Parte 2

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- Ho appena ricevuto una telefonata da Londra. Il rettore Stanley era ansioso di esprimere la sua gratitudine nei miei riguardi per l'aver accolto quella smorfiosetta che ci ha spedito. – - Si riferisce alla nuova allieva? Quella che doveva arrivare dall'Inghilterra? – - Sì, proprio lei. – La preside si dilungò in una pausa vuota, implicitamente stava ammettendo di pensare a come dire meglio, ma Liudmila non colse questo messaggio subliminale e fremette sul silenzio della donna.- Insomma! – Incalzò, protraendosi in avanti col busto. – Qual è il compito che intende assegnarmi, signorina Rosencrans? – La donna non gradì l'impazienza della giovane, ma temendo di vagare rinunciò a riprenderla per giungere al dunque. Con un gesto pratico voltò lo schermo del computer verso Liudmila, e dopo aver cliccato su un file disse - Il mio problema è che non possiamo permetterci di mantenere a spese dell'istituto un'allieva che viene da fuori, non con i gravi in bilancio che abbiamo registrato in quest'ultimo periodo. – La ragazza osservò il monitor. Era pieno d'iscrizioni accuratamente posizionate su uno schema a due colonne, le quali riportavano le voci di "dare" "avere". Liudmila non si era mai intesa di partite doppie e di calcoli matematici, ma pervenne ugualmente alla conclusione a cui doveva arrivare: la situazione economica della scuola era nuovamente in ribasso. -Beh? – Si pronunciò Liudmila, come a voler minimizzare - Mi pare che la soluzione sia semplice: la rispedisca a Londra. - Concluse con aria risoluta, quasi avesse trovato la soluzione a un problema di geometria. Dall'altro capo della scrivania la direttrice tuonò inalberata. - Evidentemente, la parola diplomazia per lei non ha alcun valore. Il signor Stanley è un nostro benefattore, se rimandassi indietro quella smorfiosa, rischierei di perdere il 20% delle entrate. Cosa che non ci possiamo proprio permettere. Le farebbe piacere terminare gli studi in un collegio diverso dal Majakovskij? Magari in una misera scuola pubblica, perché è questo ciò che potrebbe accaderti, a te e ai tuoi compagni, se il Majakovskij dovesse malauguratamente chiudere. - Liudmila parve scandalizzata.- Certo che no! Cosa propone di fare in merito? - La Rosencrans inspirò profondamente, poi rispose. - Di affidare nelle tue mani la situazione. – - Cosa? –- Non agitarti mia cara, l'incarico è più semplice di ciò che credi. Devi semplicemente far in modo che la nuova arrivata ci saluti al più presto. - Liudmila si abbandono a una risatina nevrotica.– E come potrei mai riuscirvi? - - Non è a me che devi porre tale quesito, ma al tuo ingegno. Io cerco soltanto un pretesto, una ragionevole motivazione che mi consenta d'espellere quella ragazzetta dall'istituto senza perdere il rispetto del rettore Stanley. Solo se la spingiamo a infrangere il regolamento, possiamo liberarcene. - Liudmila obbiettò assalita dai dubbi - Sì, ma se non infrangesse alcuna regola? – - Sta proprio in questo la tua mansione, devi fare in modo che ciò avvenga. Usa la persuasione, avvaliti dell'inganno, risparmia la deontologia e vienimi in soccorso! – La ragazza annuì, inquietata e intrigata al contempo. - Reputo superfluo, Liudmila Borisovna, rammentarle che la nostra conversazione in realtà non ha mai avuto luogo, e che la discrezione e la riservatezza dei nostri accordi vada considerata d'irrinunciabile priorità. -- Sì, certamente. – Assicurò la ragazza - Non ne farò menzione con nessuno, ma in cambio io... - La direttrice sbuffò rassegnata e prese a battere nervosamente le unghie sulla plastica del tagliacarte, sapeva che per pagare il silenzio di Liudmila doveva cederle qualcosa in cambio. - Ricevere visite da individui esterni al Majakovskij non le basta? – Liudmila arrossì imbarazzata, aveva colto il senso di quelle parole. - Io, io non ricevo visite da... - tentò di giustificarsi con voce strozzata.- Andiamo! Sa benissimo che nulla può sfuggirmi. Sono a conoscenza delle visite in camera sua, alquanto notturne per essere solo di cortesia. – - Perché allora non mi ha punito? Come fece quella volta con Jelena, quando la scoprì a baciarsi con un ragazzo. – Incalzò la giovane con un sottile tono di sfida. La Rosencrans bloccò le unghie sul tagliacarte e lapidò la giovane con lo sguardo.- Mi auspico, Liudmila, che fra noi s'instauri un rapporto di reciproca collaborazione. Io occorro dei suoi servigi, ma sia chiaro a priori: non sono disposta a barattare più del necessario. Posso chiudere un occhio sulle sue... chiamiamole pure "Scappatelle", in pratica l'ho faccio già da un pezzo, ma chiedere ulteriori privilegi, significherebbe scherzare col fuoco, e il fuoco, a volte riscalda, altre brucia. - L'antifona apparve chiara e precisa alle orecchie dell'ancora imbarazzata studentessa.Finalmente ero riuscita a mettere a proprio agio la mia nuova compagna di camera. Non doveva esserle semplice ambientarsi in un paese straniero, ma le difficoltà che si possono riscontrare in quest'impresa sono esigue se paragonate agli ostacoli tortuosi che il Majakovskij pone d'innanzi. Sapevo già in quali sgradevoli episodi stava per imbattersi quella ragazza dagli occhi cerulei: canzonature perfide da parte degli studenti, malanimo fra