7.

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Plic.

Plic.

Plic.


Il rumore del rubinetto che perdeva gli faceva da sottofondo, lo cullava e lo aiutava a camuffare i singhiozzi mentre rannicchiato su se stesso in un angolo del bagno cercava di riprendersi.

Era tornato a casa da poco dall'asilo, dove il papà era venuto a prenderlo e aveva parlato con la maestra che oltre ad avvisarlo dell'imminente festa primaverile che si sarebbe tenuta proprio a scuola, gli aveva detto del litigio avuto quella stessa mattina con Zayn, un suo compagno, per chi dei due dovesse andare per primo sull'altalena, finito con uno con un occhio gonfio e l'altro con le ginocchia sbucciate.

Litigi da bambini, nulla di grave, aveva detto la maestra al suo papà, ma mi è sembrato opportuno e doveroso avvisarla.

Per questo era ancora seduto a terra che cercava di capire perché, se era stato solo un litigio da bambini, il suo papà gli aveva dato così tanti ceffoni.


Plic.

Plic.

Plic.


Sempre il solito rubinetto difettoso a fargli compagnia e ancora una volta rannicchiato su se stesso in quell'angolo del piccolo bagno di casa.

Le immagini non erano nitide, stava tremando come una foglia perché il suo papà se l'era appena presa con lui per il suo continuo piangere e chiamare la mamma. Non gli era sembrata una cosa così grave quella di volere la mamma, d'altra parte semplicemente gli mancava dato che era tutto il giorno che non la vedeva e non era proprio riuscito a fermare il pianto. Pensava fosse una cosa abbastanza normale, in fin dei conti era piccolo. Eppure no, così facendo aveva fatto arrabbiare il papà e lui l'aveva punito.


Plic.

Plic.

Plic.


Questa volta in bagno ci si era rifugiato non appena aveva sentito il suo papà urlare a gran voce il suo nome. Era diverso dal solito, gli sembrava facesse quasi fatica a parlare e il tono era decisamente strano e indescrivibile per lui che ancora non capiva tante cose.

La mamma non era a casa e lui non sapendo dove andare, spaventato, era corso come un fulmine a nascondersi proprio li, cercando di non fare il minimo rumore. Ma non era bastato. Il suo papà l'aveva chiamato un altro paio di volte prima di aprire con un colpo secco la porta del bagno e fermarsi poi sull'uscio sorridendo vittorioso nel trovarlo li dentro. Traballava, faceva fatica a stare fermo e per questo, forse, si era appoggiato con la schiena allo stipite della porta mentre continuava ad osservarlo in silenzio.

Non aveva fatto niente, si era comportato bene, eppure lui aveva paura, tanta, tantissima paura.

Continuava a starsene li, con le gambe raccolte al petto e trattenendo il respiro mentre l'omone davanti ai suoi occhi iniziava ad aprirsi e sfilarsi la cintura dei pantaloni lasciandolo confuso. Non capiva, era ancora un piccolo bambino che viveva di favole, sogni e ingenuità.

Poi era successo tutto in un attimo: il suo papà l'aveva afferrato per un braccio e l'aveva tirato fuori dal suo 'angolo sicuro' strattonandolo un po' per poi iniziare a colpirlo con la cintura che si era appena sfilato. Faceva tremendamente male, ma non poteva piangere perché l'avrebbe fatto arrabbiare ancora di più e allora chissà cosa sarebbe potuto succedere.

Ad ogni colpo che si infrangeva sul suo corpo in cuor suo lo pregava di fermarsi.

Ad ogni colpo che si infrangeva sul suo corpo dentro di se chiamava la sua mamma.

Even when life gets hard, it'll be alright || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora