Capitolo 5.

2.2K 45 0
                                    

L'occasione non tardò a presentarsi. Dovette attendere appena il giorno successivo al suo ritorno; non appena riuscì a farsi sbattere fuori, Bianca si presentò, puntuale, nell'ufficio di Emanuele. Arrivò saltellando ed esordì con un vispo “Buongiooorno prof!”.
La osservò mentre trotterellava fino alla sedia e vi si sedeva con un colpo secco, alzando le gambe al punto che, se avesse voluto, avrebbe potuto sbirciare senza problemi di che colore aveva le mutande quella mattina.
-Bianca, se fai così ti si vede tutto – la ammmonì.
-Beh, non è mica un brutto spettacolo, gliel'assicuro. Me lo dicono tutti. Vuole sincerarsene?
-Ci credo sulla parola.
-Aah, prof, mi è così mancato! La posso abbracciare forte? Forte forte forte? Non mi ha mai lasciato abbracciarla, posso per una volta? Posso? Eh?
-Non se ne parla neanche.
-Ah! Fanculo. Non a lei, al destino funesto che ha frapposto la Camillah tra me e lei. Ah, l'amore infelice dei miei sedici anni!
-Vuoi stare ferma un minuto? Mi fai venire il mal di testa.
Bianca continuava a dondolare le gambe, a gesticolare con una mano e con l'altra a tormentarsi i capelli.
-Ferma? Nah, non ho voglia. Ah, sono così felice di rivederla, sono emozionata come una ragazzina al primo appuntamento! Era da tanto che qualcuno non mi faceva battere il cuore, prof.
Si alzò, saltellò fino alla finestra. Il suo sguardo schizzò sulle macchine fuori, poi esaminò per bene la stanza, poi si posò di nuovo su Emanuele, a cui rivolse un enorme sorriso di cuore.
-Bianca, ho parlato con tua madre, un mese fa.
-Cosa? - fece lei, che aveva posato le mani sulle superfici dei due tavoli e ora dondolava le gambe nello spazio dell'intermezzo – Mia mamma? Le ha detto di quella storia di Cappellotto? No, vero? Perché sono ancora qui viva e attiva che parlo con lei, e se avesse saputo di quel discorso di sicuro non sarei qui tutta intera.
-No, non le ho detto niente, perché concordo con te sul fatto che ti ammazzerebbe. E non avrebbe neanche torto. - Bianca intanto dondolava a velocità folle le gambe per aria. - Mi ascolti?
-Sì sì.
-Che ho detto?
-Che rompo i coglioni. Prof, senta, senta, l'ha visto l'ultimo di Woody Allen? Io l'ho trovato un agglomerato di escamotages che non tentano nemmeno di camuffarsi e di stereotipi che il nome prestigioso non riesce a nascondere. E poi, ha capito quel vecchio porco? L'avevo già captato inManhattan che il suo sogno segreto neanche tanto segreto è quello di portarsi a letto una ragazzina profondamente affascinata dalla sua intelligenza eclettica e dal suo umorismo sarcastico e un po' noir, ma credo che questa volta abbia...
-No, Bianca, non l'ho visto.
-Oh, dovrebbe! Mi chiedo perché per non abbia per l'ennesima volta recitato nei panni di se stesso, o di quello che gli piacerebbe essere se fosse un po' più accettabile dal punto di vista estetico. Per di più, cercare di spiegarmi la storia attraverso il protagonista che parla con la telecamera! Bel fallimento nel presupposto dell'intento di comunicazione che è un po' la base del media cinematografico, non trova?
-Ti sei fatta buttare fuori dalla classe?
-Bah, non ne potevo più! Io le avevo capite, le disequazioni fratte. Quelli non ci arrivavano. Non avevo voglia di rimanere lì ferma immobile per altri tre quarti d'ora aspettando che ce la facessero anche loro, che tanto, lo so, non le capiranno mai.
-E quindi, come hai fatto a farti buttare fuori?
-Mi sono fatta sgamare a con l'auricolare nelle orecchie che scuotevo la testa a ritmo di Infinity 2008. Oh, mi piace una vita quella canzone! E nonostante sia da discoteca ha anche un bel testo, a modo suo. Ho voglia di andare in discoteca. Oh, ho voglia di ballare! Prof, balliamo? Facciamo qualcosa assieme?
