Shonici - Day one

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Il tanfo di urina della moquette sozza, i contenitori di metallo da cui strabordavano cibi in malora e fazzoletti putridi, misto al pallido odore pungente e nauseabondo della candeggina erano soltanto tre degli interminabili punti da annoverare nella lista delle cose che Katsuki Bakugou detestava. In cima a tutto, scritto con un doppio pennarello rosso, troneggiava la parola "treno", breve e concisa.
Da sempre aveva nutrito un astio ingestibile nei confronti dei convogli ferroviari, sempre così affollati, rumorosi – e lui, per quanto se ne potesse dire per le sue performance da urlatore professionista, condannava senza ripensamento alcuno gli ambienti chiassosi e confusionari -, nidi di formicai di germi disgustosi che, come poteva immaginare in quel momento, probabilmente gli stavano risalendo lungo le spalle. Fece per portare con fare esasperato i palmi in volto, con l'intento di allievare con un circolare massaggio ai bulbi oculari l'emicrania che quel concentrato di schifo inaudito gli aveva provocato, quando anche soltanto l'idea che avesse potuto accidentalmente toccare una superficie qualsiasi del treno lo fece desistere. La punta della scarpa iniziò a tamburellare nervosamente sul pavimento, a tal punto che riuscì persino a guadagnarsi un'occhiataccia intimidatoria dalla signora rattrappita che gli sedeva di fronte, bellamente ignorata, visto che Katsuki stava riflettendo su quanto ancora mancasse prima di raggiungere la città di Kyusai.

Perché si stesse dirigendo lì? Soltanto di una cosa era certo: tutto ciò che aveva iniziato a fare da quando l'Ima zero aveva bussato beffarda e crudele alla sua porta, non aveva la benché minima coerenza logica. Non vi era elaborazione cosciente che reggesse e spiegasse la matrice di tutte le azioni che stava compiendo: semplicemente l'istinto aveva puntato il dito sulla cartina geografica e aveva indicato come prima tappa quel paesino nascosto fra i monti, a nord della regione di Unmei. Probabilmente era capitato che l'avesse casualmente vista in foto, con i cunicoli delle case che sbuffavano zaffate di fumo denso, i tetti di antracite e le vette innevate. E non gli era piaciuta per niente.

Non si trattava di una mera questione di principio, semplicemente non amava il freddo secco che penetrava nelle ossa fino a ghiacciare gli arti, con la pelle d'oca sino all'ultimo centimetro di epidermide disponibile; per non parlare poi degli sport che si praticavano in zona. Scii come primo in classifica – e non aveva mai avuto un ottimo rapporto con gli scarponi e gli agganci di quei pezzi di plastica – con tutte le sue infinite e possibili declinazioni; snowboard al secondo posto, subito seguito dallo slittino ed il pattinaggio sul ghiaccio, e sicuramente qualche altra stregoneria che puntualmente attirava tutti gli abitanti della regione come mosche.

Forse, se fosse giunto lì in estate, quando il periodo dell'alta stagione era giunto al termine, l'avrebbe apprezzata di più. E, forse, era proprio per un motivo simile che si stava recando in quel luogo che, altrimenti, mai avrebbe visto con i suoi occhi indagatori. Il convoglio si inclinò leggermente sotto una frustata del vento quando entrarono in un tunnel, dal quale fuoriuscirono a distanza di una manciata di minuti.
Ed eccola lì, in tutto il suo romantico ed imperdibile splendore: Kyusai. Arrampicata dispettosa su una montagna, ella scrutava il circondario come un gatto, e Katsuki dovette ammettere che all'aspetto fosse indubbiamente intrigante, nella sua semplicità infangata dall'avidità dei forestieri, troppo abituati al caos della metropoli. Sembrava uno di quei modellini da collezione che, pezzo dopo pezzo, costituiscono un presepe da esposizione, od un carillon da vetrina di negozio di balocchi.

Furono gli stridii acuti delle rotaie sui binari a preannunciare l'arrivo imminente alla stazione, e l'uomo non poté evitare di domandarsi da quanto tempo quel marchingegno necessitasse di un restauro, viste le condizioni pietose in cui verteva. Perlomeno il suo dovere l'aveva compiuto, quando, comunicando a tutti i passeggeri di essere giunti a destinazione con un acuto strillo metallico, esso si fermò dinnanzi ad un cartellone beccato che di "Kyusai" portava ormai solo tre lettere, andando a comporre grottescamente la parola "usa". Così Katsuki si sollevò dal suo posto mentre la signora lo squadrava indispettita, forse innervosita che l'ennesimo, eccentrico forestiero fosse giunto lì ad inquinare quello che ormai era solo il pallido ricordo di un paese diroccato nel nulla. Per nulla scalfito da tale risentimento si diresse verso le porte - ahimè non scorrevoli -, che fu costretto ad aprire di sua mano usufruendo della lurida e logora maniglia di ferro, strattonandola con forza per poter finalmente scendere da quella gabbia infernale.

