Ima zero

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-Io... ti apprezzo come lavoratore, Bakugou, lo sai che sei uno dei nostri migliori impiegati.- disse il Signor Might, mentre si massaggiava piano la nuca bionda con la mano spessa, incerto su come poter affrontare l'argomento con quell'uomo dall'indole impulsiva ed oltremodo suscettibile.

-E allora?!- sbottò furibondo l'interlocutore, sbattendo il pugno sulla scrivania di legno che tremò visibilmente. Teste incuriosite iniziarono a palesarsi oltre la porta di cristallo che scindeva il suo ufficio dagli altri, e nemmeno il pudore fu in grado di arrestare il loro atteggiamento ficcanaso. -Cosa diamine è questa stronzata della "vacanza"? Non la voglio una cazzo di vacanza! E chi si occuperà dei bilanci?-

Il busto del Signor Might parve irrigidirsi a quella domanda, e subito due dita andarono ad allentare il colletto della camicia, mentre un velo di sudore gli chiazzava l'indumento sotto le ascelle e la fronte ampia. -Be'... insomma, a quello abbiamo trovato un temporaneo sostituto.- enfatizzò la parola formulandola con estrema lentezza, prima che Bakugou dirigesse lo sguardo oltre la porta ed individuasse uno dei suoi tanti spettatori fissarlo con volto amimico e senza alcuna premura, ulteriore ragione per infiammare ancor di più la situazione.

-AH! MA NON MI DIRE!- esplose a gran voce l'uomo, spalancando le braccia teatralmente. -Ovviamente chi è più adatto di quel parassita arrampicatore aziendale di Todoroki Shouto? Spero che il suo culo sarà ben al caldo sulla mia fottuta poltrona nuova, cazzo!- ringhiò furioso, per poi afferrare rabbiosamente la giacca e gli effetti personali, gettati alla rinfusa nella cartella di pelle lucida. L'ultima cosa che doveva premurarsi di prendere era...

-Katsuki, sarà solo questione di tempo prima che tu torni ad essere ingegnere senior qui dentro, lo sai. E poi i farmaci di questo secolo allungano la vita del paziente anche se è giunta-

-NON-DIRE-UNA-FOTTUTA-PAROLA, MIGHT. Non è arrivata nessuna Ima zero per me, ho trentadue anni, non cinquanta. Ti ho detto che si tratta di confusione mentale perché dormo poco e devo vedere come risarcire la palestra per l'incidente dell'altro- si arrestò in quel momento.

Non poteva essere. Non poteva star succedendo proprio a lui. Era impossibile.

L'insonnia; la forza fisica che gli era venuta meno all'improvviso, quando qualche giorno addietro i pesi gli erano scivolati di mano, ammaccando gravemente il pavimento della palestra in cui si allenava quotidianamente; la confusione che non gli permetteva di lavorare al meglio come sempre, ed il tono dell'umore che stava calando a picco rapidamente, a tal punto che anche solo uscire di casa per svago gli sembrava un'impresa eroica. E poi quella nausea insistente alternata a crampi che lo facevano sudare freddo, il tutto accompagnato da quella immotivata sensazione di vuoto che si estendeva a perdita d'occhio nel suo petto e che dilagava ogni giorno di più, come un'enorme, fetida macchia nera di denso catrame.

Era sopraggiunta, alla fine, e prima di quanto aveva immaginato. L'Ima zero.

Il Signor Might gli rivolse un'occhiata compassionevole, per poi sospirare pesantemente ed appoggiargli il palmo sulla spalla, prontamente scrollato via dall'uomo, perso nei ricordi di ciò che Obasan gli aveva insegnato. -Prenditi del tempo per te stesso, Katsuki, e ricorda che per qualsiasi cosa io sarò sempre dalla tua parte.- disse a fil di voce, perché non si trattava più di essere datore di lavoro e dipendente, ma stava parlando da essere umano ad essere umano. In seguito si diresse verso la porta, scacciando con una singola occhiataccia tutti i curiosi che avevano assistito alla scena.

