uno zampillare d'acqua animava la piscina olimpionica del Majakovskij rendendo il pavimento circostante umido e lucido. Il sole filtrava dalle ampie vetrate sovrastanti e colpendo l'acqua rifrangeva dinamici riflessi sul tetto di legno. Nella parte bassa della piscina, Astrel eseguiva gli esercizi d'acquagym insieme ai suoi compagni di classe. L'aria riscaldata sapeva di cloro e Astrel sentiva gli occhi bruciare. Dal bordo vasca, la Chechov coordinava i movimenti a suono di fischietto, sollecitando gli allievi a prestare maggiore impegno.- Voglio vedere quelle ginocchia schizzare fuori, coraggio! – Ripeteva, alternando gli schiocchi delle dita al fischietto. - Siete lenti! Lenti ragazzini, flosci come i molluschi. – Nascosto dietro un'apparente partecipazione, lo sguardo d'Astrel si smarriva altrove. Il suo risveglio quel giorno era stato un po' turbolento. Aveva aperto gli occhi di botto, disturbata dal suono della sveglia che non smetteva di trillare, e si era tirata su dal letto credendo per un momento di trovarsi a Londra. Quando comprese d'essere ancora li, a tre fusi orari da casa, tornò a sdraiarsi affondando la guancia sul cuscino. – Che ci faccio qui? – Bisbigliò mentre si raggomitolava fra le lenzuola. – Voglio scappare via. – Il suo cuore sobbalzò d'un tratto, pareva le stesse parlando, come a volerle rammentare qualcosa, d'altra parte, abbandonare la Russia l'avrebbe inevitabilmente separata da quella creatura che lievemente assopita giaceva al suo fianco.Intrufolandosi furtiva nello spogliatoio femminile, Liudmila si accertò d'essere completamente sola. Fece un giro veloce delle docce, le tendine erano aperte e dentro non c'era nessuno, anche i bagni erano liberi. Da lontano provenivano i fischi della Checov e il rumore classico di una massa d'acqua in movimento. La giovane studentessa comprese di poter agire liberamente, ma doveva fare in fretta. Di fronte a lei, una panchina colorata era colma di zaini e borsoni, insieme a felpe e scarpe da ginnastica gettate a casaccio sul pavimento con i lacci che serpeggiavano ovunque. Liudmila indugiò qualche istante, poi si decise. Con una mossa felina si avvicinò alla panchina, sollevò uno zaino, e solo dopo aver letto il nome del proprietario riportato sulla targhetta, v'introdusse quell'oggetto di sparute dimensioni che stringeva in mano già da un pezzo. Accertandosi d'averlo nascosto per bene dentro una tasca interna, ripose lo zaino al proprio posto. – Diamine ci sono riuscita! – Esclamò a bassa voce. – Non vedo l'ora che arrivi la pausa pranzo. – A quel punto, tornò in classe a seguire la lezione e a fingere che nulla fosse.Io e te. Soltanto noi negli abissi segreti dell'amore.Un sentimento ci unisce e la nostra pelle si sfiora.Il tuo cuore danza con il mioe le nostre anime si fondono.Ora posso sentirti in me e averti.Finalmente siamo essenza.- Forse dovrei variare il finale o aggiungere delle rime. No. Devo riscriverla daccapo. - Sola con il mio diario, sedevo in un tavolo della mensa scolastica. Il vociare gavazzano degli altri studenti, tipico dell'ora di pranzo, non riusciva a farmi concentrare. Magari con l'arrivo della sera, tranquilla nella mia stanza ad ammirare lei che dorme... sì, forse sarei riuscita a scrivere con maggiore ispirazione. Il cibo nel vassoio stava quasi per freddarsi, ma preferivo aspettare Astrel prima d'iniziare a mangiare. Richiusi il diario accarezzandone la copertina, era rivestita da soffice ciniglia rosa. Sul frontespizio campeggiava una targhetta di cartone robusto, appositamente incollata per indicare il nome del proprietario, ma io scelsi di trascrivervi un desiderio: Melting snow, la neve che si scioglie, la primavera sboccia, una nuova possibilità di vita che si schiude come un bocciolo. All'ingresso della mensa, Liudmila prendeva a strattoni il distributore di bevande, ancora una volta le aveva fregato i soldi. Con la mano premeva sul vetro speranzosa che la sua lattina uscisse, ma nulla da fare, quella macchina non voleva saperne. – Dannazione! – Imprecò inviperita, come sempre bastava un non nulla a farle perdere la calma. Inserendo un'altra moneta, Liudmila s'accorse che Astrel era appena entrata in mensa e che indossava lo zaino sulle spalle. Dimenticando all'istante il suo piccolo inconveniente col distributore, Liuda la seguì con la coda dell'occhio fino a quando non la vide raggiungere il tavolo in cui sedevo e posarvi sopra lo zaino. – Oh, eccoti qui. Adesso capirai cosa comporta mettersi contro di me. – Liudmila realizzò di star parlando ad alta voce, e d'istinto si portò una mano alla bocca opponendovi pressione, quasi a volerla rimbrottare per tanta arbitrarietà. Nessuno aveva udito le sue parole, ma la studentessa s'imbarazzò ugualmente divenendo paonazza. Incedendo con andatura raffinata, Astrel imprigionò i miei sensi ammaliandomi col suo fascino etereo. I suoi occhi cerulei quel giorno possedevano un inedito fulgore, pareva quasi che tutti i colori dell'oceano si fossero rappresi in un soffio di cielo per renderle omaggio. Il mio umore non poté che giovarne, le pedanti lezioni mattutine m'avevano reso neghittosa e insonnolita, ma ora la mia ambita era di nuovo accanto a me. Quando i nostri sguardi s'incrociarono, insieme tornammo alla sera precedente. Anche lei stava rivivendo quel momento, ne ero certa, lo compresi dal gesto d'intesa che mi lanciò, più eloquente di mille parole.- Ciao. – Mi salutò- Ciao, Astrel. –- Che cosa stavi facendo d'interessante? – Domandò, riferendosi al diario che avevo appena messo via.- Beh, io scrivo i miei pensieri, traduco in lettere emozioni e sentimenti, mi aiuta a esprimere ciò che provo. - Astrel sorrise affascinata e sedendosi di fronte a me rubò una foglia di lattuga dal mio vassoio.- Capisco. Anche a me piacerebbe farlo, qualche volta ho tentato, ma, difficilmente scelgo la scrittura come canale comunicativo, io non sono brava con le parole. –- Forse non lo sei quando le stendi sulla carta, ma se le trasformi in voce riproduci il canto delle sirene. – Astrel apprezzò il complimento e le sue gotte si accesero come rubini. - Sono convinta che entrambe sentiamo il mondo nella stessa maniera – Aggiunsi.- Sì, lo penso anch'io, e se quel diario è l'emblema del tuo universo, il portale dal quale vi si accede, non desidero altro che ricevere un invito per poterlo visitare. – La sua proposta mi causò una piacevole stretta allo stomaco, condividere con lei la mia essenza piu' vera era tutto ciò che volevo.– Ti prometto che leggero per te ogni singola pagina, nell'auspicio che i miei versi possano allietarti. – Fu la mia risposta seria e sincera.Liudmila si trovava ancora lì, impassibile innanzi al distributore di bevande, come se gli occhi di Medusa l'avessero pietrificata. Scrutandosi intorno, notò che la mensa era più affollata del consueto, non un solo tavolo libero. Tornando a puntare Astrel, la sua espressione si fece infima. – Oggi è il tuo giorno sfortunato, carognetta, ti farò passare per una misera ladra. – Ancora una volta il Super-io di Liudmila non aveva compiuto adeguatamente il proprio lavoro, permettendo che i pensieri della giovane si palesassero a voce alta. Liudmila quasi non s'accorse di averlo fatto, in quel momento era assorbita