-Bianca, per favore, smettila con questa storia. Non cederò mai. Devo ripetertelo? Sono il tuo professore; non sarò mai il tuo amante.
La ragazzina sbuffò. Sedici anni, capelli rosso fuoco freschi di cotonatura, un trucco nero pesantissimo sfumato dal giorno prima.
Aveva una scollatura così profonda, e una minigonna così corta, e degli stivali così alti, che non si poteva fare a meno di guardarla, a prescindere dagli istinti sessuali che poteva o non poteva provocare.
'Provocare': ecco cosa faceva.
Non chiedeva solo sesso. Chiedeva anche l'altrui disapprovazione. E chiedeva che le parlassero alle spalle, sicuramente. In fin dei conti, per come la vedeva Emanuele, quello che chiedeva era semplicemente attenzione.
-Professore, lei non può sapere per certo che non cederà mai. Chi lo sa cosa potrebbe passarle per la testa domani, o il mese prossimo, o l'anno prossimo?
-Lo so io, cosa mi passerà per la testa: la mia fidanzata, il mio lavoro, i compiti da correggere, le cene fuori coi miei amici. Il mio cane, al massimo. Ma non il sesso con te. Non mi induci in tentazione, Bianca, mettitelo in testa.
-Ma davvero? - lei sorrise malignamente, alzò un sopracciglio, accavallò le gambe e si stese bene sullo schienale; si comportava come una spogliarellista trentenne. - Allora perché ha usato il termine 'cedere'? È alle tentazioni che si 'cede', o sbaglio? Altrimenti avrebbe detto 'non mi piacerai mai'. È già più vicino al concetto del quale lei cercava di convincermi.
-Bianca...
-O di convincere se stesso.
-Bianca.
-Ma non si preoccupi, ci raccontiamo tante cose per non uscire dai nostri binari sicuri della normalità. Per rimanere in metafora, deragliamo insieme, professore – fece un sorriso di scherno, dando un tono di ridicolo alla sua stessa proposta. E poi pretendeva che la prendesse sul serio, però.
Quella storia stava iniziando a diventare ridicola. Da tre mesi a quella parte, da quando lui era arrivato in quella scuola per insegnare l'italiano e la storia nel triennio di un linguistico, la sua vita era stata arricchita di un nuovo pittoresco elemento: una ragazzina di terza liceo che sembrava appena scesa da un cubo e che però non scendeva mai sotto la media del nove; e che, per giunta, spergiurava di essersi perdutamente innamorata di lui.
Ma il suo era un amore particolare: sembrava che, più che lui, amasse vederlo soffrire.
Lo portava ai limiti del suo sistema nervoso con i suoi ragionamenti, con i suoi modi, con le sue contraddizioni. Era intelligente, ma si comportava da completa stupida. Era la tipica ragazza problematica che ogni liceo ha in dotazione, in quantità che vanno dall'unità singola a un massimo di cinque o sei elementi. Chi non la odiava, tra i suoi colleghi, l'aveva presa enormemente a cuore: ma i loro atteggiamenti spaziavano soltanto tra due estremi, ovvero, maltrattarla oppure coccolarla. Nessuna via di mezzo.
Emanuele, quando se l'era trovata davanti le prime volte, e quando aveva discusso coi suoi colleghi al riguardo dell'atteggiamento da tenere con lei, aveva pensato chiaramente che, al posto di Bianca, non gli sarebbe piaciuto suscitare del disprezzo, ma non gli sarebbe piaciuto nemmeno suscitare pietà. E quindi aveva deciso di non provare nessuna delle due cose, con quella ragazza: decise di trattarla come tutti gli altri, senza cercare perennemente di coglierla in fallo – non ce n'era bisogno; lei non era di certo conciliante né ubbidiente – né di giustificarla in ogni sua stranezza – non aveva alcun diritto di arrivare alla terza ora sbadigliando e col vestito di traverso.
E questo l'aveva conquistata.
Certo; unito al fatto che Emanuele aveva solo ventinove anni, era giovane, si comportava da persona giovane ed era senza dubbio un uomo piacente. Molte ragazze, nel liceo, si erano invaghite di lui; ma solo lei si era spinta fino a una dichiarazione.
E fino a seguirlo, e fino a chiedergli del sesso, e fino a farsi sbattere fuori dalla classe per andare a parlare con lui in sala insegnanti nella sua ora di ricevimento – un'ora che da tempo ormai non riusciva più a dedicare ai genitori.
Fortunatamente, lei era stata abbastanza intelligente da tacere agli altri questa sua particolare passione: avrebbe potuto costargli il lavoro, se avessero sentito i dialoghi che intercorrevano tra loro due in quelle poche ore.
-Professore, la smetta di correggere i compiti. Siamo soli io e lei. Perché non vuole fare niente con me?
-Ma ti senti, Bianca? Mi metti in imbarazzo. Proporsi è una cosa, sbatterla in faccia a un uomo è tutto un altro discorso.
-Beh, lei non se la prende, dovrò pur fargliela avere in qualche modo.
-Ma io non la voglio.
-Cazzate, tutti la vogliono.
Sì, non c'era dubbio che con un atteggiamento del genere per lei fosse facile collezionare compagni di letto. Ormai, perfino gli insegnanti, persone adulte che avrebbero dovuto guardare la cosa con occhio più oggettivo, bisbigliavano sui rapporti sessuali precoci e ossessivi di quella ragazzina assurda in terza A.
-Senti – tentò con calma, senza alzare gli occhi dal foglio che in realtà non stava leggendo – a sedici anni forse sì, tutti la vogliono. Tutti le vogliono tutte, stando a quanto ricordo. E tutte li vogliono tutti, probabilmente, al giorno d'oggi. Ma quando hai quasi trent'anni inizi a fare una cernita, sai cos'è una cernita? - proseguì prima che lei, piccata, riuscisse ad aprire la bocca e a protestare che lo sapeva benissimo, e che lui lo sapeva che lei lo sapeva – Ecco. Io ho fatto la mia cernita. Ho scelto la mia fidanzata.
-Come si chiama, la sua fantomatica 'fidanzata'?
-Camilla.
-Camilla! - sbuffò Bianca – Che nome da fighetta noiosa.
-Ti pensavo un po' meno pregiudizievole. Proprio tu ti fai un'idea di una persona, non dal suo aspetto, non dal suo comportamento, non dalle sue amicizie, ma addirittura dal suo nome...?
-Che c'è di male? Dicono che il nome influenzi moltissimo il carattere di una persona. E comunque a me non danno fastidio i giudizi degli altri su di me, giudicare è normale e giusto, non mi arrabbio se lo fanno a me e non dovrebbero arrabbiarsi se lo faccio a loro... ma comunque, che dicevo? Ah, sì, il nome. Il mio nome mi fa schifo, per esempio. Bianca è...
-Senti – la interruppe, con tono calmo – questa è la mia ora ricevimento. Non ho voglia di parlare di onomastica, se non ti dispiace.
-Ma mi ascolti, almeno – protestò lei, con un'espressione che si adattava di più ai suoi sedici anni – senta. Lei ha un vero nome. E un nome bello, anche: Emanuele. È biblico, no? E senta che bel suono gentile. E poi ha anche un significato: “Dio è con noi”, l'ho cercato sul Dizionario dei nomipensando proprio a lei. Non è bellissimo? Io sarei fiera di portare un nome come questo. Lei non lo è?
-Non ci ho mai pensato molto. E poi, tutti mi chiamano solo Ema o Lele...
-Anche Camilla?
-Anche Cami...
-Ecco, lo vede che è banale e scontata e superficiale? Stia a sentire. Io mi chiamo Bianca. Come lei ben sa, sì, lo so. Ma Bianca non è un nome. Al posto di un nome, mi hanno dato un aggettivo, se ne rende conto? 'Bianca' è una parete. Mi fa pensare ai muri di casa mia. Le pare? Tutto quello che hanno saputo pensare i miei quando sono nata, è stato un aggettivo. E non era neanche 'Rosa' o ' Celeste' o 'Azzurra' o 'Violetta' o 'Rossella'... 'Melissa' significa 'nera', sarebbe andato bene anche quello. No. Hanno scelto il bianco, che è il colore più vuoto e insignificante di tutti. Quello che non dice niente.
Emanuele ponderò a lungo prima di dirlo.
Conosceva il pericolo che correva, nel dirlo, sapeva che non avrebbe probabilmente dovuto farlo, ma la verità era che voleva dirglielo. Voleva dimostrarle che non era vero nulla, tutto ciò che lei pensava di se stessa.
-Il bianco è il colore che racchiude in sé tutti gli altri come uno scrigno. È la luce assoluta. E ad essere precisi, è diverso da tutti gli altri colori, perché in realtà non lo è nemmeno, un colore.
La guardò negli occhi.
Si aspettava di trovarla spaesata, meravigliata, illuminata sulla verità della sua vita. Un po' più fiduciosa verso se stessa, magari. Ma scoprì che la conosceva ancora troppo poco.
-Questo lo sapevo, prof – sorrise maliziosa – è solo che volevo farglielo dire. L'ha detto in un modo così romantico. Mi ha fatta sembrare speciale.
-Sai bene di esserlo.
-Oh, professore, grazie! Allora le piaccio, almeno un po'.
-Non in quel senso. Sei molto diversa da tutti gli altri studenti, questo sì. Ma non di certo in senso positivo.
Lei non si scompose. Probabilmente era abituata a quel tipo di commenti.
-Siete tutti un po' troppo legati a certi canoni. Solo perché mi vesto un po' provocante e faccio un po' di casino e sono innamorata di un uomo un po' più grande. Lo fanno tutti, prof, sa?
-Sì, ma non a scuola. È il contesto che ti frega, Bianca, altrimenti credimi, saresti come tutti gli altri sedicenni.
Stavolta era certo di colpirla; ma così non fu. Forse non le importava nemmeno dell'anticonformismo. Forse era così soltanto perché qualcosa dentro di lei le ordinava costantemente di dare di matto.
-Allora lo vede che non sono tanto strana come dite tutti? È solo che confondo un po' chi con cosa – fece pensierosa, guardando fuori dalla finestra.
Purtroppo, Bianca non 'confondeva un po' chi con cosa'. Bianca spesso portava al limite della pazienza i professori, non si presentava a scuola, faceva la stupida con i ragazzi, addirittura una volta l'avevano trovata nel bagno dei maschi e dalla fessura sotto la porta il bidello aveva visto le Converse di lui, i tacchi a spillo di lei e le ginocchia sempre di lei, sistemati in fila indiana. Più volte. E nonostante la sospensione.
Nessuno sapeva cosa la spingesse a comportarsi così, tantomeno Emanuele: lei non parlava mai di se stessa. Parlava del suo presunto amore, dei suoi compagni, dei suoi amici fuori da scuola, delle sue avventure a sfondo sessuale, ma i suoi erano sempre e solo racconti; cronache, diari di viaggio senza commento.
Molti professori avevano provato ad estorcerle qualche informazione, probabilmente perché pensavano che vivesse nello scenario di 8 Mile in una roulotte senza bagno assieme a una madre alcolizzata senza nemmeno sapere il nome di suo padre; ma era bastata una breve indagine per sapere che le cose non stavano così. La famiglia era normale, tranquilla, unita, e Bianca conduceva un tenore di vita assolutamente nella norma. E così, la favoletta Dickensiana dell'orfanella abbandonata da tutti era velocemente sfumata, per far spazio a un enorme mare di dubbi.