i volti degli insegnati, punizioni gratuite elargite dalla Rosencrans. Quest'immane sfilza d'atteggiamenti poco amichevoli, ruotavano intorno a un epicentro nominato "competizione", che nei connotati meno eufemistici suona come "sopraffazione". Al Majakovskij le cose erano sempre andate così. Tutti contro tutti in un belligerante clima d'antagonismo. Quali le ragioni? Uno dei motivi principali poteva ravvisarsi nel trattamento ineguale che la Rosencrans adottava, lo stesso trattamento, che in fondo, ci riservavano gli insegnati, usando due pesi e due misure con ogni studente. Quest'errata linea didattica, faceva sì che fra noi nascessero rancori e invidie spesso difficili da redimere. Non erano solo questi i motivi delle soventi inimicizie che ci si poteva creare al Majakovskij, in genere occorreva conseguire un bel voto o vincere una gara sportiva per attirarsi contro gelosie e cattiverie. La prepotenza usata per prevalere sugli altri, l'indifferenza totale per i sentimenti altrui, le vendette sottili e invisibili che tutti i giorni ti colpivano, caratterizzavano una realtà a cui inevitabilmente Astrel sarebbe andata incontro. Sola e senza risorse, io non potevo far nulla per evitarle quest'impatto crudo e malvagio, non potevo sostenerla in nessun altro modo se non standole vicino. Probabilmente vi domanderete il motivo di tanta preoccupazione per una ragazza a me sconosciuta, e mi rincresce deludervi affermando che non possiedo alcuna risposta; non è affare di chi viaggia sull'onda del cuore crucciarsi nell'incertezza dei quesiti. Gli occhi d'Astrel volgevano languidi oltre i vetri della finestra. Osservando quei fiocchi bianchi venire giù, la sua espressione divenne serafica. Di tanto in tanto lanciava un'occhiata fugace al cellulare, forse si aspettava che i genitori la chiamassero, che qualcuno reclamasse sue notizie, eppure niente, da quando era arrivata a Mosca, non un solo messaggio aveva contribuito a farla sentire meno sola. Magari un giro turistico della capitale poteva giovarle. - Eri mai stata a Mosca prima d'ora? – Le chiesi mentre aprivo l'armadio per tirar fuori il cappotto. Astrel si voltò verso me, poi rispose.- L'anno scorso sono stata a San Pietroburgo, ma a Mosca non ero mai venuta.- - Ti piacerebbe visitarla? – Astrel parve interessata-Sì, certamente. – Colta da un entusiasmo che raramente provavo, mi diressi verso la porta carica d'energia.- Bene, allora andiamo. - La mia compagna di camera mi fissò perplessa. - Cosa? Intendi dire adesso? – - Non ti va? – Domandai comprensiva. – Sì, ma non credo ci faranno uscire, sono le nove passate. – Sorridendo maliziosamente replicai – E chi ha parlato di chiedere il permesso? – Astrel scosse il capo divertita – In effetti è inverosimile attribuire questo silenzio al fatto che tutti siano nelle proprie camere a dormire.- Abbottonandomi il cappotto le feci cenno di seguirmi.- Non immagini neppure quanto siano trafficate le scale di emergenza a quest'ora.Svignarmela di nascosto era diventato un gioco fin troppo facile per me, e devo ammettere, anche un pizzico intrigante. Non ero certo l'unica che violava il "coprifuoco" per godersi un po' di night life, e quella sera non sarei stata né la prima né l'ultima. L'unico problema era costituito dal signor Vyacheslav Lavrov. All'operoso inserviente, infatti, era stato disposto d'aggirarsi su e giù per la scuola fino a tarda notte, in maniera da evitare fughe notturne e qualsiasi forma di disordine. Eludere il suo occhio vigile era un'impresa da guinness, e non so a quale ingegnoso escamotage ricorrevano gli altri per riuscirvi. Io, tuttavia, possedevo una tecnica collaudata e infallibile. Mi bastava comporre il numero del Majakovskij e far partire la chiamata dal mio cellulare, a quel punto il telefono dell'istituto squillava e... il povero Vyacheslav si apprestava a rispondere con un'efficienza impeccabile. Quando riagganciava pensando che si trattasse di uno scherzo, io scendevo già le scale d'emergenza soffocando una risata.Liudmila rientrò in camera con l'espressione assorta. Il letto era ancora in disordine, e la finestra del bagno che dava sul giardino spalancata. Le tende svolazzavano in una danza scomposta. Liudmila corse a richiudere l'imposta giostrandosi fra la stoffa del tendaggio. Che gran comodità alloggiare al pianterreno!La neve aveva smesso di cadere, ma quel silenzio surreale aleggiava ancora impalpabile. Le finestre delle abitazioni erano offuscate dalla condensa, i lampioni accesi per le vie deserte illuminavano la calma piatta di una serata moscovita. In compagnia d'Astrel percorrevo la piccola traversa che fiancheggiava la parte laterale del Majakovskij, immettendoci ora nella strada principale, una folata d'aria fredda ci colpì raggelandoci. Non poteva dirsi la sera adatta per passeggiare romanticamente, ma entrambe nutrivamo il medesimo bisogno d'evasione.- Bene, Astrel, che meta preferisci? – Le domandai rivolgendomi a lei con un sorriso. Astrel parve riflettere.- Beh, non saprei, la celebre Piazza Rossa è lontana da qui? –- Affatto, siamo a meno di un chilometro, seguimi. - I nostri passi solcarono la neve tracciando un temporaneo itinerario. Passeggiando tra i bagliori della sera, la sua mano strinse la mia. Non mi aspettavo quel gesto, che allo stesso tempo percepivo così spontaneo. Finalmente le dita iniziarono a scongelarsi, sotto la sua presa calda provai sollievo. Quel semplice gesto, compiuto con naturalezza, contribuì ad aumentare la nostra intesa. Mano nella mano giungemmo a destinazione e l'immensa area della Piazza Rossa si manifestò ai nostri occhi. Lo spettacolo da cartolina cui stavo assistendo mi era alquanto familiare, eppure, non smetteva mai di stupirmi. Potrei sprecare mille parole nel vacuo tentativo di narrare la bellezza di quei monumenti, nel descrivere come le tonalità calde e purpuree contrastavano la temperatura invernale, ma credo sarebbe impresa vana. Nessuna espressione letteraria o figura retorica che sia, potrà mai essere all'altezza di ciò che stavo contemplando. L'enorme perimetro della piazza era sgombero da turisti e passanti, le finestre del Grande Cremlino e dei magazzini Gum erano illuminate a festa, mentre le magnifiche cupole di San Basilio si erigevano fiere, irte nel cielo.- Wow! – Esclamò Astrel avvinta. – Quanti bei colori su quelle cupole, sembrano degli enormi gelati. – Con sguardo vispo ammirava tutte le bellezze che il panorama le offriva, le sue pupille sfrecciavano veloci da destra a sinistra, voraci, nel tentativo di catturare anche i dettagli più minuti. Osservandola con incanto, mi accorsi di quanto fosse bella. I lineamenti del suo volto ricordavano lo charme misterioso delle principesse orientali, ma la sua carnagione era nivea come quella di una valchiria. Quando il vento impazzava insolente, i suoi lunghi capelli corvini ondeggiavano vivaci svelando la forma dell'aria e rilasciando fragranze afrodisiache. Con la mano premeva la sciarpa al collo per evitare che il freddo le penetrasse all'interno, e delicatamente socchiudeva gli occhi per non farli lacrimare.– Che ne dici se ci sediamo un po'? – Le proposi, scostando la neve da una panchina con il palmo della mano. - Va bene. - Pochi minuti più tardi, ci ritrovammo a ridere e scherzare come fanno le amiche di vecchia data.- Certo che la vita è davvero strana. – Disse Astrel ponderando ad alta voce. – Cos'ha di strano la tua? – Astrel si fece riflessiva e assorta replicò. – Beh, di punto in bianco tuo padre ti dice che devi partire per la Russia, e poche ore più tardi, ti ritrovi qui, nella piazza più celebre di Mosca - Astrel ebbe un momento d'esitazione e fugò lo sguardo altrove, quasi intimidita, poi, tornando a fissarmi, trovò l'audacia per lanciarmi un'occhiata interessata - ...Con te. - Non so spiegare con esattezza ciò che provai in quel momento, ero così preda del suo incantesimo, che tutto attorno a me si mutò in qualcosa d'irreale, come una dimensione parallela in cui l'incalzare del tempo si smorza per cedere il posto a una forma di presente che si dilunga all'infinito.- Hai ragione, la vita è imprevedibile. Neanch'io avrei potuto immaginare d'incontrarti, ma sono felice d'averti conosciuto. – Le risposi con un fil di voce. Lei continuava a fissarmi. In un'altra circostanza, timida per come sono, avrei distolto lo sguardo imbarazzata, con lei tutto era diverso. Non mi sentivo a disagio quando mi guardava, non provavo inibizione nello stare seduta cosi vicino al suo volto. - Sei bellissima. Willard l'aveva detto che a Mosca ci sono le ragazze più belle del mondo. - Per un attimo credei che si trattasse solo di un sogno, un magnifico sogno che stavo vivendo a occhi aperti, eppure, ciò che avevo udito non poteva essere più reale.- Anche tu sei molto bella, non mi stancherei mai d'ammirarti. – Astrel infittì la sua mano tra i miei capelli biondi, carezzandoli come se stesse apprezzando la morbidezza di un tessuto pregiato. Non potei che concedermi con tutta me stessa a quel tocco fatato e socchiudendo gli occhi avvicinai le labbra fino a condurle a un palmo dalle sue. Ora potevo sentire il suo respiro sfiorarmi l'anima e il suo sapore attrarmi come un magnete. Un brivido struggente mi percorse la schiena quando finalmente le nostre labbra s'incontrarono. Inizialmente fu un tocco sottile, timido, delicato, poi assunse nuove sembianze, e tra un batticuore e l'altro mi ritrovai coinvolta nel bacio più intenso e romantico della mia vita. Oggettivamente stavo baciando con ardore una ragazza che conoscevo da meno di tre ore, ma quella non era la prima volta che i nostri destini s'incrociavano per fondersi l'un l'altro. In realtà ciò avveniva da sempre e per sempre sarebbe stato così. Ogni anima alimenta il suo esistere per riconciliarsi alla metà perduta, e se le forze raziocinanti aberrano tali impeti antesignani, vi è il cuore a far d'auriga, e il mio cuore quella sera, mi condusse in lei.- Sai di buono. - le dissi, riaprendo lentamente gli occhi.- Lucida labbra alle fragole. - - Mm... Nettare per gli dei. – Astrel fece scorrere la lingua fra le labbra.- Mi hai baciato per assaporarlo? –- Anche. - Tra noi era scattata una scintilla, un trasporto folle e vibrante di passionalità. - Non ho mai visto una ragazza così bella. – Mi sussurrò, avvolgendomi tra le sue braccia con pura dolcezza.- Forse, perché in quest'istante non puoi specchiarti da nessuna parte.-- Possiedi uno charme particolare, Svetlana. Avrò visto tantissime ragazze dagli occhi cerulei, ma soltanto i tuoi possiedono le cromature di un lago ghiacciato in uno sguardo caldo come l'estate. - La sua poesia mi conquistò ancora. Dolce e autentica come di rado la gente sa essere, quella ragazza mi donò sentimenti intensi e vivi, che da sempre decoravano le pagine del mio diario come utopiche fantasie, sogni ineffabili taciuti perfino al pensiero. Astrel si alzò dalla panchina rabbrividita, manifestando il desiderio di far ritorno in un luogo caldo.– Sbaglio, o la direttrice ha detto che tu avresti dovuto insegnarmi " le regole vigenti nel vostro istituto" ? - Mettendomi in piedi anch'io, pronta a imboccare la strada del ritorno, risposi. – Beh, non c'è modo migliore d'apprendere una regola se non infrangendola. -- Dunque, devo trarre che baciare una ragazza sia vietato. -- Vietatissimo! Ma non nutro rimorsi per aver eccettuato la regola. -Mosca si svegliava nel candore della neve mentre tiepidi raggi solari la baciavano di luce. Il Moscova fluiva lungo il corso del suo letto, adorno di ghiaccio e di gelo. L'imminente arrivo della stagione invernale si celebrava tra i fumi vivaci dei comignoli. Al pianoterra del Majakovskij, allievi e docenti affollavano i corridoi con caotica frenesia, pochi minuti ancora, e il suono della campanella avrebbe sancito l'inizio della prima ora. Astrel si aggirava raminga barcamenandosi tra la folla. L'ansia da primo giorno le divorava lo stomaco a morsi. L'aula di storia doveva trovarsi oltre una di quelle porte sulla destra che si susseguivano contraddistinte da lettere. Astrel sapeva che la sua prima lezione si sarebbe svolta nell'aula con la lettera G, ma la giovane non riusciva a ricordare la corrispondente cirillica, e per ben tre volte entrò nelle classi sbagliate beccandosi le burle di chi la considerava un'analfabeta. Esasperata gettò per terra lo zaino e si arrestò in mezzo al corridoio, mentre la frenesia della mattina le correva intorno indifferente. I suoi genitori non avevano ancora reclamato sue notizie, soltanto Willard si era prodigato ad accertarsi che stesse bene, "Gli unici limiti sono quelli che noi stessi ci poniamo" le aveva detto, com'era solito raccomandarle. Ciò che Astrel desiderava davvero in quel preciso istante era esplodere in un fragoroso pianto e poi correre a perdifiato fino a raggiungere le rive del suo Tamigi, ma l'unico luogo in cui riuscì ad arrivare quella mattina, fu l'aula di cui era alla ricerca. Astrel vi entrò solcando l'uscio con ambascia, come se stesse oltrepassando la frontiera dello stato nemico. L'insegnante non era ancora arrivata, ma gli studenti sedevano con ordine ai propri posti. Astrel indugiò davanti all'ingresso, mille sguardi inopportuni le piombarono addosso annichilendola. La sua presenza destò non poca perplessità. - Ehm, buon giorno, è qui la lezione di storia? - Chiese la ragazza, tentando di fendere un varco amichevole nell'ostile silenzio che gli alunni opponevano. Nessuno le diede risposta, neppure con un leggero cenno del capo. - Cominciamo bene. – Farfugliò lei angustiata, sedendosi sull'unico banco libero. Un brusio ovattato si levò da ogni direzione. La ragazza cominciò a sfogliare un libro velocemente, sapeva d'essere lei l'argomento che alimentava quel parlottare confuso. Pochi istanti a seguire Liudmila entrò in classe esibendosi in una starnazzante chiacchierata al cellulare.- E' un fico da sballo! Entro domani me lo faccio, giuro. Ma come ti salta in mente? Lui non ha occhi che per me. – La studentessa bramava all'idea di suscitare invidia agli occhi delle sue coetanee, e non ci sarebbe stato da stupirsi se all'altro capo del telefono non vi fosse nessuno, tuttavia, la sua spavalda eloquenza si spense in modo repentino quando s'accorse che il suo posto era già occupato.- Tu chi diavolo saresti? – Chiese Liudmila ponendosi di fronte all'intrusa. Astrel sussultò sbalordita.- Come? Dici a me? – Liudmila sogghignò in segno di sprezzo.- Scusami tanto, tesoro, ma le tue chiappe non possono riposare sulla mia sedia. – Astrel fece una smorfia sconcertata.- Se la vista non m'inganna c'è posto per entrambe in questo banco, dunque, se rifiuti di accomodarti perché la mia presenza in qualche modo ti urta, devo informarti che non è affar mio.– Liudmila tentennò spiazzata, non era abituata a dibattere con persone sagaci. - Alzati subito da lì, sgualdrina! – Schiamazzò con irreprimibile ira. - Liudmila Borisovna! E' questo il modo di fare? – Intervenne l'insegnante di storia, appena giunta in classe. Nel vedere la donna accomodarsi dietro la cattedra, gli allievi si drizzarono in piedi esibendo rispetto. - Sedetevi pure. – Le sedie scrosciarono in contemporanea. - Dunque, Liuda, qual è il problema, cara? – Nella voce dell'insegnate viaggiava un leggero tono di predilezione.- Questa cretina ha occupato il mio posto. – Incalzò la studentessa inviperita. La professoressa osservò l'ultima arrivata con aria di sufficienza.- Non mi sembra di conoscerla, signorina. – Disse, continuando a ispezionarla.- Sono arrivata solo ieri. –- Ieri? E' di Mosca o risiede nell'Oblast? – Sferzò la donna inquisitoria. - No, vengo da lontano, sono inglese. –- Ah! La studentessa londinese, o meglio: la protetta del rettore Stanley. - Commentò la professoressa, curando le cadenze del suo tono mordace.- Di cosa sta parlando? Io non sono una privilegiata! - Protestò Astrel con impeto. L'insegnante finse di non sentire e aprendo il libro alla lezione del giorno, continuò a denigrare la nuova arrivata con la classe.- Credo che oggi incentreremo la nostra lezione su una semplice parola, la meritocrazia. D'altronde è un termine che ricorre spesso nel nostro parlare, possiamo impiegarlo in riferimento alle cariche istituzionali, ai direttori di un'azienda, e in questo specifico caso agli studenti del Majakovskij. - Quel brusio fastidioso riprese a serpeggiare fra i banchi – A voi è concesso di seguire le lezioni giornaliere, di alloggiare in camere confortevoli e di accedere agli spazi scolastici ed extrascolastici che l'istituto dispone. Per diventare gli allievi del Majakovskij, tutti voi avete investito energie e facoltà intellettive per superare i trabocchetti di un complesso test d'ammissione, tutti, eccetto quella ragazzina inglese, che con anglosassone freddezza si fa beffe dei vostri sacrifici. - Una pioggia d'occhi torvi si rovesciò contro Astrel per la seconda volta, ovunque si girasse, la ragazza scrutava soltanto visi arcigni. Il cuore cominciò a batterle violentemente, sentimenti d'afflizione e collera scalpitavano nella sua mente alternandosi in un caotico tumulto.- Se davvero vuole saperlo – inveì provata – è stato mio padre a stipulare accordi con il rettore Stanley. Convengo sul fatto che sia scorretto accedere alla scuola senza esserne prima stati ammessi regolarmente, ma la inviterei a rivolgere il suo malanimo verso colei che dirige l'intera baracca. Io sono solo una vittima di questa dannata vicenda! -- Che tu sia una vittima o meno, resti ugualmente una privilegiata. - Sentenziò una ragazza dai capelli mogano, seduta in fondo all'aula.- Precisamente.- Approvò la professoressa di storia – Non importa a nessuno come siano andate realmente le cose, lei ha giocato sporco, signorina Astrel, e sono certa che da questo momento il suo inserimento scolastico tracimerà d'ostacoli. - Astrel stava per replicare, ma l'ansia provocatale dal vaticinio dell'insegnante frenò le sue parole affogandole in un singhiozzo. Liudmila batté la mano sul banco sollecitando ancora la sua attenzione. – Allora, tesoro, ti alzi da sola o devo prenderti di peso e poi sbatterti per terra come un sacco di patate?– Il turpiloquio dell'allieva, sollevò una palpitante risata che coinvolse quasi tutti i presenti. Astrel fulminò la sua avversaria con lo sguardo, benché avesse un carattere mite e poco avvezzo all'irascibilità, la situazione in cui si trovava cominciava a spazientirla. – Io non mi muovo da qui. – Affermò con voce inflessibile. Liudmila ghignò arcuando le dita. Invasata dall'ira si scaraventò contro Astrel e le afferrò i capelli per strattonarla via dal suo posto. – Lasciami andare! Ho detto lasciami! – Gridava Astrel lottando contro quella presa poderosa. Le manacce di Liudmila sembravano attaccate alla sua testa con la colla. I ragazzi presenti parvero divertirsi nel vedere due compagne fare a botte e fra urli incitanti e schiamazzi confusi, circondarono le due combattenti per godersi meglio lo spettacolo. In classe si stava svolgendo un vero e proprio match e a decretare il gong ci pensò la professoressa di storia. La donna afferrò Liudmila dal giro vita e a fatica la trasse via dalla sua preda, anche Astrel fu allontanata dalla sfidante, ma riuscì ugualmente a sferrarle un energico pugno che la colpì dritta a un occhio. Le due avversarie furono rese inermi, e se da un lato Astrel si era placata all'istante, dall'altro, Liudmila continuava a scalciare nel vuoto e a urlare come un'indemoniata.– Brutta stronza! Te la farò pagare! Te la farò pagare! –l titanico orologio della biblioteca segnava le 19:30. Nell'ampia sala, a parte me e le interminabili file di libri, non vi era nessuno. La batteria al litio del mio I-pod si era appena prosciugata, impedendo alla soave voce di Varvara d'allietarmi ancora. Senza la mia cantante favorita, affrontare la pedanteria delle pagine su cui mi stavo documentando risultava più arduo, eppure mi adoperai con zelo per completare la ricerca sugli Inuit. Abbandonando il resto in sottofondo, non mi accorsi che Ivan, un mio compagno di classe, era appena entrato in biblioteca e si dirigeva spavaldo verso il tavolo in cui sedevo. I suoi passi pesanti spezzarono la mia concentrazione, mentre lui si sedeva accavallando le gambe, io richiudevo i libri infastidita dall'interruzione. - Ciao bambola, stai bene? – Nell'udire quella voce mi venne il voltastomaco. Ripensai al contenuto del bigliettino sotto la mia porta, il "galante"mittente si trovava proprio accanto a me. Ahimè, sono già due anni che Ivan mi sbava dietro. Due anni segnati da continue proposte, inviti hot, e apprezzamenti scurrili, che di certo non gradivo. Qualsiasi altra ragazza, al mio posto, sarebbe presto ceduta a quel fascino latino, sciogliendosi sotto lo sguardo penetrante dei suoi occhi neri, e vibrando nell'incandescenza dei suoi scultorei addominali. L'avvenenza del giovane studente non passava certo inosservata, ma non era soltanto quella ad ammaliare le donne. Ivan rapiva con gli sguardi, seduceva con i gesti, s'insinuava fra i pensieri femminili e si trasformava nel sogno erotico più proibito, più segreto. Per me le cose andavano in un'altra maniera. Forse ero l'unica ragazza a non svenire quando Ivan mi rivolgeva la parola, l'unica che non gli fissava il fondoschiena incantando lo sguardo come si fa con i ciondoli ipnotici, ma di certo, non ero la sola ad aver compreso che l'aitante adone era anche uno spregevole maschilista. Per Ivan le donne erano analoghe alle sigarette, da fumare prima assaporandone il gusto e da gettare poi, spegnendole con la punta della scarpa.