Capitolo 10.

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L'aveva lasciata a casa, dopo aver bevuto assieme una tazza di the; aveva cercato di parlarle d'altro, per distoglierla da quei pensieri nei quali l'aveva costretta a immergersi, ma aveva l'impressione che in realtà l'accompagnassero tutto il tempo.
Ne parlò a Camilla; doveva farlo. La salutò abbracciandola teneramente, le disse di sedersi, di preparare un the – un altro the, non importava. Si riunirono in cucina davanti a due tazze con dentro gli infusi di frutti di bosco, rinchiusi nei rispettivi cucchiaini, pronti a liberare i propri sapori nell'acqua che stava bollendo.
A casa sua, quando c'era Camilla, sentiva in continuazione il rumore dell'acqua che bolliva.
E poi il fruscio delizioso dell'acqua che scrosciava nella tazza, assorbendo gli aromi.
-Mi ha raccontato delle cose – spiegò, conciliante – Bianca ha dei seri problemi a casa.
-Il padre che la picchia – annuì Camilla – e la madre.
-Già. Sì, beh. Mi ha detto dell'altro. Pare che la madre non sia completamente a posto con la testa. Prende il valium.
-Lo immaginavo. È sempre nevrotica. È sovraccarica di lavoro e quel municipio è un covo di vipere.
-Aggredisce spesso Bianca, con violenza, la copre di accuse. Il padre le picchia entrambe.
Emanuele abbassò gli occhi. Iniziò a giocherellare con il centrotavola.
-C'è dell'altro...? - chiese Camilla, che lo conosceva molto bene.
-Sì, Camilla, c'è dell'altro – rispose, lentamente – c'è dell'altro. Ma faccio fatica a ripeterlo. Hai presente quelle cose che non vorresti mai sentir dire a un tuo studente...?
-Purtroppo no – mormorò lei, sorseggiando il suo the.
-Già. Naturale. In realtà è perché pensi che non esistano davvero. Pensi che non succeda a una tua alunna che vive ad Altichiero con mamma e papà e può permettersi un iPod nuovo e una PSP.
-Che cos'è successo?
Camilla sembrava solo molto stanca. Sembrava che ascoltasse la storia di Bianca perché lui ci teneva a raccontargliela, ma che in realtà avrebbe preferito fare tutt'altro.
-Il padre usa molestie sessuali su di lei – mormorò – e la confonde così tanto che le fa pensare di essersi inventata tutto.
Questa volta Camilla alzò gli occhi. Nonostante sembrasse odiare Bianca e tutto ciò che la riguardava, questa volta non poté non interessarsi al discorso.
-Ha avuto una crisi di panico, quando sono andato lì – raccontò – mi ha detto che le capita spesso. Che passa intere giornate a piangere, e che a volte non ha nemmeno la forza di fare quello; sta a letto immobile senza pensare a niente, in stato catatonico.
Lei lo guardò, in attesa di ulteriori informazioni. Proseguì.
-Dice che per un certo periodo riesce a dimenticare... ad accantonare. Che per un po' riesce a distrarsi con altre cose. Ma che poi, a volte, le torna in mente tutto ciò che c'è di negativo nella sua vita. E in quei momenti io incomincio a vederla piangere in classe, e chiedermi di andare a casa a dormire.
Camilla aspettò che dicesse dell'altro, ma Emanuele tacque e prese a fissare la fruttiera. Lei prese la parola.
-Succede perché il padre la molesta...? - chiese, con voce roca.
-Succede perché dice di non sentirsi amata. Dice che i genitori non la sopportano, che i coetanei la odiano, che tutto ciò che fa è vuoto e senza significato.
-Capisco – mormorò Camilla. Emanuele si accigliò.
-Capisco? - ripeté, adirato.
-Capisco perché voleva morire – precisò Camilla – so che non si dovrebbe nemmeno pensarlo, ma... si può darle torto? Chi vorrebbe vivere una vita così?
-Alla sua età potrebbe ancora rimediare. Cambiare tutto, andarsene da qui, smetterla di farsi del male da sola. Può fare moltissime cose.
-Non finché ha sedici anni, abita coi genitori ed è iscritta a quella scuola – osservò la sua ragazza, razionale – in questo momento, è bloccata lì dov'è almeno per un altro paio d'anni.
-Devono sembrarle un tempo lunghissimo.
-Perché in effetti lo sono.