E dato che sbrogliarli era troppo difficile, era risultato enormemente più facile farla sprofondare in un alternarsi schizofrenico di rimproveri e parole di comprensione, senza mai cercare davvero di sbirciare un po' più in là nell'anima neonata di quella ragazzina.
Ma com'era possibile parlare di anima, quando quella stessa ragazzina si presentava dondolando le anche e chinandosi davanti al suo volto per mostrare il seno dalla camicetta aperta?
Non che ne fosse attratto, ma era tentato piuttosto di portarla dal bidello a farsi pulire via il trucco col mocio per i pavimenti.
-Quindi – riprese Emanuele – ora che abbiamo fatto queste interessanti considerazioni, mi concedi una mezz'ora di lavoro, o vuoi proprio che mi riduca stasera a mezzanotte a correggere le vostre schifezze?
-Si riduca a mezzanotte – ghignò lei – così stasera non avrà tempo per Camillah! - lo pronunciò battendo le ciglia e spalancando gli occhioni già troppo grandi.
-Ho sempre tempo per Camilla – replicò tranquillo – anche se fossero le due di notte.
Bianca tacque. Quando il tempo passato tacendo divenne troppo lungo, Emanuele alzò gli occhi su di lei: e vide che piangeva. Non era una novità; Bianca piangeva spesso. Ma questa volta non capiva perché.
-Che cosa c'è? Ti ha fatto stare male? Mi dispiace, ma è normale che io pensi alla mia ragazza...
-No, no – scosse energicamente la testa, asciugandosi le guance – non è quello. Lei ha detto una cosa bellissima, sa? Non pensavo che gli uomini dicessero cose del genere. Pensavo fossero sempre pronti a tradire, con chiunque e in qualsiasi momento.
-Bella idea ti sei fatta di noi, eh...?
-Ma se ve ne vantate, anche!
-Ti ripeto che a sedici anni...
-Le pare che io parli a caso? - l'interruppe seccamente – Non parlo di sedicenni. Parlo di gente anche più grande di lei. E basta che io apra le gambe perché loro ci sprofondino in mezzo, fidanzata o non fidanzata, moglie o non moglie. Ma lei... lei ha detto una cosa meravigliosa, straordinaria. Camilla è fortunata. Vorrei essere anch'io così fortunata.
-Vorresti avere un ragazzo che ti sia fedele? - Emanuele sorrise; forse si stavano avvicinando alla verità. Era stata una delusione amorosa? - Qualcuno si è comportato male con te?
-No – scosse la testa tra le lacrime – io vorrei lei, professore. Non un altro ragazzo fedele. Lei.
In momenti come quello, le sue più solide certezze sulla superficialità dei sentimenti di Bianca crollavano come castelli di carte. Una tale... devozione, non poteva essere solo un'illusione, o no?
O forse semplicemente Bianca incanalava su di lui dei sentimenti molto forti che però non sapeva come altrimenti chiamare? A sedici anni è sempre tutto enormemente confuso.
E poi pensò, anche a ventinove, però. Anche dopo i ventinove, stando a quanto diceva Bianca, la gente era confusa, e chiamava amore il bisogno, e chiamava bisogno l'abitudine.
E perché Bianca avrebbe dovuto essere più confusa di quanto lo fossero tutti loro?
Come miliardi d'altre volte, non le seppe rispondere. Spiazzato ancora una volta da una ragazzina di sedici anni che gli riversava addosso la crudeltà dei sentimenti nella loro forma più sincera.
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Heavy Cross.
RomanceQuesta storia non è mia. Bianca, con quei suoi capelli rossi e i vestiti succinti. Ribelle, ma estremamente intelligente, impossibile non riconoscerla. É un personaggio incredibile. Emanuele. Comprensivo, altruista, ottimo insegnate, bello, psicolog...