dalla smania di rivalsa. Eccitazione e preoccupazione altercavano nella sua mente, non poteva permettersi di sbagliare, altrimenti, la Rosencrans le avrebbe reso la vita impossibile; la nuova arrivata doveva abbandonare la scuola al più presto, e questo furto ne sarebbe stato il pretesto. Al tavolo dei docenti la Checov trangugiava una bistecca ai ferri. Incurante del galateo, mandava giù un boccone dopo l'altro rumoreggiando come una belva famelica. Liudmila le si avvicinò intenta a proferire con ella, ma l'insegnante era troppo occupata a ingozzarsi per prestarle udienza. La studentessa la osservava basita, schifata da tanta ingordigia. Non occorreva una fantasia fulgida per immaginare la Checov nella penombra di una caverna preistorica alle prese con la clava. – Mi scusi professoressa, se ha cinque minuti.... – Liuda cercava di conquistare l'attenzione dell'insegnante badando che il suo tono fosse quanto più garbato possibile, quella donna le occorreva per il suo piano, e l'ultima cosa che desiderava era mettersela contro facendola spazientire. – Ha qualche problema, Liudmila Borisovna? La lezione d'aerobica è spostata per le due. – Sbottò la donna, rabboccandosi il bicchiere di Vodka. – Veramente, non sono qui per la lezione d'aerobica. – Precisò con un sorriso espansivo. La Checov prese a picchierellare la forchetta sul piatto con ritmo irregolare. - Allora qual è la ragione che l'ha spinta a importunarmi? – Domandò con lo sguardo magnetizzato dai rimbalzi bislacchi della forchetta sul piatto di plastica. Liudmila si chinò col capo verso l'insegnante e intrattenne con ella una breve conversazione, scrutando al contempo gli altri docenti per sincerarsi che nessuno udisse le sue parole bisbigliate.La donna sgranò gli occhi e fissò l'allieva con perplessità - Ma come ti balena in mente? Tutto ciò ha del paradosso! – Liudmila osservò la professoressa di ginnastica con fare supplichevole, pareva lì lì per genuflettersi e implorare d'assecondarla. La Checov Storse le labbra e fece roteare gli occhi, poi si alzò da tavola contrariata, abbandonando gli ultimi bocconi della sua deliziosa bistecca. Un senso di pesantezza addominale l'accompagnò fino al centro della mensa, insieme alla risoluta Liudmila, che l'appressava briosa come un cagnolino scodinzolante. L'insegnante ghermì con le dita il fischietto che portava al collo e lo spolverò dagli spilucchi di lana rilasciati dal maglione, poi lo strinse nell'unto delle sue labbra che sapevano ancora di vodka e aglio. Emise due fischi acuti consumando tutto il fiato che aveva in gola, decisa a placare il vociare festaiolo dei presenti, affinché la loro attenzione s'incanalasse sulla fremente Liudmila. Quando la studentessa s'accertò d'avere tutti gli occhi puntati su di sé, e pregando affinché quell'istante di notorietà non avesse fine, esordì mettendo in mostra le sue spiccate doti da commediante. L'espressione tragica che aveva assunto si accostava bene al tono piangente della sua voce. - Sta notte mi è accaduta una cosa terribile! – Esordì, creando un velo di suspense - Mentre stavo dormendo, qualcuno è entrato in camera mia e ha cominciato a rovistare ovunque. - Liudmila fece una pausa, sforzandosi di far scendere le lacrime dagli occhi, poi continuò la sua appassionata recita. - Quando mi sono svegliata, ho trovato a soqquadro ogni angolo della stanza. Fortunatamente non mancava nulla, tranne un oggetto per me d'inestimabile valore. – La ragazza si portò una mano al petto per conferire maggiore pathos a ciò che diceva. - Si tratta di un anello; un anello appartenuto alla mia povera nonna defunta, a cui io ero molto legata. Sono vivamente dispiaciuta per ciò che intendo chiedervi, ma ho bisogno della vostra collaborazione se desidero riappropriarmi del mio prezioso ricordo. Dovrete soltanto aprire gli zaini e mostrarne il contenuto alla professoressa Checov, non che stia accusando qualcuno in particolare, ma sono convinta che il colpevole sia qui fra noi. – Liudmila fu letteralmente attorniata dalle sue compagne, la storia della nonna defunta le aveva conquistate tutte. A nessuna di quelle ragazze passò per la mente che la loro beniamina stesse mentendo, e con verace partecipazione tentavano di consolarla con svenevoli moine. La Checov rifletteva a braccia conserte. " Come le può saltare in mente che l'anello sia in qualche zaino? Con tutti i posti che ci sono per nasconderlo? Che razza d'idea è mai questa? " Nonostante la professoressa di ginnastica avesse un carattere sospettoso e poco avvezzo nel rifondere fiducia in soggetti differenti da se stessa, quella volta non aveva capito di trovarsi coinvolta in un raggiro. Lasciando da parte le sue considerazioni, l'insegnante decise di assecondare Liudmila, non voleva incorrere in possibili problemi con la Rosencrans, perché era questo ciò che sarebbe accaduto se solo avesse contrariato i capricci prepotenti della sua allieva prediletta. Liudmila fissava tutti noi con sguardo compunto, credo di non averla mai vista così provata. Ammetto che in un primo momento la sua arringa mi persuase, aveva mescolato toni misurati e persuasivi, tanto da stentare a cedere che fosse lei a parlare. Riflettendo, però, qualche dubbio mi era sorto. Non capivo la sua ostinazione nel voler perlustrare gli zaini di tutti gli alunni presenti in mensa, se solo quella storia fosse stata vera, lei stessa avrebbe capovolto l'intero Majakovskij per riappropriarsi della refurtiva.- Secondo me ha inventato ogni cosa. Quella lì cerca sempre un pretesto per attirare l'attenzione e creare scompiglio. – Commentò Astrel, lasciando trasparire quanto di personale vi fosse in ciò che affermava.- Hai ragione, Liudmila adora stare al centro della scena, più che smania di protagonismo, il suo è un narcisismo smodato. – Le risposi. Dopo un lungo giro d'indagini, la Checov giunse al tavolo in cui sedevamo io e Astrel. Con lo sguardo c'intimo di prestarle attenzione, e con voce stizzita si rivolse a entrambe. – Aprite le borse voi due, devo controllare. – Liudmila si sforzava di tenere i nervi saldi, le sue amiche continuavano ad assillarla con domande petulanti.- Sei sicura che non manchi altro? -- Come hai fatto a non accorgerti che c'era qualcuno in camera? –- Al posto tuo, io sarei morta di paura! – La derubata stava per soffocare, non riusciva a scrollarsele di dosso. Evadendo con lo sguardo, s'accorse che la Checov stazionava al nostro tavolo e cacciava l'occhio dentro lo zaino d'Astrel.- Oh mio Dio! – Esclamò a voce alta. – Ragazze scusatemi, ma devo proprio andare. – Una volta liquidate le sue compagne, Liudmila corse ad affiancare la corpulenta insegnate di ginnastica.- Non è nemmeno qui. – Concluse la Checov, ormai estenuata di cercare a vuoto. Nel sentire pronunciare tali parole, Liudmila ebbe un tuffo al cuore, la professoressa non s'era accorta di quella piccola tasca interna in cui si trovava l'anello. Vedendo il suo mefistofelico piano sgretolarsi come un castello di sabbia, la studentessa decise d'intervenire. Con un gesto selvaggio sottrasse lo zaino ad Astrel, recuperò l'anello da quella tasca, e infine, lo tirò fuori con un sospiro teatrale. - Eccolo! Il mio anello, sì, è proprio il mio anello! – Una calca di studenti sbigottiti