Parte 5

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– Ti prego tienimi! Sto per cascare. – Letteralmente avviluppata al mio braccio, Astrel tentava di mantenere l'equilibrio muovendosi con prudenza. – Andiamo, Astrel, non è poi così difficile; guarda me e non aver paura di cadere. – Astrel sembrò persuadersi e con cautela abbandonò la presa sul mio braccio. Vacillante abbozzò qualche passo scoordinato, sforzandosi di governare i pattini che indossava ai piedi; due o tre giri di pista, e il suo portamento migliorò notevolmente. In men che non si dica la paura d'impattare sul ghiaccio divenne per lei un ricordo remoto, e se adesso stringeva forte la mia mano, lo faceva per un'altra ragione. La pista era colma di gente quel pomeriggio, una danza irrefrenabile di cappellini e sciarpe colorate che spiccavano sul suolo bianco. L'aria fermentava di nuovi sapori, con lei vicino, tutto gustava di zucchero filato. Concedendomi alla verve, liberai il cuore dai fantasmi che lo tormentavano, e tutte le mie paure, tutte le angosce, e le preoccupazioni che regnavano tiranne, sfumarono d'improvviso quasi non fossero mai esistite. "Una creatura rinata" è così che mi sarei narrata a qualcuno che me l'avesse chiesto. Dal cielo bruno, nivei batuffoli discesero al suolo sfiorando l'aria. Molti pattinatori accolsero i doni dell'inverno approntando i palmi in aria, Astrel si fermò al centro della pista e ricambiò la carezza delle nuvole con un dolce sorriso che sboccio tra le sue gote arrossate dal gelo.- Sei la mia principessa. – Le sussurrai, convinta di vivere una favola romantica. Astrel mi condusse a un palmo dal suo volto.- Anche tu sei la mia. – Rispose, stringendomi le mani e trascinandomi via con lei. Insieme volammo come libellule, esplorando l'aria e lo spazio che ruotava complice intorno a noi, fino a quando, l'inesperienza d'Astrel sui pattini le causò una brusca scivolata che coinvolse anche me. L'impatto con il suolo fu duro, violento, ma nessuna di noi due si fece male. Una situazione esilarante, per certi aspetti anche un po' imbarazzante. E' con questi termini che in genere si può descrivere una figuraccia, ma nel ricordo che serbo di quel momento, colgo solo delle romantiche emozioni. La dinamica "dell'incidente" fu tale, che ci ritrovammo l'una sopra l'altra, inevitabilmente vicine e strette, fisse negli occhi come non mai. Stravaccate sul ghiaccio, sentivamo già i vestiti inzupparsi d'acqua, ma le nostre risate c'impedirono di curarci del freddo.- Svetlana? – Pronunciò Astrel, sfiorandomi la guancia con il suo guanto ricoperto di brina.- Dimmi. – Lei mi guardò con rilucente idillio, come fossi una dea, e per un incommensurabile momento credei davvero d'esserlo.- Svetlana, io credo di... no, non lo credo, lo sento. Io sento d'amarti. – Tutto languì d'immediato, e il mondo smise d'orbitarci intorno; suoni, luci, e colori, si ovattarono in un alone sfocato. Ora il resto non esisteva più. - Tu mi ami, Astrel?- Le domandai con un sussurro sfiatato, temendo d'aver udito male.- Sì, io ti amo. – Ripeté, con una dolcezza tale, che avrebbe reso in fiore anche i rovi. - Prima d'incontrarti, la mia vita era un puzzle frammentato, un susseguirsi caotico d'eventi che procedevano senza una coerenza. Ogni giorno mi guardavo allo specchio e mi domandavo se valesse la pena continuare a respirare per condurre un'esistenza priva di pathos, ma con te ogni afflizione tace, e tutto riacquista il suo brivido vitale; sei la primavera che ha disgelato il mio cuore. - Quali soavi melodie! Erano dedicati a me quei voli pindarici? A una ragazza così delusa dalla vita, tanto da considerare l'amore un banale espediente per imbellettare romanzi?- Anch'io ti amo, Astrel. - Risposi, dichiarando amore per la prima volta. – Sento che tra noi fluisce un legame inscindibile, qualcosa che ci rende complementari, come in un incastro perfetto. -- Come la luna piena. - farfugliò lei, protendendo il volto verso il mio con le labbra struggenti di desiderio. La voglia di fonderci in un lungo e romantico bacio brillò nei nostri sguardi come la scia di una cometa, ma la gente continuava a slittare anonima in ogni direzione, e a noi non era concesso vibrare nell'abbraccio di Venere. Avremmo dovuto compiacere ai canoni del buon costume? Lasciare che essi spadroneggiassero in noi facendo razzia dei sentimenti? Piegarci ai dettami di un'indole tiranna sarebbe equivalso ad assassinare la nobiltà dell'amore e a ripudiare la sublime ambrosia che ci offriva. Giungendo le nostre labbra ci baciammo con ardore; impudenti contro chi bofonchiava sbigottito o ridacchiava imbarazzato; noi e soltanto noi, libere e fiere di godere ciò che nessuno avrebbe mai potuto sottrarci.La direttrice Rosencrans sostava di sbieco al colossale portone del suo istituto. Rattrappita dal gelo serale, la donna chiuse l'ombrello e lo sbatacchiò dal manico per scrollare via lo strato di neve depositatovi, poi liberò la mano sinistra dal guanto e scosse anche il colbacco. Liudmila osservò la scena attraverso una finestra del primo piano, e spedita corse giù per raggiungere la donna, doveva parlarle assolutamente. La Rosencrans s'incamminò all'interno del Majakovskij attraversando l'atrio d'ingresso con andamento lesto; tra le rughe dei suoi lineamenti palesava la collera per l'ennesima sconfitta al poker. - Signorina Rosencrans? - La chiamò Liudmila a gran voce, scendendo anelante l'ultimo gradino delle scale. A tracolla indossava ancora la borsa sportiva, che appesantita balzava su e giù scontrandosi con i fianchi della ragazza. La preside si voltò verso l'allieva.- Cosa sono questi schiamazzi da carampana? – La boicotto inarcando la fronte e folgorandola con uno sguardo truculento.- Devo riferirle qualcosa di molto importante. – Incalzò Liudmila. – Ho trovato un diario nella camera della nuova arrivata. – Spiegò affannata.- Lei ha trovato un diario? Oh, che romantico! – Replicò la donna con spregevole ironia – Mi parli del denaro piuttosto, in quale punto della stanza lo ha collocato? – Liudmila approntò il palmo della mano verso la donna, quasi a volerla interrompere, e galvanizzata proseguì il filo del suo discorso.- I soldi sono ancora qui, dentro la mia borsa: dopo ciò che ho letto -- Come sarebbe? – Proruppe furente la Rosencrans, ghermendo Liudmila per il collo della camicetta e strattonandola con impeto. – Io le avevo chiesto una cosa, una semplice, elementare, dannatissima cosa! Lei ha osato disobbedirmi. – Liudmila si divincolò tramortita e indietreggiò vacillando; il viso cremisi della preside avrebbe terrorizzato la paura stessa. - No, io non le ho disobbedito. Mi creda, c'è una spiegazione plausibile a tutto ciò. –Si giustificò l'allieva, tentando di rabbonire l'ira incontenibile della direttrice.- Si è scavata la fossa con le sue mani, Liudmila Borisovna. -Sentenziò la Rosencrans con un infido ammiccamento.- Lei è in errore! – Obbiettò l'allieva, forte delle sue ragioni. – Sono convinta che cambierà idea dopo aver preso visione del diario che le mostrerò. – - Prendersi gioco di me la diletta?- Liudmila dissentì in eloquente silenzio - Sarebbe un tragico errore provarci, una nefandezza che le farei pagare amaramente. –- Sono forte delle mie ragioni signorina Rosencrans. -- Orbene – Esordì la donna, decisa ora a prestare udienza alla giovane allieva - mi delizi con le bazzecole di questo diario, e implori i santi affinché io non decreti la malaugurata sentenza di sbatterla fuori dal Majakovskij. – L'autobus di linea della Mostransavto percorreva con prudenza una solitaria stradina dell'Oblast moscovita. I fanali anteriori del veicolo illuminavano il sentiero impervio rifrangendo la luce sulle pozzanghere che riempivano le buche, i pneumatici solcavano il fango tracciando il percorso. A bordo, i passeggeri dell'ultima corsa languivano con le palpebre appesantite dalla stanchezza, mentre un panorama adombrato dalla sera scorreva invisibile oltre i finestrini. Irina viaggiava in piedi vicino al conducente, rimestando sul posto qualche passo nervoso. Il suo esile corpo pativa il freddo, ad abbigliarlo soltanto una lunga pelliccia bianca, null'altro, neppure un discreto slip a proteggerle l'intimo. L'amico d'Ivan aveva scelto così: tacchi alti e pelliccia. Il pensiero assillante di esser nuda in mezzo alla gente, causava a Irina un fastidioso imbarazzo, e nell'angosciata preoccupazione che un bottone potesse tradirla, la ragazza stringeva forte a sé la pelliccia.- E' diretta a Balashikha, signorina? – Domandò il conducente a Irina, transitando vigile sulla balashikhinskoye shosse. Irina si voltò verso l'uomo con gli occhi afflitti, lo avrebbe supplicato in ginocchio affinché non smettesse mai di guidare.- Mi accompagni fino a Omsk, lontana da lui. Voglio riabbracciare la mia famiglia. -Si sfogò la ragazza, affogando nel rammarico. Il conducente abbassò il volume alla radio portatile e scrutò la giovane passeggera dallo specchietto.- Come ha detto, prego? - Irina trasalì meravigliata, non si era accorta d' aver tradito se stessa pronunciando quelle parole.- Scusi. - disse, inibita dallo sguardo interrogativo che ostentava il conducente – Sce... scendo alla prossima fermata, l'ultima prima d' arrivare a Balashikha. – L'uomo inarcò le sopracciglia e si fece stranito, per un momento scostò l'attenzione dalla guida.- Intende scendere alla prossima fermata? – Domandò con l'aria di chi dissentiva.- Sì. - confermò Irina.- Non sono affari miei, ma, glielo sconsiglio vivamente. Siamo fuori dal centro abitato, in mezzo alla vegetazione, e inoltre, circolano tipi sospetti a quest'ora della sera. – La ragazza avvertì i muscoli contrarsi dalla paura, e con entrambe le mani si aggrappò a una maniglia; non aveva scelta, doveva obbedire a Ivan e farsi trovare sorridente a quella fermata quando lui sarebbe passato insieme a un amico. - Apprezzo il suo interesse – Rispose Irina – ma non deve preoccuparsi, ho appuntamento con mia sorella e sta già venendo a prendermi. - Mentì, con le pupille fisse al pavimento. Il conducente iniziò a rallentare accostandosi gradualmente al ciglio destro della carreggiata; Irina scrutò la fermata a pochi metri di distanza e un violento nodo allo stomaco sembrò squarciarla a metà. Il cuore le impazzava dentro il petto, ora che l'autobus si era fermato completamente, la giovane ricorse all'effimera tenacia che le restava per affrontare