Poi, nell'esatto istante in cui fece per superare i tre scalini che lo separavano dall'asfalto, il tempo parve interrompersi ed accartocciarsi su se stesso, catapultandolo in una dimensione altra, eterea ed intangibile. Così lontana dal presente.
Il fantasma di se stesso parve affiancarlo e superarlo mentre scendeva dal treno, e Katsuki, obbligato ad essere spettatore della vicenda, guardò la proiezione della sua figura ad una manciata di passi da lui, identico a lui in modo inquietante. Ma il Katsuki Bakugou del passato indossava un abito d'altri tempi: un gilet cacao fasciava la camicia di perla, mentre un cappello a falde larghe nero cingeva la zazzera bionda, prontamente sistemata all'indietro con del gel per darle un ordine. Inoltre sembrava essere più giovane dei suoi attuali trentadue anni, e più... sereno? Forse sorridente. Insomma, c'era qualcosa nella sua espressione che non riusciva ad identificare, come se sapesse esattamente cosa fare e dove andare.

Ecco perché Kyusai aveva brillato ad intermittenza fra i suoi ricordi, perché in qualche vita precedente lui ci aveva lavorato, o forse vissuto. Stava di fatto che la sua anima ben conosceva quel posto, per quanto fosse chiaramente diverso dal presente. Quando sollevò lo sguardo, vide l'embrione della cittadina ancorato sulla vetta della montagna, così timida e ancora più diffidente verso gli stranieri di quanto lo fosse nel 2020. Il campanile si ergeva imponente nel piccolo agglomerato di case, al tempo assoluto punto di riferimento per la popolazione del posto. Ecco, quando Katsuki aveva pensato che avrebbe goduto della freschezza di quel paese in estate, si era riferito proprio a quello: quiete, silenzio, refrigerio dalla calura tossica della metropoli.

Il giovane ragazzo condusse la mano dinnanzi al bordo del cappello per schermare la vista dai raggi nefasti del sole, puntando lo sguardo verso Kyusai mentre sciorinava un sorriso che nella vita attuale Katsuki mai avrebbe mostrato. Poi, il se stesso del passato si incamminò lungo la banchina ferroviaria per uscire dalla stazione, e Bakugou lo inseguì come un ladro pur di capire dove stesse andando, ma soprattutto quale fosse il motivo di tanta gioia che lui aveva perso da tempo. Entrambi superarono la stazione, che ospitava soltanto la biglietteria ed una manciata di logore sedie di plastica per i viandanti in attesa della partenza, e nel momento stesso in cui il ragazzo aprì il portellone della struttura che dava sulla strada, venne urtato accidentalmente da un individuo che stava correndo nella direzione opposta.
Il disgraziato capitolò a terra e Katsuki guardò la sua proiezione, incitandola a dirne quattro a quello scapestrato, sebbene consapevole di non poter essere udito da nessuno.

Invece, il giovane Bakugou non si mosse. Katsuki guardò con aria interrogativa prima lui e poi l'altro, il quale, preso dall'ansia di aver perso un'occasione indimenticabile della sua esistenza, si sollevò con un solo balzo e masticò delle scuse fra sé.

Ma, quando fece per voltarsi e riprendere la corsa, il biondo gli afferrò subitamente il polso e domandò "Ci conosciamo?".
Solo in quel momento Katsuki prestò maggiore attenzione a quel ragazzo, due immense gemme di smeraldo incastonate nel volto pallido ed i capelli scuri arruffati dal vento. Bello come il cuore di un bocciolo, così sincero e genuino quando una singola lacrima gli scivolò autonoma e solitaria sulla guancia spruzzata di lentiggini.

Era lui.

Il sé del passato lo guardava con fare stranito, con un barlume di eccitazione che gli illuminava le iridi cremisi, e persino Katsuki fu travolto da un'ondata di sollievo quando comprese quello a cui aveva assistito. Un sospiro tremulo si levò dalle sue labbra, ed ebbe l'impressione che il Katsuki Bakugou di quell'epoca avesse reagito esattamente allo stesso modo.

L'aveva trovato.

***

Buongiorno, cari lettori!
Ringrazio di tutto cuore chi è giunto sin qui e chi ha voluto investire un po' del suo tempo ad esprimere le sue opinioni in merito, veramente grazie! Inoltre, ho preso questo piccolo spazio per me per evidenziare soltanto alcuni elementi simbolici della storia, che, magari, non saltano all'occhio per chi non studia la lingua giapponese (come me, d'altronde, e quindi ancora una volta mi supporta "l'affidabile" Google Traduttore).

Unmei, ovvero la regione in cui Katsuki si trova, significa "destino", mentre Kyusai "sollievo". Ogni città, paese o borgo in cui Katsuki giungerà, porterà come nome una delle sette emozioni che un mate prova quando trova il suo compagno.

Ciò detto, non mi dilungo oltre e alla prossima!

Un abbraccio,

-Sel 🌙 🎶

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