Alla pietosa scena, stava pensando Katsuki, sempre così presuntuoso con chiunque ed ora inerme nell'occhio del ciclone. Ridicolo, ridicolo, ridicolo.

-Sappi che, quando sarai pronto, saremo sempre disposti ad accoglierti.- concluse per congedarsi.

Ima zero. Sarebbe morto così presto? Neanche giunto alla soglia dei quarant'anni? Sarebbe veramente stato il primo nella sua famiglia a non trovare la sua anima gemella e a morire precocemente, perché Andromeda aveva già prestabilito che il suo mate fosse troppo lontano ed impossibile da raggiungere nell'arco della sua attuale esistenza?

Un dolore acuto lo colpì alla base del naso, immediato ed incontrollabile, e si costrinse a torturarsi le labbra con i canini, piuttosto che dare libero sfogo a quella parte irrazionale di sé che stava intimamente soffrendo per il contiguo distacco dalla sua anima complementare. Aveva sempre odiato quel cieco istinto che avrebbe voluto condurlo lontano dai suoi desideri di realizzarsi in ingegneria gestionale, con lo scopo di essere ammesso nell'azienda di assicurazioni del paese. L'aveva odiato, respinto, rifiutato. Allora non avrebbe dovuto meravigliarsi se anche Andromeda, lì, sola nell'universo, gli avesse comunicato un tale verdetto, anche se a soli trent'anni di vita.

Perché anche lei sapeva che Katsuki avrebbe perseverato nell'egoismo di chi non è disposto a condividere, e lui, come essere umano, era strato creato dall'universo esattamente per quello: condividere, trovare la propria parte complementare per divenire un unico essere, in un ciclo infinito.

Col respiro sbalzato e gli arti insolitamente indolenziti, a dimostrazione di quanto velocemente quel germe stesse saccheggiando la sua salute, allungò la mano verso la fotografia incorniciata sulla scrivania, che lo ritraeva insieme alla nonna mentre ridevano divertiti per qualcosa che neppure ricordava.

Centaurus A era la galassia di Obasan. L'aveva scoperto quando la donna era già scomparsa, e lui aveva sentito la struggente necessità di dover puntare lo sguardo al cielo e comunicare intimamente con lei. Così era corso dal padre, astrologo di professione, e gli aveva chiesto se nel cielo ci fosse qualche galassia che si chiamasse "centauro", tiepido ricordo di luminosi giorni trascorsi insieme. "Certo tesoro." aveva risposto raggiante, forse già segretamente immaginando il motivo di tale curiosità. "La meravigliosa Centaurus A. È la galassia da cui ha avuto origine la nonna."

Così dicendo, l'uomo si era chinato all'altezza del figlio e l'aveva preso in braccio, aveva spalancato la finestra ed entrambi avevano guardato il cielo. "Ora, con tutto questo inquinamento atmosferico e con i farmaci d'ultima generazione, le galassie stanno soffrendo, Katsuki, e quando un essere umano non rispetta il suo ciclo vitale modificandolo artificialmente, le rispettive galassie perdono luce ed il cielo diventa pian piano sempre più scuro. Però tu ricorda, Katsuki, che la nonna è sempre lì, nella Centaurus A, e ti veglia da lassù."

Quella notte Bakugou la trascorse sulla poltrona di casa a guardare la notte calare piano, e pregò come non faceva da decenni. Pregò per la sua vita, per quella della nonna, per quella del suo mate che sarebbe morto presto, proprio come lui. Poi, quando le palpebre iniziarono a gravare sugli occhi per la stanchezza ed i primi raggi dell'alba tinteggiarono timidamente il parquet d'oro, un'unica frase prese forma dalle labbra screpolate ed emaciate di Katsuki.

-Te lo prometto, Obasan.

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