Camilla aveva un tono così freddo e distaccato che Emanuele si chiese se stesse davvero parlando con la sua fidanzata; quella dolce, comprensiva, che si preoccupava per lui e per Bianca.
-Ce l'hai con lei? - le chiese all'improvviso – Ce l'hai con lei perché occupa il mio tempo e una parte dei miei pensieri?
Lei abbassò gli occhi.
-Camilla, è così?
-Non posso negarlo – ammise lei, guardandosi le mani.
-Lo sai che ha sedici anni.
-Sì.
-E lo sai che è l'alunna che mi sta più a cuore. Sta a cuore a molti altri, oltre a me. Siamo tutti preoccupati per lei.
-Lo so. Ma oggi era il nostro anniversario. Non dico che non avresti dovuto andare a trovare Bianca, o che avresti dovuto chiedere un permesso e venire a prendermi al lavoro, con un mazzo di rose, per portarmi via in un posto speciale dove saremmo stati soli io e te lontani dal mondo. Mi bastava un bacio questa mattina, e “auguri”. Stasera, magari, un brindisi alla nostra.
Emanuele impallidì. Fece per aprir bocca, ma Camilla continuò.
-Dispiace anche a me per quella ragazzina. Davvero. Mi dispiace. Ma in questo momento non riesco a far altro che pensare alla nostra storia che viene logorata poco alla volta da questa bambina e dai suoi problemi.
-Non sta logorando la nostra storia. Tra di noi va tutto bene. Abbiamo forse mai litigato? Ho avuto delle mancanze nei tuoi confronti?
-No – fece stancamente Camilla – non dico questo. Dico che pensi a lei molto più di quanto pensi a me. Ti sei innamorato di quella ragazzina...?
-Cristo, Camilla, no – sbottò indignato, scattando in piedi – stai per caso scherzando? Non sono come quel pedofilo di suo padre. Non sono innamorato di una bambina che potrebbe essere mia figlia.
-No, non potrebbe. Al massimo potresti essere suo fratello.
-Ma di cosa mi stai accusando?! Mi credi capace di una cosa simile? E tu saresti quella che mi ama...?
-Lo vedi? Ora stiamo litigando. E tutto a causa di Bianca.
-Camilla, mi ci hai intrappolato tu, in questo giochetto!
-No, ti ci ha intrappolato lei. È questo che tu non hai capito. Lei ha intuito che tu la seguirai ovunque, e quindi ti porta dove vuole. Hai delle prove, che suo padre l'abbia molestata...?
Emanuele spalancò gli occhi.
-Camilla, stai scherzando? Mi meraviglio che tu, come donna, faccia un'insinuazione del genere.
-Sono solo molto stanca. - Sugli occhi di Camilla spuntarono due grosse lacrime brillanti. - Sono stanca di questa storia. E ora sto anche facendo la parte della cattiva. Tutto quello che voglio è che quella ragazza stia lontana da te e la smetta di tormentarti, vorrei solo la vita tranquilla che avevo prima, e invece... invece finisco col recitare il ruolo della strega. Eppure – si asciugò le lacrime, ma ne nacquero di nuove sugli angoli dei suoi occhi – eppure ho sempre cercato di capirci qualcosa. Di dare una mano. Di starti vicino senza lamentarmi. E ora guarda, guarda cos'è successo.
Emanuele si alzò e si avvicinò a lei; l'abbracciò, dispiaciuto.
-Non volevo dire che sei cattiva – sussurrò – non lo penso. Ero solo agitato.
-Sono agitata anch'io – gemette Camilla – ho paura. Ho paura che rovini la vita che abbiamo creato assieme, che tu dedichi a lei le tue giornate e i tuoi pensieri, e ti faccia trascinare da tutta quella tristezza. Io rivoglio il mio fidanzato. Rivoglio la mia felicità, rivoglio anche la tua – iniziò a singhiozzare, con la stessa spontaneità di una bambina sperduta. L'abbracciò ancora più forte.
Due donne durante quel pomeriggio aveva abbracciato piangendo. Entrambe lo tiravano dalla propria parte, chiedendogli di rinunciare all'altra, sostenendo che fosse l'unico modo per porre finalmente fine alle loro sofferenze.
Non voleva abbandonare nessuna delle due, ma sapeva che, un giorno o l'altro, si sarebbe trovato di fronte a una scelta, e che tutto il tempo in cui avrebbe temporeggiato sarebbe stato costellato di liti, lacrime e abbracci colmi di struggente disperazione.

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