Epilogo

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Epilogo

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Epilogo

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Lo rividi nel '46.

Budapest stava iniziando a riprendersi, ma c'erano ancora macerie agli angoli delle strade dove i bambini si arrampicavano, ancora troppa gente senza un'abitazione degna di questo nome, ancora troppi soldati di cui nessuno aveva avuto più notizie.

Restai nel rifugio insieme ad Isaak fino alla fine della guerra. Il mio amico iniziò a propormi quasi ogni giorno di trasferirci in America - fidati di me, Yaacov, in questo momento è sicuro affrontare un viaggio del genere, c'è un mio ex collega a New York, avremo una vita più che dignitosa...

Sembrava un'ottima idea ma pensavo di non meritarmelo. Sapevo di non meritarmelo, quindi rifiutai ogni volta.

Per un po' lo aiutai anche a rintracciare Eliza, ma fu tutto inutile. Poi, nei primi giorni dopo la fine ufficiale della guerra, arrivarono pacchi e pacchi pieni di lettere indirizzati a tutti noi, fino a poco tempo prima trattenute dai tedeschi: tra quelle indirizzate ad Isaak ce n'era una anonima: conteneva il fascicolo delle SS su Eliza e alla fine c'era un documento che ne confermava il decesso. Eliza era morta durante un interrogatorio in circostanze non chiare.

Isaak non parlò con nessuno per almeno una settimana, e io iniziai a mia volta a scrivere lettere su lettere all'ambasciata ungherese, chiedendogli - no, pregandoli - di cercare notizie di due cittadini dispersi: Chana e Misha. Non ricevetti alcuna risposta.

Quei giorni non li ricordo nemmeno più con precisione, rammento solo un grande vuoto e le emicranie sempre più frequenti, tutti i pensieri e i ricordi che mi portavo dietro da Varsavia mi tormentavano la notte. Quando camminavo mi sembrava di calpestare pavimenti imbottiti, poi divenne come galleggiare, poi volare... ero deciso a lasciar andare la mia vita, quella che mi ero tenuto stretto durante la guerra, quella che non meritavo, quella che non volevo più.

Poi un giorno arrivò un'altra lettera. E questa volta era indirizzata a me.

Era da parte di un mio lontano zio, che esprimeva tutto il suo sollievo dopo aver scoperto che fossi ancora vivo. Stava cercando di rintracciare il resto della famiglia, ciò che ne rimaneva, e mi chiedeva di raggiungerlo a Budapest. Aveva un letto libero per me nel suo appartamento - povero e spoglio, certo, ma finché non gli sarebbe crollato il tetto in testa non l'avrebbe lasciato a nessuno.

Al pensiero di tornare nella mia città, finalmente libera, avendo anche un posto sicuro dove stare, presi la coraggiosa decisione di partire per Budapest. Isaak non era pronto, rifiutava categoricamente di rimettere piede in Ungheria per chissà quale ragione, e anni dopo scoprii che se n'era davvero andato in America.

Appena tornato a Budapest, raccontai tutta la mia storia allo zio, che con mia grande sorpresa mi condusse dalla madre di Chana, unica sopravvissuta della sua famiglia. Lui faceva parte di un'associazione nata subito dopo la guerra, composta da cittadini che si occupavano di ritrovare ungheresi dispersi in ogni dove per rimetterli in contatto con le proprie famiglie.

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