la situazione incombente. Fino all'ultimo istante sperò nell'anonima compagnia di qualche passeggero, ma nessuno era in procinto di scendere. Quando le bussole si aprirono in contemporanea, l'aria gelida irruppe all'interno del veicolo riducendo di netto la temperatura. Il conducente del mezzo si coprì le orecchie con l'ausilio della sua sciarpa bordeaux e dopo essersi sfregato i palmi delle mani per scaldarli, si preparò a riprendere la marcia. - Mi raccomando, faccia attenzione, signorina. – Irina sostò sul predellino, e voltandosi accennò un sorriso cordiale al conducente, poi si volse nella direzione opposta e affondò i tacchi degli stivali sulla neve fresca abbandonando definitivamente l'autobus. Il mezzo riprese la marcia e a poco a poco si rimpicciolì lungo la strada fino a sparire del tutto insieme ai fanalini di coda. Adesso Irina era completamente sola. Alle sue spalle si estendeva una piccola foresta, dove le betulle svettavano spoglie dominando il resto della flora. La giovane preferì non guardare in direzione della boscaglia, lì il buio era così fitto che sembrava volesse inghiottirla. L'unica fonte luminosa proveniva dai neon istallati sulla pensilina plastificata che faceva da riparo alla panchina del bus stop. Di fretta Irina raggiunse la panca e vi si rannicchio come una bimba spaesata. Per esorcizzare la minaccia del buio prese a fissare la luce biancastra dei neon. Rimase con gli occhi all'insù per circa venti minuti. Ivan non arrivava ancora, forse non sarebbe più venuto. La neve riprese a cadere, scivolando soffice attraverso l'aria, come le lacrime sulle guance di Ira. Quale il male minore? Si domandò la ragazza col cuore attanagliato dallo sconforto. Era preferibile trascorrere l'intera notte all'agghiaccio, abbrancata alla panchina come una naufraga in mare aperto? O soccombere inerme sotto le smaniose voglie di un corpo sconosciuto? Il rombo incalzante d'un motore la sottrasse ai suoi quesiti. Un'auto si stava avvicinando alla fermata. La ragazza non ebbe il tempo di mettersi in piedi che un fascio di luce abbagliante la investì costringendola a strizzare le palpebre. Udì i pneumatici sdrucciolare nel pietrisco e il motore spegnersi, poi due portiere aprirsi al contempo.- Allora ci sei! E' parecchio che aspetti? – La studentessa riaprì gli occhi e scorse Ivan procedere verso lei, non era solo, un altro ragazzo fumava addossato alla fiancata dell'auto.- Ottima scelta la tua pelliccia, ma non hai messo il rossetto! – La rimbrottò Ivan alticcio. Irina rimase seduta senza proferire sillaba, rigida come una corda di violino.- Perdona l'attesa, dovevamo terminare una cosetta. – Spiegò Ivan, lanciando un sogghigno d'intesa all'amico. – Lui è Alekseij, trattamelo bene. – Disse infine, indicando il ragazzo che stazionava vicino l'auto. Irina volse lo sguardo verso il giovane e lo studiò attentamente. Era più alto d'Ivan, fisico nerboruto. Aveva delle mani robuste, che portava spesso ai capelli per dare una scrollata veloce al caschetto biondo. La ragazza non poté scorgere il colore dei suoi occhi, eppure l'immaginava già, verdi come un prato irraggiato dal sole. Ivan cominciò a sbellicarsi senza una ragione apparante, e brioso scalciava contro la neve sollazzandosi di gusto. La vodka sortiva effetti immediati su di lui.- Alzati da quella panchina, troietta! – Le ordinò, cominciando a volteggiare su se stesso, sempre più veloce, fino a che non perse l'equilibrio e stramazzò per terra. Tutto piroettava come in una giostra, e Ivan accompagnò il caos intonando una canzone dei Tokio: Kto ia bez tebia.Irina tornò a fissare Alekseij, nutrendo irrefrenabile la voglia di corrergli incontro e approdare alle sue braccia. Magari poteva farlo. Lui l'avrebbe protetta da Ivan, le avrebbe lasciato poggiare il viso sulla sciarpa inebriata di dopobarba. Irina lo fece. Scattò fulminea incontro al giovane e senza inibizioni si tuffo su di lui. Alekseij non rifiutò il gesto della ragazza, e delicatamente la condusse a sé cingendole la vita.- Portami via... – Gli sussurrò lei, incrociando per la prima volta gli occhi d'Alekseij; non si sbagliava, erano proprio di quel verde acceso.- dove vuoi che ti porti? –Irina lo ammirò trasognata, stregata dal fascino principesco incarnato nei suoi lineamenti. D' un tratto le parve di stringere un arcangelo scivolato dal paradiso, o forse, si trovava lei stessa in paradiso. Nulla poteva separarla da lui.Ivan riconquistò l'equilibrio, e una volta stabile sulle proprie gambe, raggiunse la ragazza correndo. Con veemenza la sottrasse ad Alekseij, il quale non oppose alcuna resistenza nel lasciarla andare.- Che vuoi, Ivan? –Ebbe l'ardire di chiedere.Ivan le agguantò la pelliccia dalle spalline e incuneò le dita infondo al pelo.- Tu fai la troia solo quando te lo dico io! –- Io non sono la tua schiava! – Si ribellò. – Ammazzami se vuoi. Ho barattato la mia libertà in cambio della sopravvivenza; cosa credi che abbia ancora da perdere, eh? Uccidimi, te ne sarei grata. – Irina dubitò di sé, certa che il suo carattere gracile non fosse all'altezza di affermazioni così ardimentose. Smarrita crollò nell'incertezza, e si rifugiò ancora tra le braccia del suo impavido cavaliere. Fu proprio lui a tradirla, Alekseij. - Spero che Ivan ti abbia informato riguardo alle mie preferenze, non indossi nulla sotto il cappotto, vero? - Irina si allontanò da lui con fare repellente, stordita dalla pugnalata inflittale. Lo aveva idealizzato a tal punto da infatuarsene, lo credeva leale e rispettoso, eppure, sapeva che Alekseij era lì per un semplice e unico scopo: possederla. - Togliti quella dannata pelliccia! – Sbraitò Ivan, poi un repentino attacco di nausea lo soggiogò, e per dar sfogo al malore si allontanò di qualche metro. Alekseij avviluppò Irina dall'addome e con inaudita brutalità la sollevò da terra trasportandola verso l'auto.- No! T'imploro. – Lo supplicò piangendo. - Tu non sei come Ivan, devi lasciarmi libera. – Alekseij non mostrò la minimale indulgenza per il pianto straziante della ragazza, e imperterrito la scaraventò sul sedile posteriore della macchina. Irina si scontrò con la tappezzeria usurata, e nell'impatto la sua pelliccia si sbottonò. - Allora mi hai accontentato! – Esclamò Alekseij slacciandosi i pantaloni. – sei completamente nuda. - La giovane decise di reagire, e tempestiva scavalcò il sediolino anteriore prendendo posto alla guida. Prima che Alekseij riuscisse a impedirglielo, girò la chiave e avviò la macchina. Le vibrazioni del motore le donarono un effimero senso di speranza, stava quasi per partire, avrebbe premuto al massimo l'acceleratore e si sarebbe allontanata da tutto, per sempre. Non ci riuscì. La prontezza d'Alekseij vanificò ogni cosa. - No! – Gridò sconfitta, quando il giovane la strattonò fuori dall'abitacolo facendola cadere rovinosamente a terra. Irina batté la schiena contro il suolo nevato, e dolorante rimase distesa.- Che cosa tentavi di fare? Sei piuttosto maldestra come ladra. – La irrise Alekseij osservandola dall'alto. - In macchina non ti andava? Bene, vorrà dire che lo faremo qui. – La ragazza tentò di rimettersi in piedi, ma il corpo palestrato d'Alekseij le piombò a dosso come un macigno. - Credevo tu fossi diverso, mi ero illusa che mi avresti protetto. – Singhiozzò la giovane, profondamente costernata.- Taci. – Le intimò lui palpeggiandola barbaramente. – Ho forse pagato per sopportare i tuoi piagnistei? E poi non ti capisco: prima mi salti addosso, e ora mi respingi come fossi un cane rabbioso. – Irina desistette dal supplicare quel verro, e stringendo i denti consegnò lo sguardo al vuoto. La furia mascolina d'Alekseij la dominò a lungo, e lei, inerme e disperata, nutrì il funesto desiderio d'abbandonare il proprio corpo con una morte imminente. Quando Ivan riprese colore in viso, incassò il resto del contante che gli spettava, e ringraziò il suo fidato amico Alekseij.So che non dovevamo trascorrere l'intero pomeriggio fuori dal Majakovskij se desideravamo che nessuno lo venisse a sapere, ma adesso si era fatta sera, e non potendo invertire l'ordine del tempo, fummo costrette a intrufolarci dalle scale d'emergenza. L'istituto riposava già da un pezzo, il delicato udito della Rosencrans pretendeva che tutto dovesse tacere dopo le nove, e quando l'orologio indicava quell'ora, la scuola si addormentava nella semioscurità. La calma piatta regnava fra le aule e in mezzo ai corridoi, neppure un lieve rumore o una sillaba impalpabile interferiva col silenzio sepolcrale. Giunte al corridoio del nostro piano ci muovemmo con passo felpato ma lesto, Astrel quasi tratteneva il respiro per evitare di causare rumore.- Signorina Puskovic! – risuonò una voce alle nostre spalle. Di colpo ci voltammo verso essa, rigide come tronchi di quercia. – Ma come debbo fare con voi? Conoscete le regole, caspita! Niente uscite dopo le nove di sera. – Si lamentò animatamente il signor Vyacheslav, improvvisandosi arcigno e incollerito, ma l'intransigenza era ciò che peggio potesse riuscirgli; il suo lato bonario non lo smentiva mai.- Signor Vyacheslav Lavrov, noi... - Indugiai, fiduciosa che una scusante mi giungesse in soccorso. - Non siamo uscite da scuola, né stavamo per farlo. – Intervenne Astrel, contrita per l'affermazione mendace. – Ci siamo recate al piano terra per acquistare una bibita al distributore. - Il povero inserviente oppose le braccia verso l'alto in segno d'arresa.- E temendo che il riscaldamento si fosse guastato vi siete imbacuccate per bene, già! – Concluse lui spiazzandoci. – E' meglio che vi ritirate. – ci suggerì. – Di rado la Rosencrans rammenta il significato della parola "clemenza". – Entrambe annuimmo riconoscenti, e deliziate da tanta mitezza salutammo il signor Vyacheslav.Tornate nella nostra camera non accendemmo la luce, per accordare il desiderio d'intimità ci accontentammo della modesta illuminazione proveniente dall'esterno. Astrel raggiunse l'armadio e vi ripose gli indumenti pesanti, poi si avvicinò a me e delicatamente sfilò via il maglione che indossava, rimanendo così in reggiseno.- Il mio golf e fradicio, dopo quella brusca scivolata sul ghiaccio si è inzuppato per bene. – Disse, lasciando fluttuare la voce nell'afrodisiaco tono della sensualità. Ammaliata, contemplai l'eccellenza delle sue fattezze, e nel buio scorsi il desiderio arderle negli occhi. Avrei concesso in cambio l'anima pur di affondare un solo momento nel tepore della sua pelle setosa.- Anche il tuo pullover è bagnato. – Bisbigliò al mio orecchio cingendomi a sé.- Sì, è tutto umido... – Le sussurrai a mia volta, caldeggiandole il gioco. - E meglio se lo togli, non vorrai farti venire un malanno, vero? – Complice, mi concessi all'estasi sublime che attingevo dal suo fascino e preda consenziente mi gettai sul letto, bramando affinché le nostre forme femminili si giungessero. Astrel mi avvolse nel calore del suo corpo e con un gesto leggero mi tolse il maglione. Con le dita stuzzicò i miei sensi, mentre i suoi lunghi capelli corvini s'intrecciavano ai ricami del mio reggiseno. Tutto era perfetto, soltanto noi due in un'apollinea sinfonia di sguardi e gesti. Nulla sembrava capace d' interferire con la sinergia del nostro amore, eppure, un violento scatto alla maniglia rapì l'una dalla passione dell'altra. D'un tratto la luce si accese nella stanza, disvelando impunemente la nostra intimità; un trambusto di voci ci stordì come il rombo d'un tuono.- Adesso mi crede? – Strepitò Liudmila, irrotta in camera nostra insieme alla Rosencrans.- Sono due fottute lesbiche! Io lo sapevo, l'ho letto in quel diario. – - Dio misericordioso! – Esclamò attonita la preside, occultandosi la vista con le rughe delle mani.- Cosa ci fate qui? – Urlò Astrel scossa da un fremito. Entrambe guizzammo in piedi, e imbarazzate tentammo di coprirci usando le braccia. - Sono ripugnanti, mi vergogno per loro. – commentava Liudmila, girandolando esterrefatta intorno alla stanza. – Signorina Rosencrans, faccia qualcosa! – La esortò con tono acuto.Astrel mi abbracciò invocando la mia alleanza, e io terrorizzata, la strinsi forte. La direttrice procedette imperiosa verso entrambe, soppesando con maestranza ogni emozione che le scorreva sul volto scialbo. Si fermò a un passo da noi, mantenendo una postura rigida che si accordava con la gravità della situazione. Il suo sguardo trucido ci falciò come un'accetta affilata, ma il manrovescio che scagliò contro la mia guancia fu assai più doloroso. Adoperò la stessa mano smilza per schiaffeggiare Astrel, contro di lei si accanì per ben due volte, su entrambe le gote.- Baldracche! – Ci offese con tutto il diniego che potesse provare. – Siete due scostumate, due sgualdrine! - Io e Astrel ci stringemmo ulteriormente, quasi a voler formare uno scudo inespugnabile che ci proteggesse dagli improperi vigliacchi inflitti al nostro amore. - Signorina preside, cosa succede? – La Rosencrans si voltò in direzione della porta, e osservò la professoressa Checov esordire in scena con un ingresso imprevisto.- Ero in palestra ad allenarmi, quando ho udito un gran baccano provenire dal piano superiore.– Spiegò l'insegnante di ginnastica. – Come mai le ragazze sono in reggiseno? – Domandò poi, incupendosi in viso. - Le ho scoperte io. – Asserì Liudmila pavoneggiandosi orgogliosa – Leggendo il diario di Svetlana Yaroslavna ho appreso della loro relazione. -- Relazione? – Ripeté la Checov con una smorfia bigotta. - Queste debosciate – Intervenne la Rosencrans accanendo il dito contro di noi – hanno inficiato il buon nome del mio istituto, ma quanto è vero Iddio, non lascerò che la loro perversione ricada come un'onta sulla serietà del nostro lavoro. –La professoressa Checov approvò persuasa. Da quel momento sarebbe cominciato l'inferno per entrambe, avremmo pagato amaramente la nostra diversità. E' forse una colpa essere felici? Se la propria felicità non va a discapito della libertà altrui, che male può esserci nel perseguirla? La Rosencrans si avvicinò alla professoressa Checov e Liudmila si unì a loro, così da marcare un confine invisibile che evidenziasse il loro ripudio più netto. - D'innanzi a un simile scandalo – Arringò la Rosencrans come un giudice che da lettura della sentenza. – sono obbligata ad adottare provvedimenti estremi; la gravità dell'accaduto è tale, che un'adeguata punizione non può prescindere dall'essere spietata. – L'anziana donna si rivolse ad Astrel e le parlò con lo stesso dispregio che si nutre per un omicida. – Le concedo tre giorni di tempo, signorina Lawless, al decorrere dei quali abbandonerà la mia scuola per non mettervi più piede. –Astrel impallidì in volto - Cosa? Lei non può mandarmi via. – Replicò angosciosa. – Non può farlo! – Protestò ancora, tremendamente disperata. Provai ciò che provò Astrel, le medesime emozioni scandite all'unisono. Quella donna incarnava la strega malefica che giungeva per rovinare la favola, ed ero certa che avrebbe scagliato il suo peggior incantesimo per impedire il lieto fine. - Signorina Rosencrans, la prego! Non può inferocirsi contro Astrel in tale modo. - Dissi con la voce intervallata dai singhiozzi.- Io posso tutto. – Replicò lei con un sogghigno spietato.