- Spiacente, Vanja, ma come vedi sono impegnata in faccende più importanti. – Lo informai, riaprendo i libri e inarcando la schiena verso il tavolo.- Posso aiutarti io a completare la tua ricerca, così ti resterà del tempo da concedere al tuo fedele spasimante. –- Piantala, o ti lancio un libro contro! – Ivan non si scompose è intrigato replicò col sorriso marpione.- Beh, non ho un cattivo rapporto col dolore. – - Che lingua devo usare per farmi comprendere da te? Vattene e lasciami in pace, è così difficile da capire? – Sbottai ancora, vistosamente irritata dal suo fare irrispettoso e triviale.- Ok, non agitarti bambola, altrimenti mi ecciti di più. Ti accontento, vado via, ma stasera, nel caso tu voglia ripensarci, mi trovi in camera mia tutto nud..., ehm... volevo dire solo. –- Va al diavolo! – Gli gridai esasperata, mentre lui si allontanava lanciandomi un voluttuoso bacio. Pochi minuti più tardi, la porta della biblioteca si aprì nuovamente. Sta volta mi ero proprio stufata di quell'idiota! Rivolgendo lo sguardo in fondo alla sala, m'accorsi che non si trattava d'Ivan, ma di una splendida ragazza giunta da Londra appena una sera fa. Alla sua vista il mio cuore sobbalzo rinvigorendomi, più lei si avvicinava, più la tempesta impazzava dentro me. – Posso farti compagnia? – Disse, quasi timorosa che le rispondessi di no. – Naturalmente. – Il suo volto fu addolcito da un sorriso appena accennato e lieta si sedette, proprio dove Ivan aveva posato le sue disgustose natiche. Astrel indico i libri che avevo innanzi – Se stai studiando, non vorrei distrarti. – - Nessun problema- La tranquillizzai - ho appena finito. – Alzandomi dalla sedia riportai i libri al proprio posto. Astrel si strinse nel suo maglione bianco e mi osservò salire la scaletta di legno per raggiungere il quinto scaffale. – Oggi è stata una giornataccia. – commentò mestamente.– Non è andato bene il tuo primo giorno di scuola? – M'informai con voce faticata, mentre dall'ultimo gradino della scaletta mi tiravo sulle punte per combattere il tipico effetto domino dei libri sugli scaffali.- Beh, a parte l'esser stata presentata ai miei compagni come una raccomandata scansafatiche, e tralasciando anche che ho fatto a botte con una certa Liudmila, direi pure: un inizio encomiabile! –- Hai fatto a botte con Liudmila? – Le domandai con enfasi in parte nascosta. – Oh, ti prego, dimmi che l'hai mandata in ospedale! – Dissi, scendendo con attenzione dalla scaletta, affinché la iettatura che avevo pronunciato non si ritorcesse contro di me. Astrel sorrise.- Mi spiace doverti deludere, Svetlana, ma questa è la prima volta che giungo alle mani, e anche se apparirà retorico a dirsi, ha cominciato lei. -- Non è affatto retorico se stiamo parlando di Liudmila. Non sai quante me ne ha combinate. Ti consiglio di starle lontana, è una carognetta prepotente. - Astrel annuì, mentre i suoi aggraziati lineamenti si tingevano di mestizia.- Sai una cosa? – Disse, con l'intento di confidarmi i suoi pensieri. – Ho una gran nostalgia di casa. Mi manca Londra, e la mia amica Lara, e naturalmente Willard, che a quest'ora starà preparando il tè. - Non riesci proprio ad ambientarti qui? -- No. E' tutto così inospitale, così algido. - Le sue parole malinconiche riuscirono a penetrarmi in fondo, mi coinvolsero a tal punto, che provai l'irrefrenabile bisogno di stringerla a me e rincuorarla. Percepivo quanto Astrel desiderasse ricevere calore umano, era come se in quel momento la sua anima mi stesse parlando "abbracciami" mi diceva " stringimi forte e non lasciarmi mai più, finalmente ti ho ritrovato dolce metà."Guidata solo dal sentimento, l'avvolsi con le braccia e chiusi gli occhi. Com'era piacevole averla vicina, percepire il profumo frizzante dei suoi capelli fondersi con la fragranza leggera della cipria al talco. Avvinghiate in quell'abbraccio, il mondo sembrò sfumarci intorno, le nostre labbra si toccarono ancora, e tutto riprese ad esser magico esattamente come la sera precedente. Quanto avrei voluto fermare il tempo, imprigionarlo di nascosto in uno scrigno segreto, e vedere poi tutti i pendoli bloccarsi a mezz'aria. Il suono della campana scolastica infranse le mie aspettative, più trillava echeggiando per la biblioteca, più comprendevo che nulla era in grado d'arrestare il divenire del tempo, infatti, quel gigante orologio segnava ora le otto in punto.- Cavolo, la cena del mercoledì! – Strepitai ad alta voce.- Cos'è la cena del mercoledì? – Chiese Astrel incuriosita.