7. La Sede

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Una brusca fermata del treno fece svegliare l'oramai soldato Harold, che aprì lentamente gli occhi. Si guardò intorno, seduto al suo posto. Alcuni uomini, che come lui si erano appisolati, stavano aprendo gli occhi o si stavano stiracchiando, piuttosto tranquilli. Non capiva come non potevano essere agitati, visto che tra meno di un'ora sarebbero arrivati nella sede ufficiale dell'esercito. Lui era così nervoso, ma quando il nervosismo prendeva il soprassalto contava fino a dieci o respirava profondamente. Guardò fuori dal finestrino, su un cartellone la grande scritta 'Londra' gli fece capire che erano finalmente arrivati. Sospirò prendendo la valigia, e insieme ad altri militari scese dal treno.

<< Bene, soldati, la sede si trova a due chilometri da qui >> annunciò il comandante Jeff Davies << Ognuno di voi si dividerà con altri e verrà trasportato in carrozza >> Così gli uomini iniziarono a creare gruppi con altri che conoscevano meglio, oppure con delle persone che ritenevano "simpatiche" e "gentili" : in verità nessuno avrebbe rinunciato la vita per l'altro.

<< Soldato >> chiamò il comandante ma il riccio, pensando che non chiamasse proprio lui, continuò a cercare con lo sguardo qualcuno con cui raggrupparsi.

<< Dico a te, riccio >> ripetè il comandante e l'uomo si girò verso di lui.

<< Mi scusi, ma sto cercando qualcuno con cui andare in sede >> rispose nel modo più educato possibile e Jeff sorrise. Non sapeva cosa gli passasse per la mente, ma sembrava che stesse progettando qualcosa.

<< Può venire con me, soldato >> gli sorrise il comandante e quasi il mento del riccio toccò terra. Sì, per qualcuno sarebbe stato ridicolo, ma diamine, il suo comandante, il suo maggiore, lo aveva invitato a recarsi in sede con lui!

<< Se non le dà fastidio, comandante >> Harold spostò lo sguardo verso terra, non riuscendo a sostenere quello di Davies. Pur sicuro che il ricciolino non riuscisse a vederlo, fece un sorriso.

<< Non mi dà fastidio, e forza, prenda la sua valigia e mi segua! >> lo incitò e l'uomo dagli occhi color smeraldo strinse in una mano la manica della valigia, trascinandola appresso e seguendo il suo maggiore come un cagnolino che segue il suo padrone. Non che ci fosse differenza: Jeff Davies era il padrone e l'esercito erano i cagnolini. Il padrone comanda i cagnolini e dice cosa devono fare.

Jeff fermò la prima carrozza che vide e, insieme al riccio, ci salì dentro.

Harold era in evidente imbarazzo: giocava con i pollici al suo posto mentre il comandante guardava fuori dal piccolo finestrino. Non avevano fatti pagare, a loro: il signore che guidava la carrozza aveva riconosciuto Jeff e aveva insistito affinchè non pagasse.

Lentamente e furtivamente, alzò lo sguardo sul suo capo: a pensarci bene, non lo aveva mai avuto così vicino. Poteva vedere meglio il suo viso, sparso da qualche neo, dai tratti duri da vero uomo; le sopracciglia scure aggrottate, chissà a cosa stava pensando; le labbra rosee chiuse in una linea e il naso leggermente grande e all'insù; i capelli di colore nero, sistemati in un ciuffo basso laterale. Indossava i vestiti di un generale, con qualche medaglia d'oro sul petto e le scarpe color marroncino scuro.

Il riccio si leccò le labbra screpplate e passò una mano nei suoi ricci, guardando poi fuori dalla finestra. Londra era diversa, da Holmes Chapel: per prima cosa era più grande; le case erano enormi, i negozi variavano di ogni tipo e non si potevano neanche contare da quanti erano.

<< Riccio, siamo arrivati, dobbiamo scendere >> parlò Jeff, dopo mezz'ora di silenzio. Non conosceva il suo nome, e si trovava a chiamare quell'uomo "riccio" per via dei suoi capelli.

<< Va bene >> sussurrò l'uomo, convinto che il comandante avrebbe fatto anche a meno di sentire una risposta. Recuperò la valigia e scese dalla carrozza.

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