Capitolo 6: Irriconoscibile

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Capitolo 6: Irriconoscibile

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Scoprii solo in seguito che giorno fosse: il due ottobre. E il due ottobre fu la fine di tutto, passando in seguito alla storia come il giorno in cui la rivolta di Varsavia finì.

I soldati dell'Armata Rossa vennero ad aiutarci quando io li richiamai a gran voce verso di noi; avevo paura di alzarmi e lasciare Misha da solo, perché nonostante sarei tornato da lui, quel gesto era troppo simile a un abbandono, un addio. Era come dimostrare inconsapevolmente ai soldati che io fossi ancora vivo e il mio compagno no.

Quindi lasciai che un gruppetto si avvicinasse a noi, imbracciando le armi.

"Siamo della Resistenza," dissi in tedesco, ma com'era prevedibile nessuno mi capì. Ripetei la stessa frase in ungherese, e fortunatamente un paio di loro annuirono e si chinarono a controllarci. Mi fecero rialzare, appoggiandomi poi una giacca sulle spalle, e guardarono Misha scuotendo la testa.

"È vivo," spiegai, frenetico e terrorizzato, ormai quasi in stato di shock, accompagnando il tutto con ampi gesti per farmi capire. "Vi prego, aiutatelo. È ancora vivo."

I soldati parlottarono tra loro in russo, e poi mandarono a chiamare un paio di uomini vestiti in modo diverso da loro: dovevano essere i dottori che avevano portato con loro dal proprio campo base, infatti trasportavano un paio di barelle e delle borse. Presero Misha con loro, conducendolo nello stesso furgone dove stavano portando tutti i feriti. Io feci per seguirlo, ma uno dei nostri salvatori mi fermò.

"Dove lo portate?" chiesi con un filo di voce, mentre una sensazione terribile mi stringeva il petto. Non potevano separarci così, come avrei fatto a continuare a vivere senza sapere se Misha fosse salvo o meno?

Lo osservai mentre si allontanava sempre più dalla mia vista e di nuovo sentii le lacrime affiorare, ma questa volta riuscii a trattenermi.

"Ospedale," rispose semplicemente uno dei soldati, portando le mani sulle sue spalle in modo tale da guidarmi in mezzo al gruppo di civili e soldati sopravvissuti. "Tu stai bene, ti portiamo al sicuro."

Restai un paio di settimane sotto la protezione dell'Armata Rossa, insieme a qualche altra decina di sopravvissuti, civili e non. Non so cosa stavamo aspettando con esattezza, ma eravamo tutti troppo scossi e spaventati per lamentarci di un'attesa che non sapevamo nemmeno a cosa avrebbe condotto.

Non riuscii a trovare nessuno che parlasse la mia lingua, riuscii a intercettare solo qualche stralcio di frasi in tedesco, che non fecero altro che confondermi ancora di più.

Mi aggiravano per il capanno in cui ci avevano condotti qualche giorno prima come un fantasma, limitandomi a bere quando ci portavano da mangiare, preferendo dare via la mia razione - che sentivo di non meritare - ai pochi bambini che correvano per l'unica enorme stanza in cui ci trovavamo tutti.

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