- Una fra le tante ridicole trovate che la Rosencrans farebbe meglio a risparmiarsi. –- Ovvero? –- Ovvero, ogni mercoledì sera pretende che alcuni di noi cenino insieme a lei nel salone principale anziché in mensa. –- A quale scopo? –- Prendiamo posto in un tavolo unico, la preside indice un argomento da dibattere, e gli altri devono argomentarlo esponendo le proprie opinioni al riguardo. E' una sorta di simposio. –- Un simposio? Che spasso! Non che abbia qualcosa contro le serate culturali, anzi. – Precisò Astrel. - ma credo d'averne avuto abbastanza per oggi. –- Sta tranquilla, di rado la preside ci tedia per più di un'ora, e poi, la tua assenza alla cena significherebbe un tacito assenso a dissociarti dalla vita scolastica.-- Mentre la mia presenza sarà interpretata come un atto di sfrontatezza, giacché ho la fama d'infingarda privilegiata. -- Vedo che inizi a conoscere la dialettica di questo collegio. –- Già. – Si espresse lei con sguardo leggermente assorto. – Però, ciò che davvero mi piacerebbe conoscere sei tu. –- Io? – Domandai, visibilmente lusingata - Beh, dopo quello che è accaduto ieri sera, io vorrei tanto... - Astrel si mordeva le labbra e freneticamente agitava le mani, era come incapace di comunicare con me, frenata da una sorta di pudore che le avvoltolava i fili del discorso. Ruppi il suo imbarazzo con un semplice sguardo, nell'universo degli occhi niente era impossibile da esprimere.- Anche a me piacerebbe conoscerti meglio, e sono pronta a seguire qualsiasi sviluppo maturerà la nostra nuova amicizia. –Il salone principale del Majakovskij rappresenta l'angolo pregiato dell'istituto. La Rosencrans l'aveva ammobiliato seguendo il gusto dello stile vittoriano, curandone i dettagli più minuti. Al centro della sala, sopra un tappeto intrecciato a mano proveniente da Marrakech, dominava l'arredamento un massiccio tavolo di forma ovoidale in legno d'acero. Nella parte ovest della sala, un salottino in velluto rosso cocciniglia circondava il grande caminetto di travertino. A rendere l'ambiente intimo e raccolto, contribuivano le sfumature giallo ocra sulla carta da parati, finemente abbinate al bordeaux del tendaggio. L'anziana direttrice amava l'eleganza classicheggiante di quel luogo, per tale ragione ne preservava la compattezza limitandone l'accesso. Nell'arco settimanale che precedeva il mercoledì, il salone restava un luogo solitario e immerso nel silenzio. Solo alla polvere che si depositava sui cimeli era consentito l'accesso. Il mercoledì sera lo scenario si rivoluzionava. Le voci dei ragazzi, il via vai dei camerieri che facevano scrosciare le stoviglie sui carrelli portavivande, lo scoppiettio dei ciocchi dentro il camino e il profumo delle pietanze che imprimevano le stoffe dei tendaggi, tutto brulicava di vita. Liudmila sedeva composta al tavolo, stando ben attenta che i suoi gomiti non si poggiassero per sbaglio sulla tovaglia di fiandra. Paziente attendeva che il resto dei commensali prendesse posto. Alla cena del mercoledì lei giungeva sempre con mezz'ora d'anticipo rispetto all'orario previsto, in modo da esternare alla direttrice il suo spiccato interesse per l'appuntamento settimanale. In realtà la studentessa odiava dover consumare una cena in compagnia della Rosencrans, stava male alla sola idea di vederla masticare a bocca aperta con la protesi dentaria che di tanto in tanto veniva giù. Malgrado l'abominevole spettacolo cui sapeva andare incontro, Liudmila sedeva sempre accanto all'anziana donna, approfittando del fatto che nessuno volesse farlo. Per ingannare l'attesa, la giovane estrasse il cellulare dalla tasca e prese a chattare con un ragazzo da poco conosciuto.- ci vediamo in camera mia alle 22: 00, entra dalla finestra, è aperta. - Era questo ciò che aveva scritto nel suo sms. La campana della scuola emise un altro trillo, stava a indicare che i "prescelti" per la cena dovevano affrettarsi a raggiungere il salone principale, prender posto e dare una lettura veloce ai depliant che esponevano il tema della serata. Liudmila distese accuratamente il tovagliolo sulle gambe, e avvicinandosi con la sedia al tavolo si mise alla ricerca di una vittima, qualcuno da irridere per semplice diletto. Di solito puntava il mirino contro le ragazze del primo anno, in particolare quelle timide e diligenti, loro non erano capaci di ribattere con la stessa mordacità, e ciò le facilitava il gioco. Liudmila adorava farsi beffe delle altre persone, prenderle in giro e ridere di loro. Era una pulsione che doveva soddisfare a tutti costi, una sorta di droga senza la quale andava in astinenza. Solo enfatizzando i difetti altrui, lei riusciva a placare quell'insanabile complesso d'inferiorità che tanto la tormentava. Quando mi vide attraversare il salone insieme ad Astrel sobbalzò sulla sedia facendosi infima, la sua preda ideale era appena giunta, e di certo la litigiosa studentessa non l'avrebbe lasciata scappare, non dopo ciò che era accaduto durante l'ora di storia. Nel momento in cui le passammo vicino, notai il suo occhio tumefatto. Liudmila tentava di occultarlo dipanando alcuni ciuffi sulla fronte, ma bastava un movimento del capo affinché le tornasse in risalto. " Quel cerchio violaceo dovrebbe servirle da lezione." Pensai.- Eccola arrivata, la nostra cara compagna inglese. – Esordì Liudmila magnetizzando l'attenzione dei presenti. Astrel non replicò e indifferente si sedette al mio fianco. - Che c'è, hai paura di prender posto vicino a me?- Continuò lei, divampando rivalsa - Temi che ti possa tornare il colpo che m' hai inflitto all'occhio? – Astrel la snobbò ancora, disattendendo le sue puerili istigazioni. - Tanto meglio. Detesto mischiarmi con le puttanelle anglosassoni. – Gli occhi dei presenti gravarono sbigottiti su Liudmila, ma la studentessa non provò la benché minima soggezione. Un quartetto di ragazze che ciarlava fittamente innanzi al camino esplose in un fragoroso sghignazzo. Una fiamma impetuosa si accese in me cominciando a scorrermi nelle vene, raramente quella sciocca riusciva a farmi perdere la calma, ma questa volta era diverso. Non potevo lasciare che la mia amica venisse umiliata in quel modo, non sopportavo l'idea di vederla soffrire per degli improperi così pesanti ma allo stesso tempo così infondati. Sentendo il furore aumentarmi dentro, diedi a quella vipera la risposta che si meritava.- Stasera a chi tocca, Liuda? Chi oltrepasserà il davanzale della tua finestra? Bada bene al tuo privato prima d'apostrofare gli altri. - Una risata palpitante, come quelle che fanno da sottofondo ai film comici, si levò fra i ragazzi mettendo Liudmila in serio disagio. Al Majakovskij la privacy non era di casa, persino i soffitti avevano orecchie e bocca.- Questa me la paghi Svetlana! Hai capito? – Infuriò lei agitando una forchetta tra le mani. La situazione sarebbe degenerata ulteriormente, se la direttrice non fosse giunta a ristabilire l'ordine con un semplice, ma terrifico, schiarimento della voce. Da tempo avevo imparato a tutelarmi dalle scabrezze del mondo e dalla spregiudicata malevolenza di persone come Liudmila. Mi ero già trovata in situazioni analoghe a quella, e con magistrale indifferenza fingevo che nulla mi potesse scalfire. Agli altri ostentavo un'armatura corazzata capace di resistere a qualunque attacco, in realtà vivevo ogni singola cattiveria come il colpo letale di un dardo avvelenato. Ricordo ancora il mio primo giorno al Majakovskij. Era un martedì di settembre, quando insieme a due ragazzi, facevo il mio ingresso nella famigerata scuola. Nessuno di noi ricevette una calorosa accoglienza da parte della Rosencrans, ma io fui l'unica che per sei lunghi mesi alloggiò in una scomoda stanza di servizio, con l'acqua calda a giorni alterni, e scarna di qualsiasi altro comfort. Quali le ragioni di un'ammenda così severa? Mia zia aveva pagato con ritardo la prima mensilità. Un ritardo irrisorio, appena due giorni, eppure, alla direttrice parve un pretesto sufficiente per rivalersi su di me. Una volta la settimana ricevevo una telefonata da New York. M'infastidiva alzare il ricevitore e udire la voce fredda e meccanica di mia zia, perfino i risponditori automatici dei gestori telefonici riuscivano a simulare un tono di cortesia più coinvolgente del suo.– Fammi tornare a New York! Ti prego, zia, non mi trovo bene qui, quella donna mi odia e io non so cosa fare. - Mille volte avevo pronunciato queste parole fra le lacrime, ma dall'altro capo udivo soltanto la linea cadere improvvisamente. Passavo intere notti a riempire il diario di quesiti: perché la gente che mi sta intorno calpesta i miei sentimenti come fossero erbacce secche? Perché gli altri possono decidere della mia vita e gestirla a loro piacimento? Se la libertà esiste, se non è soltanto un'utopia che alimenta ideali, allora perché a me non è concesso di possederne almeno una parte? Non sono ancora riuscita a risolvere i miei quesiti, la logica contorta della vita non è facile da comprendere, eppure, io una cosa l'avevo capita: mi trovavo in gabbia. Una gabbia lussuosa dalle barre dorate, ma pur sempre barre, sarei mai riuscita a trovare le chiavi e valicare il confine della mia prigionia? Trascorsa un'interminabile e pedante ora, la direttrice decretò la fine del dibattito, la cena del mercoledì era ufficialmente conclusa. Solitamente, la Rosencrans sfoderava argomenti d'attualità come temi della serata, e spesso ci interrogavamo sui trend di sviluppo del nostro paese, o sui conflitti religiosi in medio oriente. Dibattiti d'alto interesse sociale, questo era indubbio, e probabilmente ognuno di noi avrebbe avuto maggiore propensione nell'argomentarli, se la regola imprescindibile non fosse stata: esprimi il tuo parere soltanto se è conforme a quello della Rosencrans. Come di consueto, la direttrice non si sarebbe accomiatata da tavola se prima non avesse espresso il suo malcontento alla cuoca, tacciandola d'aver aggiunto troppo sale alla stessa pietanza che il mercoledì precedente lamentava esser scipita.Celata fra i muri della sua camera, Liudmila indossava la nuova lingerie di seta. In precario equilibrio su due tacchi vertiginosi, la studentessa si atteggiava in pose sexy e provocanti davanti allo specchio. - Tu sei una donna fatale, nessuno può resisterti. - diceva sensualmente a quel riflesso seminudo e un po' tondeggiante. L'orologio indicava le nove e quaranta, a breve il suo voglioso partner avrebbe scavalcato la finestra per strusciarsi nel letto assieme a lei, e al solo pensiero Liuda avvertiva dei piacevoli fremiti scuoterle l'intimo. Ma quella che si apprestava a divenire una serata rovente e goduriosa, si trasformò presto in uno smacco. Proprio come avvenuto la sera precedente, degli insistenti tocchi alla porta interruppero Liudmila quando era molto, molto impegnata a intrattenere il suo ospite.

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