si raggruppò intorno al nostro tavolo, facendo a spintoni per conquistare il posto in prima fila. La Checov era senza parole, letteralmente basita. Di fronte all'evidenza dovette ricredersi, Liudmila aveva ragione. Un furto rappresentava un episodio inedito per il Majakovskij, un gesto che non si credeva possibile, neppure a opera dei più scalmanati. " Questa londinese ci sta dando filo da torcere." Pensò l'insegnante corrucciandosi in viso. E' superfluo sottolineare, che da un insegnante come la Checov ci aspettavamo tutti una reazione brutale ed eccessiva, uno di quegli sfoghi isterici a cui spesso assistevamo.- La professoressa ti farà nera! – Disse una voce in mezzo alla folla. – Non vorrei essere al tuo posto, londinese. – Canzonò un'altra, suscitando qualche risatina. Purtroppo, nessuno di noi si sbagliò in merito, e di lì a poco, l'insegnante d'educazione fisica scagliò la sua ira selvaggia contro la povera Astrel. Con l'ausilio delle sue manacce pesanti la ghermì per un braccio cominciando a strattonarla.- Ladra! Non ti vergogni? Sei qui da due giorni e già ti metti a rubare. - Più la Checov s'infervorava, più la stretta sul braccio d'Astrel aumentava a dismisura. Il dolore divenne insopportabile.- Mi lasci stare, mi fa male! - La situazione voltò a favore di Liudmila e la studentessa colse l'attimo provando a rincarare la dose. - Ora ricordo! - esordì con atteggiamento battagliero – Questa notte ti ho visto uscire dalla mia stanza. Hai rubato tu il mio anello, maledetta ladra! - L'evidenza parlava a sfavore di Astrel, e in una simile circostanza, credere alle fandonie di Liudmila sembrava l'unica ragionevole possibilità. Io non lo feci. Neppure per un istante dubitai riguardo all'innocenza della mia amica.- Ora basta, Liudmila! Stai dicendo delle assurdità, Astrel non può aver rubato il tuo stupido anello. – Strillai incollerita. Lei replicò litigiosa.– Ah, no? Allora perché si trovava nel suo zaino? –- Sei stata tu a infilarglielo, è ovvio. – - Il braccio! – Astrel continuava a gridare di dolore, quella donna era talmente coriacea che avrebbe piegato anche il ferro. – Non vede che le fa male? – La Checov non mi prestò attenzione, era furibonda come un rottweiler aizzato alla lotta.– Ci provi gusto a rubare? Sei una cleptomane per caso? - - Non ho rubato nulla. –- Smettila di dire sciocchezze, impudente ladruncola! Come puoi denegare innanzi all'evidenza? -Astrel era confusa, disorientata, come riuscire a dimostrare la sua innocenza? Ormai si trovava nella ragnatela che Liudmila aveva tessuto per lei, e uscirne non sarebbe stato facile.- Professoressa, rischia di spezzarle l'osso! – Schiamazzò un ragazzo tra la folla. L'insegnante di ginnastica si persuase, e finalmente ritrasse la sua mano grassa e callosa dal braccio d'Astrel.- Ci penserà la Rosencrans a darti una bella lezioncina. – Disse la Checov, articolando le dita della mano. - Questo non mi sembra corretto! – Protestai istintivamente, poi mi rivolsi a Liudmila – Perché non dici la verità? Coraggio, ammettilo che è tutta una messinscena. – - Ma quale verità? Quale messinscena? – Replicò lei con voce innocente. - Sei una povera vigliacca, solo un'ignobile come te poteva arrivare a tanto. – Tuonò Astrel con disprezzo. - Ne ho abbastanza di voi tre, signorine. - Sbraitò la Checov esasperata – Recatevi in presidenza, subito! Nel caso non lo rammentaste, siamo al Majakovskij, non nel postribolo di un sobborgo. – Liudmila prese a singhiozzare spasmodicamente.– Dice sul serio? Intende mandare in presidenza anche me? Ma io non ho fatto nulla. – Si oppose frignando.- Credo proprio che mi farò radiare dall'insegnamento se odo un'altra parola, Liudmila. Adesso filate tutte e tre. -Il vento sferzava le rive del Moscova increspando l'acqua e trascinando nella sua direzione le sottili lastre di ghiaccio che galleggiavano sul fiume. Il sole appariva e spariva dal cielo, portando con sé le ombre degli alberi e degli edifici. Su una sponda del fiume, Irina camminava da sola calpestando alcune foglie secche. Procedendo spedita verso la stazione della metro, la ragazza dall'animo struggente sapeva di dover tornare lì, in quel vecchio magazzino in disuso, adibito da Ivan a luogo dei piaceri. – Io sono una persona libera, nessuno può costringermi a fare ciò che non desidero – Ripeteva a se stessa nel vacuo intento di auto persuadersi. – Andrò da lui e porrò fine a questa storia. – Prima di svoltare per raggiungere la stazione Paveletskaya, Irina si fermò un istante a osservare il mondo che le correva intorno. Com'era bella la sua città quando il soffice mantello bianco l'avvolgeva e le sfumature rosate del cielo facevano rifulgere il fiume come un immenso nastro di seta. Quanto avrebbe voluto deliziare di quel panorama. Concedersi al vento e ai profumi autunnali, udire l'idilliaca melodia del divenire attraverso i fruscii sussurrati delle frasche. Ormai era impossibile. Nulla poteva donarle pace. Nella sua mente, soltanto lo spazio per le ossessioni e i ricordi raccapriccianti. Con aria mesta, la ragazza riprese a camminare. Adesso guardava al suo passato con malinconia, proprio a quel passato dal quale era fuggita perché non le piaceva. – La vita di campagna non fa per me, in mezzo alla steppa c'è troppo silenzio. Ho deciso di partire, voglio andare a Mosca a studiare. – Con queste lapidarie parole, cominciava la lettera che Irina aveva lasciato ai suoi genitori sul tavolo della cucina, poi era uscita di casa nel cuore della notte, ed era saltata sulla transiberiana per raggiungere Mosca. – C'è una scuola molto importante qui, si chiama Majakovskij. Mi hanno ammesso circa un mese fa, voi non dovrete preoccuparvi di nulla, ho i miei risparmi, e userò quelli per pagare la retta. – Questo lo aveva scritto nelle corrispondenze successive, quando Irina era ancora felice: felice per aver realizzato un sogno, felice di aver conosciuto un ragazzo di nome Ivan. - Lui è molto gentile con me, mi riempie d'attenzioni e non mi lascia un momento, credo d'essermi innamorata. – Si concludeva così l'ultima missiva inviata ai suoi genitori, ciò che era accaduto in seguito, Irina lo aveva tenuto in serbo. Nessuno sapeva di quel magazzino oscuro, dei materassi vecchi che puzzavano d'umido, gettati per terra in mezzo agli scaffali. Come spiegare ciò che si prova a sdraiarvisi controvoglia? A essere il giocattolo di chi ha pagato per averti? A volte ragazzi, amici d'Ivan pronti a sborsare rubli per divertirsi, altre, sessantenni morbosi con l'alito pesante e la pelle untuosa.La Checov ci accompagnò in presidenza imponendoci di restarvi fino a che la Rosencrans non fosse tornata dalla pausa pranzo. – Oggi la preside è di pessimo umore, ed io non vorrei mai essere al vostro posto. – ci informò l'insegnante con un certo sarcasmo che pareva divertirla, poi uscì dall'ufficio battendo la porta con violenza, per alcuni secondi i cristalli delle finestre tremarono. – Dannazione a lei! – Imprecò Liudmila contro la porta che si era appena chiusa. – E' tutta colpa vostra! Sono stata derubata e per giunta punita, questo è assurdo, assurdo! – Astrel inspirò lentamente sforzandosi di non reagire, e come se volesse evadere da quella circostanza s'incamminò verso la finestra. Il suo sguardo fugace cominciò a viaggiare oltre i confini che la vista le imponeva, lì dove l'immaginazione supplisce a ciò che gli occhi non vedono, le orecchie non sentono e le mani non toccano; in quel luogo avulso chiamato fantasia, in cui la gente trova ricovero quando la vita recalcitra e smania come un'animale imbizzarrito. Il prolungato silenzio di Astrel smorzò in qualche modo i toni pesanti della situazione, Liudmila continuava a puntarla accigliata, bramosa di attaccare briga un'altra volta, ma Astrel non smise di ostentare il suo distacco. Esacerbata, Liudimila si ritirò in un angolo della presidenza, giungendo le braccia e sbuffando come una bambina capricciosa a cui i genitori non hanno comprato il gelato. – Brava, fingi pure di non sentirmi, nemmeno ti conosco e già ti odio. –La voglia di staffilarle una serie di schiaffi mi struggeva dentro, avrei voluto picchiarla e riempirla d'insulti fino a farla sparire dalla vergogna, tuttavia, non vi riuscii, forse fu la mia indole inoffensiva a impedirmelo. Ciò che realmente avevo a cuore in quel momento, era rasserenare Astrel. Con passo felpato la raggiunsi e accostandomi al suo fianco scrutai oltre la finestra in sua compagnia, ammirando quel panorama invisibile che soltanto noi due riuscivamo a vedere.– Ehi, tutto bene? – Le domandai, preoccupata dall'esagitazione che palesava. Astrel trasalì, interrompendo il filo dei suoi pensieri. – Tu mi credi, vero? – Mi chiese angustiata e a voce bassa, poggiandomi entrambe le mani sulle spalle. – Non sono stata io. Te lo giuro Svetlana. Tu devi credermi, fidati di me! –- Sss - La interruppi, sfiorando con le dita le sue labbra soffici – Lo so, lo so, anche volendo non avresti potuto, sbaglio, o abbiamo trascorso l'intera notte insieme? – Astrel mi regalò un sorriso dolcissimo, ed io lo regalai a lei con la stessa intensità. – Ho il sonno leggero, Astrel, non v'è battito d'ali che mi sfugga, figuriamoci se non mi fossi accorta che la mia compagna di stanza si dileguava con un passamontagna al volto e una torcia in mano! – Ironizzai, nel tentativo di smorzare la gravità della situazione. Lei sorrise ancora, e nel suo volto rifulse una nuova luce, una luce che attraversando il ceruleo dei suoi occhi si fece incommensurabile, una luce, che mi pervase fin nell'abisso dello spirito. Sapevo che quello era il momento in cui insieme l'avremmo pronunciato, e le sue labbra che abbozzavano parole frammentarie mi diedero conferma di ciò.- Svetlana io... Sì ecco, io credo d'essermi-La Rosencrans apparve in presidenza cogliendoci di sorpresa, ad annunciarla neppure il calpestio dei suoi bassi mocassini sul corridoio. Liudmila sussultò dall'angolo in cui si era ritirata e smarrita accennò un saluto alla donna, ma in replica non ricevette nulla. La preside si sedette alla scrivania con aria flemmatica, e giungendo le mani rese tangibile la superiorità gerarchica che la separava da noi. La magia che aleggiava fra me e Astrel sfumò repentinamente, come una nuvola di vapore, al suo posto incombette la cruda realtà. - Avvicinatevi al mio tavolo. – Esordi la donna, mantenendo fisso lo sguardo sui pollici che roteavano l'uno intorno all'altro. In assoluto silenzio, avanzammo verso quella scrivania. La direttrice sollevò lo sguardo e ci fisso a lungo con aria imperturbabile, infine si schiarì la voce e cominciò a parlare.– Qualcuna di voi avrebbe l'accortezza di spiegarmi che accidenti è accaduto in mensa? – Come un cane che voracemente abbranca il suo osso per non lasciarselo sottrarre, Liudmila prese la parola al volo.

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