-Bianca, cos'hai preso?
-Io? Io niente, prof. Pensa che sia una drogata? - chiese con un sorriso inquietante - Pensa che abbia le braccia tutte piene di buchi o che abbia un francobollo sotto la lingua? Vuole provare a controllarmi la lingua, prof?
Se la ritrovò a tre centimetri dal naso. Venne preso dal panico.
-Bianca, ti prego.
-Oook, ok – riprese a saltellare per la stanza, con le braccia dietro la schiena – allora vuole controllarmi le braccia? Vuole vederle? - tornò di fronte a lui e fece per levarsi il maglioncino. Poi scoppiò a ridere davanti al suo pallore improvviso, tirò giù il maglioncino, si chinò su di lui e afferrò l'orlo della sua manica sinistra – Controlliamo? Vuole vedere se mi faccio? - sorrise ancora, si rialzò e gli fece l'occhiolino – Beh, rimarrà col dubbio. Così almeno mi penserà un pochino. E com'è andata con la Camilla, in questo mesetto di assenza mia? Quand'è che vi lasciate? No, scherzo, non glielo augurerei mai. Ma quand'è che viene a fare un giro con me?
-Bianca, fermati un secondo. Che cos'hai?
-Ma niente, prof! Sono solo una ragazzina un po' vivace. Sa com'è, a quell'età, hanno gli ormoni a mille. Eh, ma vedrà che col tempo si darà una calmata... sorrisino di scherno, e poi: è come tutti gli altri, tutti ci diamo una calmata prima o poi. Eh, già. Siccome io non mi calmo gli dà fastidio pensare che io abbia più diritto di loro di comportarmi senza vincoli o freni. Gli dà fastidio vedere il modo in cui mi do il permesso di esprimermi con sincerità, semplicemente perché io sono libera e loro non lo sono. Susanna Kaysen diceva qualcosa del genere. L'ha letto, il libro di Girl, Interrupted? È molto meglio rispetto al film. Più che altro, il film è quasi un'altra storia. La scrittura della Kaysen è così cruda e asettica, l'ho poi ritrovata in quel libro sulla sua patata che...
-Bianca. Una cosa alla volta. Cosa stai cercando di dirmi?
-Mmh – si morse le labbra, i suoi occhi grandi schizzarono qua e là, nel frattempo dondolava le gambe – eh. Boh. Niente. In realtà nessuno di noi lo fa mai, giusto? Non vogliamo mai dirci un granché. Non facciamo altro che riempire milioni di attimi vuoti con film e libri e vernissages e sesso. Non è così, che fanno le persone grandi? Voilà, vede che non sono poi così immatura? E neanche voi siete poi così complicati.
-Bianca.
-Su, basta chiamarmi per nome, mi sembra di essere in classe, la prego. Comunque, tornando a Woody – stavamo parlando dello zio Woody, vero? - ha notato come ama i salotti, i ricevimenti, le esternazioni di cultura postmoderna e in generale l'ambiente borghese intellettualoide? E ha notato come ha preso in giro quelle newyorchesi boho-chic, etno-finto-povero, genio-e-sregolatezza, dedite all'arte e convertite all'ambiguità sessuale e filosofica e ideologica?
-Ti vuoi fermare un momento, Bianca...?
-Mannò, perché? Chiacchieriamo! Mi dica qualcosa. Se non ci fossi io che parlo, il tempo non passerebbe più. Con la Cami come fa? Passa tutto questo tempo a dirle 'Camilla! Camilla! Camilla!' ogni volta che la poverina cerca di fare un po' di conversazione?
-Senti, non sono affari tuoi quello che io e...
-Looo sooo, prof, looo sooo, stavo solo sdrammatizzando. È che qui ci perdiamo in un gomitolo aggrovigliato di parole senza senso quando in realtà io voglio fare sesso con lei e continuiamo a girare attorno a questa verità senza mai concludere nulla. Non la tento almeno un pochino? Almeno una sbirciatina alle tette? Tutti cedono davanti alle tette, avanti. Sarà mica diverso, lei?
-Non mi amavi proprio perché ero diverso...?
-Ma lei non mi ama, quindi non me ne faccio proprio niente della sua diversità a stampo romantico vecchio stile.
-Davvero vorresti che ti amassi?
-Disperatamente, anche se non sembra. Ma sarei curiosa di sapere, se fossimo io e lei, in un motel fuori città, lontani dove non ci vedrebbe nessuno, se non sarebbe almeno un po' tentato di farlo.
-Nemmeno se ci trovassimo in un universo parallelo.
-Sarei capace di cercare il portale per Narnia in tutti gli armadi del mondo, se lei mi promettesse che, una volta arrivati lì dentro, potrei finalmente averla per qualche secondo.
-Non ti farò mai questa promessa.
-Io voglio esserne sicura.
-Prego...?
-Prenoti un motel a nome suo, fuori città. Pago tutto io: stanza, benzina, pranzo e cena. Stiamo un pomeriggio assieme e se non avrà mai, nemmeno per una volta, la tentazione di accarezzarmi il seno – si portò una mano sulla curva dolce e piena del petto – allora io mi arrenderò. Prometto. Non verrò nemmeno più qui a parlare con lei.
-Non se ne parla.
-Allora continuerò a venire qui e a chiederglielo e a riempirle le orecchie di parole senza senso.
-Fa' pure, non ti ascolterò.
-Lo farò con uno diverso ogni giorno. E la sera berrò ancora di più, lo sa che bevo parecchio? No? Bene, ora lo sa, bevo parecchio. Una bottiglia ogni uno o due giorni se ne va, e non di Bacardi Breezer, ma di Keglevich da venticinque gradi: davvero lei vuole che io peggiori? Vuole che il fegato mi esploda in mille pezzi? Vuole che rimanga incinta, prima o poi? O magari che vada con qualcuno di pericoloso che mi violenterà e poi mi infilerà a pezzi nei bidoni della spazzatura?
-Sei proprio stronza a minacciarmi.
-E a lei non costa nulla passare un pomeriggio con me. Non le ho chiesto niente tranne la sua compagnia; quello che fa dipende esclusivamente dalla sua volontà, quindi, se non le andrà di toccarmi, non lo farà e il discorso sarà chiuso.
-E poi mi lascerai in pace?
-Sicuro, la lascerò in pace. Mi vedrà solo in classe e le parlerò solo in occasione delle interrogazioni. Guardando la classe e non i suoi occhi.
-Affare fatto. Il più presto possibile, mi raccomando.
-Prenoti lei quando le è più congeniale – rispose Bianca allegramente – e poi me lo comunichi, così effettuo il pagamento al motel. - Sorrise. - Spero anch'io che sia il più presto possibile.
-Non per i miei stessi motivi, credo – mugugnò Emanuele.
-Oh, lo so. Questa è la misura in cui lei vuole che io mi levi dalle palle – scoppiò a ridere – le farò cambiare idea. Altrimenti amen. Il mare è pieno di pesci, dicono! Arrivederci e buona giornata. E grazie. E le voglio bene. E scusi. E scusi anche alla Camilla. E ora me ne vado, sì, arrivederci.
Emanuele uscì da quella conversazione sfinito, e faticò non poco a trascinarsi attraverso le ultime tre ore di lezione. Poi passò un viaggio in treno terribile; era infastidito da tutto, operai puzzolenti, valige, ristrettezza di spazio, tutto. Tornato a casa si preparò una camomilla e Camilla arrivò poco dopo; quando la vide, non riuscì a trattenersi e un paio di lacrime spuntarono da sotto le palpebre e presero a ballargli sull'iride.
-Amore – esclamò Camilla, gettando la borsa per terra – che succede? Tutto a posto?
-Sì – mormorò – sì. Un po' stanco.
-Che è successo? Ti hanno rimproverato al lavoro?
-... sì – mentì, dopo una breve esitazione – perché secondo loro non ho organizzato per tempo un progetto di uscita didattica.
-E piangi per questo?
-No, perché non ne posso più. C'è troppa gente in una scuola e tu devi avere a che fare con ciascuno di loro. Voglio andarmene da lì. Appena finisce l'anno scolastico strappo il contratto e vado a fare qualcos'altro.
-Amore, mi dispiace tanto. Vieni qui. Andiamo a farci un bel bagno caldo assieme, su. Stasera ti preparo la parmigiana, sei contento? E poi se vuoi andiamo al 

Heavy Cross.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora