"Mirrors on the ceiling,
The pink champagne on ice
And she said 'We are all just prisoners here, of our own device'
And in the master's chambers,
They gathered for the feast
They stab it with their steely knives,
But they just can't kill the beast
Last thing I remember, I was
Running for the door
I had to find the passage back
To the place I was before
'Relax,' said the night man,
'We are programmed to receive.
You can check out any time you like,But you can never leave ... "
― The Eagles, Hotel California
Mi alzai di scatto, spalancando gli occhi e portandomi una mano tra i capelli. Socchiusi gli occhi per qualche secondo, cercando di regolare il mio respiro affannato affinché il mio cuore rallentasse insieme ad esso. Attorno a me erano sparsi centinaia di fogli rappresentanti le parti di una cellula, il dogma centrale della biologia molecolare e immagini del genoma umano.
Prima ancora che potessi domandarmi perché erano sul mio letto, mi resi conto che l'orologio sul mio comodino segnava le 7.50 e fu in quel momento che mi buttai di sotto dal letto, grugnendo dalla disperazione.
Fare tardi al primo esame dell'anno non era un buon modo di cominciare ed è per questo che la sveglia sarebbe dovuta suonare un'ora prima del solito, ma la mia pigrizia aveva preso il sopravvento ancora una volta facendomi addormentare prima ancora di impostarla e mi ritrovai a preparami con un margine di soli venticinque minuti. Nella mia testa si formò una lunga lista di insulti che mi riguardavano, accompagnata da una lista di scuse più o meno valide che avrei potuto dire al professore in cambio di pietà, ma che già sapevo non essere abbastanza. Mentre inciampavo per infilarmi lo stivale riuscì a recuperare chiavi e cellulare, necessari per la mia sopravvivenza e con un vantaggio di due minuti sul mio tempo limite da ritardo misi in moto la macchina.
La mia vita era sempre stata un tocca e fuggi, ma avevo sempre creduto che una volta all'università sarei maturata abbastanza da organizzare meglio il mio tempo; invece, un anno dopo, ero ancora di corsa e probabilmente lo sarei sempre stata.
Il parcheggio per gli studenti mi fece risparmiare tempo come sempre, ma non appena misi un piede fuori dall'auto cominciai a correre, chiudendola con il pulsante della chiave senza nemmeno girarmi. Quando arrivai all'aula, con mia grande gioia, si erano tutti appena seduti e mi venne permesso di assistere.Uscì un'ora e quaranta minuti dopo, dirigendomi verso l'unico posto che avrebbe potuto risollevare quella mattinata.
"Sembri una randagia." disse una voce alle mie spalle e senza doverci pensare mezzo secondo mi girai, un angolo della bocca sollevato a formare ciò che poteva sembrare un sorriso.
"E tu una strega. Adesso taci e fammi prendere il mio--" cercai di rispondermi, ma venni interrotta nel momento in cui mi porse una tazza dalla quale usciva l'odore più bello del mondo.
"Caffè? E' da quando mi sono svegliata stamani e ho trovato il tuo messaggio disperato delle tre del mattino che ho immaginato saresti arrivata in ritardo ed in astinenza da caffeina. Puoi ringraziarmi con un biglietto." e con un occhiolino chiuse il discorso.
Io mimai un 'grazie' con le labbra, prima di prendere un sorso di quello che mi piaceva definire il nettare degli Dei. Un sorriso mi spuntò immediatamente sulle labbra mentre mi avviavo in cortile, seguita dalla mia mora preferita.
"Allora? Com'è andata?" mi chiese lei appoggiandosi al nostro muretto di ogni giorno. In risposta scrollai le spalle, non mi ero mai preoccupata dei miei voti perché per quanto studiassi rimanevo nella media. Ero cresciuta con le frasi dei professori che mi dicevano quando fossi intelligente, quanto fossi scaltra e furba, ma che non mi impegnavo abbastanza per superare la media e perciò mi ero alla fine arresa a restarci nella media, che infondo non mi pareva così male.
Inoltre lei sapeva che non mi ero ancora ripresa. Lei era stata con me passo passo e perciò conosceva bene ciò che mi stavo portando dietro. Il mio essere così taciturna non mi si addiceva e lei me lo aveva ripetuto ogni giorno, fino a rilasciare lentamente la corda per darmi il tempo di riprendermi.
"Va bene, come non detto. Stasera andiamo al Rockstar allora? Dobbiamo rilassarci un po', altrimenti questa sessione sarà catastrofica." aggiunse, con quello sguardo implorante da cerbiatto che sapeva essere incorretto nei miei confronti. Soli due mesi fa sarei stata io a proporlo e lei sarebbe stata quella da convincere. L'incredibilità di questa scena mi fece quasi ridere.
"Va bene, lo faccio sapere anche a Bran. Scrivi tu invece a Chloe e Will?" domandai e dopo la sua risposta affermativa presi un altro sorso del mio caffè. Quel pub era quasi una routine perché si trovava in una zona comodamente raggiungibile da tutto il gruppo. Mi fece quasi sorridere pensare che un anno prima eravamo solo io e lei contro il mondo, mentre ora avevamo una cerchia di amici con cui ci trovavamo a nostro agio.
Dopo aver dato un'occhiata al telefono mi scostai dal muretto con un balzo.
"Vado a lezione. E' l'ultima quindi poi fuggo a casa. Ti scrivo dopo okay?" E senza aspettare una risposta mi avviai nell'aula B50 con il mio caffè stretto in mano e la borsa a tracolla dall'altro lato.Rimasi a fissarmi allo specchio un po' più del solito e non mi riuscì impedire che il suo nome facesse capolino prepotentemente nella mia mente. A Zach sarebbe piaciuto molto questo top.
Scossi la testa nel tentativo di riporlo in un cassetto lontano della mia testa e finì di mettermi l'ombretto rosa leggero a contornarmi gli occhi. Raccolsi la mia folta chioma di capelli in una coda alta, lasciando così scoperto il mio viso pieno di lentiggini. La mia giacca rossa che mi accompagnava in ogni occasione era già ad aspettarmi in macchina, perciò raccolta la borsa andai a bussare alla porta di Brandon, lasciandomi alle spalle il suono rimbombante dei tacchi sul parquet.
"Ti prego dimmi che sei almeno a metà della tua opera o come la chiami tu, perchè io sono pronta e non ho intenzione di aspettare più di cinque minuti." dissi mentre entravo nella sua stanza, andando a sedermi direttamente sul letto a gambe incrociate. Lui era completamente immerso nel suo armadio, alla ricerca di qualcosa da indossare e alla vista di quella scena straziante non potei che alzarmi ed andare ad aiutarlo.
"Grazie sorellina, come farei senza di te? Dieci minuti e sono pronto!" rispose lui facendomi l'occhiolino, prima di sparire in bagno. Io sbuffai sonoramente e mi lasciai cadere all'indietro su quel letto immenso.
"CINQUE! E senza di me non riusciresti a sopravvivere più di ventiquattro ore."
Io e Brandon eravamo inseparabili e lo dimostrava l'aver preso casa insieme nonostante avessimo vissuto insieme tutta la nostra infanzia.
Quando uscì dal bagno mi alzai in piedi per andare a sistemargli il colletto della camicia. Lo specchio nella sua camera ci inquadrò entrambi e io non potei non soffermarmi a notare ancora una volta quanto fossimo identici. L'essere gemelli omozigoti era il fattore principale, ma a volte sembrava che persino le nostre lentiggini fossero negli stessi punti e che il nostro sguardo esprimesse le stesse emozioni. Zach lo diceva sempre che se mi fossi tagliata i capelli come Brandon nessuno ci avrebbe potuti distinguere.
Scossi la testa per scacciare quel pensiero e raccolsi la mia borsa dal letto, intimando alla mia metà genetica di sbrigarsi.
Era qualche giorno che non andavo al pub per poter studiare, ma niente era cambiato. Il quadro di Marylin Monroe era sempre appeso dietro il palco per il karaoke, lo specchio antico risaltava dietro il bancone e i tavoli avevano sempre quel centrotavola a forma di nota musicale.
Non appena scorsi Annika mi avvicinai con un sorriso, facendo cenno a tutti gli altri.
"Finalmente! Pensavo ci fossi annegata sotto quella roba strana che studi. Ci sei mancata! Novità?" mi chiese Will dopo avermi abbracciata. Potevo sentire gli sguardi di Brandon e Annika su di me perché erano i soli a sapere cosa fosse successo e che per quanto gli esami fossero effettivamente iniziati, la vera ragione per cui faticavo ad uscire era lui.
"L'unica novità è che è una settimana che non bevo, perciò ho bisogno di un drink. Ora." Risposi con un sorriso sul viso, lasciando che fosse Brandon a fare gli onori. Per quanto dentro sentissi come una morsa che mi divorava ogni briciolo di felicità che riuscivo ad incanalare, mi erano mancati i miei amici.
Il terzo giro toccava a me perciò mi alzai dalla mia sedia per avvicinarmi al bancone, aspettando che il nostro barista di fiducia mi notasse.
"Un cosmopolitan, due cuba libre e due vodka tonic." gli dissi non appena incrociò il mio sguardo. Rimasi lì in attesa, osservandolo lavorare quando una voce alle mie spalle mi distrasse.
"Che ci fai qui tutta sola? Aspetti il principe azzurro?"
Sentì il prurito scorrermi nelle vene, segno che il mio livello di fastidio era appena salito alle stelle. Non sopportavo i ragazzi che ci provavano al bar, soprattutto così sfacciatamente e con una frase da rimorchio scadente. Feci un respiro profondo, ma non servì a cambiare la risposta che mi uscì.
"Anche se dovessi aspettare il principe azzurro non potresti mai essere tu, ma ti do un consiglio. La prossima volta che cerchi di avvicinarti ad una ragazza assicurati che lei abbia voglia di essere avvicinata e che le tue battute non suscitino ribrezzo." gli risposi in maniera secca, con uno dei sorrisi più falsi che potessi tirare fuori. La voce misteriosa si voltò verso di me, rivelandomi un paio di occhi blu che forse in una situazione diversa mi avrebbero tolto il fiato. Vidi che di fronte a lui c'era un'altra ragazza e prima che potessi rendermi conto dell'errore, fu lui ad aprire bocca.
"Ti hanno mai detto che l'acidità non ti dona proprio? Ecco il mio di consiglio. Sii meno scorbutica, fai del sano buon sesso e forse poi il principe azzurro lo troverai." il suo tono non era infastidito, ma quasi divertito. Prima che potessi rispondere aprì bocca nuovamente. "Ah e non preoccuparti, a me piacciono le bionde." aggiunse prima di allontanarsi con la ragazza con cui realmente stava parlando, per l'appunto, bionda.
A risvegliarmi dal mio stato di perplessità fu Dean, mettendomi i drink davanti, in un vassoio.
Mentre li portavo al tavolo nella mia mente continuava a risuonare la sua voce. Il modo in cui mi aveva parlato non mi aveva indispettita, ma quasi fatto venire voglia di ridere perché anche se non mi conosceva per niente, aveva ragione. L'acidità non mi donava proprio.
Dopo aver appoggiato i drink sul tavolo mi passai una mano ad accarezzarmi i miei lunghi capelli rossi e per un frazione di secondo, per la prima volta, preferii che fossero biondi.
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Our Pistanthrophobia.
Romance"Avevano entrambi il cuore talmente spezzato da essersi scordati cosa significasse essere felici. E se fossero destinati ad essere l'uno la felicità dell'altra?" Pistanthrophobia: la paura di fidarsi di qualcun'altro.