- Contatterò Londra, e informerò il rettore Stanley dell'increscioso accaduto. Sono fiduciosa che egli comprenda, d'altronde, è mio precipuo dovere tutelare il decoro del Majakovskij. – Nessuno aggiunse nulla. La perentorietà con cui s'era espressa la donna scoraggiò ogni possibile obiezione. La direttrice invitò Liudmila a usciere dalla stanza, poi dispose alla professoressa Checov di separarci in camere diverse. - Bene, signorine – Ridacchiò la Checov mentre la Rosencrans si ritirava – Mi congratulo per la performance, s'eravate a caccia di notorietà ne avrete in abbondanza non appena la voce si spanderà. – commentò inasprendo le labbra. – Mi segua, Svetlana Yaroslavna , la camera attigua a questa è libera. –- Non intendo farlo. – Mi rifiutai stizzita, percependo le braccia d'Astrel cingermi con fare protettivo. La Checov tumultuò come un cavallo imbizzarrito, avevo osato contrariare l'insegnante più facinorosa del Majakovskij. - Ho udito un dissenso? – Domandò retoricamente, galoppando le sue duecentoventi libbre nella nostra direzione. Come un tir in corsa si lanciò fra entrambe sradicando il nostro abbraccio, e con energia esplosiva ci spinse in direzioni opposte. Astrel fu balzata indietro e cadde sul letto, il materasso attutì il colpo. Cercai di raggiungerla per stringerla ancora, ma l'insegnante di ginnastica mi trascinò fuori dalla camera e mi spintonò per il corridoio fino a raggiungere l'uscio della stanza successiva. Lì, travagliò un momento per rintracciare la chiave giusta dal suo mazzo personale, e quando la trovò, aprì la porta scaraventandomi all'interno della camera. - Cerchi di non annoiarsi, Svetlana, potrebbe trascorrere parecchio tempo prima che qualcuno torni ad aprirle. – Incalzò imperterrita sul sottofondo degli scatti alla serratura. - Non può imprigionarmi qui dentro! – Protestai, lanciando pugni contro il legno massiccio della porta. – Voi non riuscirete a separarci! - Nulla. In mia replica neppure un tenue brusio, la Checov era andata via. Rimasi sola, devastata dal ciclone d'eventi che m' aveva travolto, affannandomi per rabberciare la dinamica dell'accaduto. Com'era riuscita Liudmila ad accedere al mio diario? Quali risvolti avrebbe maturato la nascente storia fra me e Astrel? Non potevo lasciare che fosse il destino a redigere il finale, dovevo impugnarla io la penna del fato. Temevo di non rivedere mai più Astrel, di piombare nuovamente negli abissi infernali della solitudine. Nelle mie vene struggeva la necessita d'evadere da quella camera, sarei saltata giù dalla finestra pur di sfuggire ai confini occludenti delle pareti. Forse... era proprio la finestra l'unico canale di fuga. Mi avvicinai all'imposta, e l'aprii mentre i miei battiti acceleravano. Un brivido gelido mi ricordò che indossavo soltanto un jeans e un reggiseno, ma il freddo si collocava in coda ai miei problemi, l'impellenza consisteva nell' architettare un metodo adeguato che mi evitasse lo sfracello sul selciato sottostante. Mi balenò in mente l'espediente del lenzuolo, stereotipato e collaudato da parecchie pellicole cinematografiche, ma io non possedevo una bastevole quantità di stoffa, né avevo dimestichezza con i nodi. Potevo scendere giù barcamenandomi fra i tasselli che fissavano al muro il tubo pluviale, ma anche quella era una sciocchezza da film. Compresi che calarmi fin sotto non era l'unica soluzione, avrei potuto percorrere il sottile cornicione che sporgeva di venti centimetri sotto al davanzale. Sì, mi sarei spostata con cautela fino a raggiungere la finestra della camera adiacente, ritornando così dalla mia Astrel. Mi occorse parecchia tenacia per scavalcare il davanzale e affidarmi alla precarietà di una minuta lastra di cemento; se il suo impiego era di tipo architettonico, nulla garantiva che avrebbe retto il mio peso. Quando vi poggiai entrambi i piedi fui assalita dalle vertigini, sapevo, come chiunque, che per combatterle non avrei dovuto cacciare l'occhio verso il basso, ma ero costretta a vigilare sui miei passi titubanti. Non mi resi conto del gesto azzardato che stavo compiendo prima di giungere a metà percorso, solo in quel frangente la consapevolezza di stare in precario equilibrio su un cornicione scricchiolante, seminuda, e in balia del vento, mi piombò addosso atterrendomi. Con audacia repressi ogni perplessità, finsi di non sentire il gelo penetrarmi nelle ossa e continuai a spostarmi moderatamente. Giunsi alla finestra di Astrel e con una mossa arrischiata cambiai posizione, adesso non rivolgevo più le spalle alla facciata dell'istituto bensì il volto. Attraverso la condensa sul vetro scorsi una sagoma sfumata, era la mia Astrel! Una gioia immensa mi pervase, quasi dimenticai di aver rischiato l'assideramento e lo sfracello al suolo. Eccitata picchiettai le unghie sul cristallo per sollecitare la sua attenzione, e quando lei spalancò i vetri incredula, io mi avvinghiai al suo collo e mi sfogai in un riso liberatorio.- Svetlana! Come... da dove? – Negli occhi d'Astrel lo smarrimento era commisto alla felicità. – Che cosa ci fai qui fuori? – Mi domandò, aiutandomi a valicare l'insolito ingresso.- Sto congelando. – lamentai raggomitolandomi per terra – non sento più le guance e non riesco a muovere le braccia. – Astrel si chinò accanto a me e con fare materno mi avvolse fra le piume di una trapunta.- hai camminato sul cornicione? – Mi domando, certa che fosse l'unica spiegazione ammissibile.- Sì. - Confermai fra un tremito di ghiaccio e l'altro.- Ma, potevi cascare di sotto! – Mi rimbrottò continuando a vestire i panni di una madre premurosa.- Sono consapevole del rischio che ho corso. Volevo tornare da te, temevo che non ti avrei più rivista. – Astrel si angustiò e teneramente mi sfiorò i capelli.- Adesso che cosa accadrà? Non voglio perderti Svetlana, sei ciò che di più bello mi sia mai capitato. –- Non mi perderai. – La rinfrancai, conducendola sotto la coperta per nutrirmi del suo calore. Astrel poggiò il capo sulla mia spalla. Pacatamente sorrisi distendendo le labbra, al mondo non ero più sola. - Verrò a Londra con te, Astrel, in questo modo non dovremmo separarci. – Astrel sollevò la testa dalla mia spalla per osservarmi in volto. - Io non intendo tornare a Londra. – dichiarò categorica – non da una famiglia che mi ha rinnegato. – Aggiunse amaramente.- Non puoi restare al Majakovskij, conosco la Rosencrans, se ha optato per la tua espulsione, nulla potrà farle cambiare parere. –Astrel tornò in piedi e mi porse una mano, quando la raggiunsi lei mi avvicinò a sé e mi fisso con intimità.- Tu mi ami, Svetlana? – Mi domando, fremendo la mia risposta.- Sì, io ti amo Astrel. Ci siamo dichiarate amore oggi pomeriggio, e i miei sentimenti nei tuoi riguardi non fanno che ardere sempre più fulgidi. – Lei mi coinvolse in un bacio passionale, poi parlò pacata a un pelo dalla mia bocca.- Il nostro posto è insieme. Prima d'incontrarti, trascorrevo le giornate a peregrinare fra le strade della mia città, salivo sulla metro e giungevo al capolinea per poi tornare indietro e di nuovo avanti. Non riuscivo ad ammetterlo a me stessa, ma nel profondo desideravo soltanto farla finita. Tu hai rinvigorito la mia anima, l'hai nutrita e sfamata. So che ci conosciamo da poco più di una settimana, ma il mio cuore indica te come spirito affine. - Mi commossi come una fanciulla, piansi a lungo e senza freni. Per la prima volta le lacrime non seppero d'amaro, ma di nettare delizioso. - Cosa possiamo fare, Astrel? – Le domandai, fiduciosa di congegnare insieme a lei la una risposta – Al Majakovskij non puoi restare, e se tornassi in Inghilterra, per me sarebbe complicato seguirti. – La conclusione si dipanò limpida e necessaria, entrambe pervenimmo alla medesima idea. - Fuggiamo! – Esclamò Astrel. Io tacqui. - Sì, fuggiamo. – Replicai probante, convinta come lo era Astrel, che altrimenti non si potesse fare. 21 Le vicende di LaraStati Uniti, New York cityLa corona sulla statua della libertà incrociò i primi raggi del mattino opponendo le sue punte in rame. Un alito denso di vapore sfiorò un venditore ambulante di hot dog fra le strade di Manhattan. Gli scoiattoli di Central Park piroettavano fra le cortecce d'abete, ignari della metropoli che lambiva il loro habitat. Milioni di storie, di gente, e di realtà differenti, brulicavano in perpetuo movimento fra i boulevards e le streets di un multiverso chiamato New York. Lara strabuzzò gli occhi di scatto, drizzando le spalle sulla panchina in cui sedeva: lo sferragliamento di un treno in corsa al binario centrale riuscì a spezzarle il sonno per l'ennesima volta. Annaspante, la giovane condusse una mano al petto, quasi temesse che il cuore potesse schizzarle via, poi tentò di dominare il respiro e a più riprese ingoiò profonde boccate d'aria che sapevano di galleria. Per l'ottava mattina consecutiva, dopo il suo clandestino sbarco a New York, Lara si svegliò nel trambusto di una stazione metro. Non era la stazione della mattina precedente, ma lo spettacolo offertole da quel mondo sotterraneo fu il medesimo: una fiumana d'individui che si riversava dai vagoni alle banchine e viceversa. Lara si mise in piedi per stirarsi con le braccia all'insù, la sua schiena protestò scricchiolando, ma la giovane non poteva offrirle un giaciglio migliore di una scomoda panchina nella "Off-our Waiting", una zona speciale posta all'interno di ogni stazione, dove il personale di servizio video sorveglia i passeggeri in attesa dei treni. La stanchezza gravò inesorabile sul fisico della giovane, Lara capì di essere allo stremo delle forze, in procinto di un collasso. Da ben otto giorni si cibava consumando pasti frugali e insufficienti al suo fabbisogno, e quando il buio calava inesorabile, s'inoltrava nelle profondità del sottosuolo per sonnecchiare al riparo dal freddo. Tutto ciò non era efficace a scoraggiarla, non quanto la possibilità che il suo passato maligno la rivendicasse al proprio cospetto impedendole di conquistare il dovuto riscatto. L'ennesimo treno raggiunse la stazione e operò una breve sosta per consentire ai viaggiatori di salire. Lara si diresse all'interno del primo vagone e prese posto, un appuntamento decisivo l'attendeva cinque stazioni avanti. Le porte automatiche si chiusero e il convoglio partì alla volta di un tunnel oscuro. I volti dei passeggeri parevano uggiosi quella mattina, come se raffigurassero il fardello della routine che gravava sul loro ego. Taciti s'ignoravano, peregrinando lo sguardo e impegnando la mente in articolate trame di pensieri. Lara condusse una mano alla bocca sbadigliando, mentre le sue palpebre si facevano pesanti, così pesanti, che la giovane smise di contrastare la loro discesa e si assopì. Cominciò a sognare... La Far Dream era in rada al porto di New York. Nel suo sogno, Lara riusciva a scorgerla dalla terraferma, benché non fosse ancora scesa; poi tornava a bordo, e apprezzava la pioggerellina lieve che le tamburellava sulle gote. Sul ponte di coperta il membro dell'equipaggio la raggiunse parlandole con voce echeggiante – Ci siamo. Devi abbandonare la nave prima che attracchi. –- In che modo? – Strillava lei mentre il sogno cambiava sipario. Ora la pioggia si era infittita. - Dovrò calarmi da quella scaletta? – Domandò Lara osservando l'uomo srotolarla giù per la fiancata dello scafo. - Questa è una biscaglina. – La delucidò l'uomo – I montanti sono di corda ben resistente e gli scalini di legno. Fa attenzione e andrà tutto bene. –- E se qualcuno dovesse vedermi? – Si preoccupò la ragazza, mentre dal porto una piccola imbarcazione faceva rotta verso loro. L'uomo eluse la domanda e le fornì un giubbotto di salvataggio.- Indossalo, e tieni le mani salde ai montanti mentre scendi gli scalini, non sbilanciarti con la schiena all'indietro. -- Mi spieghi un'altra volta cosa debbo fare. – Incalzò Lara, angosciata da quel faro che avanzava sulle acque portuali e si avvicinava progressivamente facendosi più luminoso. L'uomo le poggiò entrambe le mani sulle spalle e le parlò tenendo in pugno la sua attenzione.- Vedi quel natante che procede verso noi ? – Lara annuì – Bene, sta trasportando il pilota. –- Il pilota? – Ripeté la ragazza in cerca di delucidazioni.- Proprio così. Si tratta di una figura professionale che ci raggiungerà a bordo al fine di consentire la manovra d'attracco. Il mio compito è quello di accoglierlo e condurlo al ponte di comando. Adesso devi nasconderti e attendere che io mi sia allontanato assieme al pilota, a quel punto ti calerai giù fino a raggiungere la pilotina che l'ha condotto a bordo. –- Quindi devo attendere che lui si issi da questa scala, prima di scendere a mia volta? –- Niente affatto! Il pilota non salirà certo da qui, ma tu potrai vederlo imbarcarsi da quassù, e subito dopo comincerai la tua discesa. - I lineamenti della giovane assunsero le curvature dell' inquietudine.- E se la barca non dovesse attendermi? – L'uomo scosse il capo.- Impossibile. Il comandante della pilotina non tornerà indietro se prima non ti avrà a bordo. –- Perché dovrebbe farlo? – Chiese Lara titubante. - Perché è parte del piano anche lui. Cosa credi, metà dei tuoi denari sono finiti in tasca sua! Io ti ho fornito una copertura a bordo, e ora il mio compito è assolto, non spetta a me scortarti sulla terraferma, né fornirti i documenti che ti occorrono; a questo penserà lui. –L'altoparlante sul vagone della metro s'insinuò come una biscia nel sogno di Lara dissolvendolo all'istante. Lara languì senza capire, disturbata da quella voce artificiale, poi la udì nuovamente e capì di esser giunta a destinazione. – E' la mia fermata! – Strillò, Mentre spedita sfidava le porte automatiche che si avvicinavano progressivamente. Dalla borsa tirò fuori il coupon che per caso aveva trovato abbandonato su una panca alla stazione di Times Square. Illustrava in merito a una certa pratica chiamata drive away, molto diffusa negli U.S.A. La società di drive away illustrata dalla brochure, era una società newyorkese che permetteva ai turisti o a chi lo desiderasse, di trasportare auto di proprietà, dalla East coast alla West coast. In genere le auto appartengono a privati trasferitisi dalle sponde dell'Atlantico a quelle del Pacifico, che per motivi economici preferiscono mettere a disposizione il proprio mezzo a chi desideri intraprendere un viaggio in auto attraverso l'America. I vantaggi sono per entrambi, per il proprietario della macchina che risparmia molto sul trasporto, e per il turista eventuale che viaggia gratis, col solo onere di rispettare il regolamento imposto dalla società di drive away.


Una notte, sì, appena una notte per imboccare un sentiero che non ammette ripensamenti. Chiunque asserirebbe che le decisioni importanti occorrono di tempo e ponderatezze oculate, ma come arrestarsi a riflettere su ciò che è saggio, quando un'arpia malefica ti sta ai calcagni minacciando di sottrarti ciò che di più caro possiedi? Non saprei valutare in termini di senno e follia la scelta che io e Astrel compimmo la scorsa settimana. Sono convinta che alcuni reputerebbero un gesto da forsennati, quello di riempire uno zaino e fuggire via dalle agiatezze di una scuola esclusiva; e se ripenso al trascorso recente, a tutte le impervie che ci hanno visto protagoniste, mi vien quasi di pormi in accordo con loro. Ci siamo comportate da perfette adolescenti, impulsive e inesperte. Tuttavia, se ora Astrel passeggia placida al mio fianco, è in virtù di quella fuga tanto folle, quanto necessaria. Probabilmente vi starete chiedendo quale reazione spropositata ha orchestrato la Rosencrans nel momento in cui si è accorta della nostra assenza; beh, di certo non è rimasta con le mani in mano a rimuginare sulla disfatta, e astuta ha conquistato i palinsesti dei notiziari tv per sollecitare l'aiuto dei telespettatori. La sua mossa successiva è stata quella di allertare le forze dell'ordine, e di tappezzare l'intera Mosca con i nostri volti da fototessera.

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