Capitolo 19 | Le riflessioni del giovane detective

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L'idea di Denise, in fondo, non era stata poi così malvagia. Certo, alloggiare nell'ala semi abbandonata di un castello in cui un pazzo omicida aveva continuato a perpetrare crimini fino a pochi minuti prima era a dir poco inquietante, ma tutti noi avevamo bisogno di un po' di riposo e no, nessuno di noi era in grado di viaggiare per ore striminziti in un mezzo di trasporto. Senza contare che tutte le nostre auto erano fuori uso e che l'indomani avremmo dovuto chiamare qualcuno per riuscire ad andarcene da lì. Fare i criminali stanca, ma combatterli molto di più. Posso essere completamente onesto? Non ero in forma, non lo ero per niente. Avvertivo lancinanti fastidi alla schiena, frutto della caduta plastica che feci per trascinare Denise dalla zona in cui era poi esplosa la bomba al plastico. Avevo fame e anche sete, non sentivo le gambe e i miei nervi erano in tensione pura. Mi trasformai nell'erede di Al Pacino e iniziai a rassicurare tutti che stavo bene adducendo scuse sul come non avessi bisogno di niente e che volessi solo rimanere solo. Una grande prova di recitazione, proprio come quella del noto interprete italo americano, che – ne sono sicuro – avrebbe apprezzato lo sforzo di fingere, se fosse stato lì.

L'altra ala del castello di Belysning era sorprendentemente differente da quelle visitate in precedenza. Lussuosa, luminosa, dotata di ogni comfort possibile, dava la piacevole impressione di essere stato, tempo prima, un soggiorno richiamante un albergo a cinque stelle. Accedemmo a quella parte del castello tramite una scala esterna situata sul retro della struttura: aveva una decina di gradini e in cima recava una porticina in pietra che facemmo parecchia fatica ad aprire. Una volta entrati ci ritrovammo di fronte un minuscolo ingresso illuminato da luci soffuse; vi erano due o tre mobiletti con su vari telefoni fissi, block notes per prendere appunti e penne stilografiche che sembravano uscite direttamente dagli uffici di importanti ed influenti notai.

L'altra porta, quella in fondo al corridoio, dava su un soggiorno sfarzoso. C'erano due enormi tavoli quadrati, uno bianco, l'altro nero; ritratti che sembravano costare un occhio della testa erano appesi alle pareti giallo canarino; mi colpii una raffigurazione per niente scontata di Zeus: la nota figura greca era dipinta in procinto di arrabbiarsi, con una posa stracolma di ira e sottili venature di spessore evidenziavano il suo stato d'animo quasi come se pulsassero al di sotto della pelle scintillante del quadro. Lo contemplai per un po', osservando quanto fosse stato bravo l'artista. Il pavimento era in marmo e sembrava essere stato lucidato da poco. Sul lato ovest della stanza, affisso al muro, c'era un enorme televisore a schermo piatto dinanzi al quale sostava un divano bordeaux di pelle che avrebbe potuto ospitare l'intera dinastia dei Kennedy per una foto di famiglia. Più a destra, proprio vicino ad un vecchio jukebox, vedemmo un piano bar dalla forma circolare che ricordava vagamente quelli presenti nei casinò di Las Vegas. Flavio diede un'occhiata al di là del bancone e notò centinaia di bottiglie diverse dai liquidi ambrati.

«Questo è il paradiso della bevuta» sussurrò emozionato.

Jacopo gli diede una pacca sulla spalla. «Sei in servizio, Flavio».

«Al diavolo il servizio. Il criminale è stato catturato, no? Io ci bevo su».

Luana e Denise emisero un risolino impercettibile.

Verso sinistra c'erano altre tre porte. La prima conduceva ad un corridoio stretto e luminoso ospitante dieci minuscole camere da letto dotate di bagno personale; la seconda conduceva in un'area relax dotata di piscina riscaldata, tavolo da biliardo e quant'altro; la terza, l'ultima, dava libero accesso all'esterno della struttura e disegnava di fronte agli occhi dei visitatori un giardino ben lontano da quello da cui eravamo provenuti. Curato in ogni piccolo dettaglio, quel piccolo angolo di paradiso aveva lampioncini che illuminavano a sprazzi l'intero perimetro, panchine in ferro battuto dall'aspetto vissuto, piccoli sentieri in pietra che conducevano di fronte ad un piccolo orto tenuto in maniera impeccabile e un portico in legno che iniziava da due pali laccati e proseguiva con trame intricate che si ergevano al di sopra delle nostre teste.

Gli occhi del buio ||| Alex Fedele - The Red Thread Saga ||| Stagione 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora