Capitolo 2: Era un soldato

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Capitolo 2: Era un soldato

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Capitolo 2: Era un soldato

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Quella notte sognai Reszo, il ristorante Kispipa e il piccolo piano sgangherato su cui posai le mani per la prima volta nella mia vita. Riuscii quasi a percepire il freddo, costante e pungente che aveva sempre caratterizzato il locale, popolato da prostitute, musicisti e poeti. Sognai l'esatto momento in cui lo conobbi, alla fine degli anni '20, e nel sogno riuscivo a vedermi dall'esterno, ed ero così piccolo da essere irriconoscibile. Poi iniziarono a giungermi alle orecchie stralci di conversazioni del pianista con altri clienti, riguardo la canzone che più amavo.

"Trentaquattro anni suonati e ancora non hai composto niente, eh? Faresti meglio a darti una mossa, Reszo."

"Ormai è finita. Se n'è andata, stavolta per davvero."

"Sto componendo qualcosa. Una ballata, sarà una ballata, devo solo lavorare sul testo."

"Yaacov! Vieni a conoscere Laszlo. Laszlo Javor, mi sta aiutando col testo."

"Il nome definitivo è Szomoru Vasarnap. Vieni, sei il primo a cui la faccio ascoltare per intero."

Le parole del mio maestro iniziarono pian piano a sfumare, mentre altre immagini confuse si aggiungevano al sogno, il presente e il passato si univano, si dividevano, creavano nuovi momenti e situazioni che non avevo mai vissuto.

Quando riaprii gli occhi, secondo la mia percezione pochissimi minuti dopo, Eliza mi stava scuotendo per le spalle.

"Yaacov, svegliati. È ora."

Spostai lo sguardo sulla mia compagna e la trovai con uno sguardo pensieroso, quasi preoccupato. Era difficile vedere quel tipo di espressione su una donna come lei; sembrava una di quelle persone incapaci di pensare a incertezze e negatività. Quel mattino, però, era diverso.

Decisi di non fare subito domande e mi alzai del letto cercando di non svegliare Chana, che fino al minuto prima era ancora tra le mie braccia. Entrai nel minuscolo bagno e mi specchiai; sembravo molto più vecchio dall'ultima volta che mi ero confrontato con la mia stessa immagine riflessa, e per un attimo ebbi paura di ritrovarmi con i capelli bianchi invece che neri la prossima volta ancora.

Mi sciacquai in fretta e furia il viso e portai d'istinto una mano nella tasca dei pantaloni; il lato positivo della missione che attendeva me e Misha era che almeno avremo potuto fumare in pace.

Quando raggiunsi gli altri, Eliza non era più l'unica a sembrare preoccupata.

"Cos'è successo?" domandai, nonostante la regola numero uno di situazioni del genere era proprio quella di non fare domande: spesso era meglio non saperla, la brutta notizia di turno.

Misha si alzò di scatto; era seduto al posto di Marian e stringeva tra le mani un piccolo fascicolo di documenti.

"Lo sapevo io, che una perlustrazione a quest'ora non era possibile," ringhiò, avvicinandosi verso di me a grandi falcate; era così rabbioso che per un attimo pensai che mi avrebbe colpito.

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