Capitolo 10

3 0 0
                                    

23 Marzo, ore 11:00, paludi di Erha

Quelle paludi erano maledettamente puzzolenti, estremamente grandi e difficili da percorrere: l'ambiente circostante era silenzioso e inquietante, i soldati erano sempre attenti a tutto ciò che avevano intorno: la vista, l'udito e l'olfatto erano vigili. Stavano camminando nel fango e gli stivali erano completamente zuppi, l'aria era molto umida e molti di loro erano sudati e stanchi: non si erano fermati neanche durante la notte. Il Capitano superò un tronco di albero caduto in mezzo alla palude e si sedette su un masso per bere qualche goccio di rum.

“Non vedo l'ora di uscire da questo letamaio”, sussurrò Garcia alzando la gamba destra inzuppata di fango. Era divenuto complicato avanzare senza 

alcun problema, quel fango appesantiva le gambe e la stanchezza non mancava di certo. “Tra qualche minuto ne saremo fuori, dobbiamo arrivare laggiù, vicino alla foresta.” Rispose il Capitano, era stanco anche lui, ma dovevano tenere duro, stare vigili e fare il più silenzio possibile per non attirare eventuali nemici. Erano in territorio nemico e qualsiasi passo falso avessero fatto, li avrebbe portati alla morte. Anna si era svegliata qualche ora prima, ritrovatasi in braccio a Tennessee. Lo aveva evitato per quasi tutto il viaggio, cercando di parlarci il meno possibile. Si rimisero in cammino, quando Tennessee si avvicinò ad Anna per parlarle: “Come stai?
“Bene, sono in forze, rispetto a tutti voi.”

“Già...Io posso resistere ancora fino a stasera.” Anna rimase in silenzio, era decisa a rompere quella conversazione, non voleva attaccarsi troppo a lui, soprattutto nelle condizioni in cui erano. Tennessee si accorse dello strano umore di Anna e poteva capirla, dopo tutto quello che avevano passato. “Anna...Stai bene?”

“Ho detto che sto bene.”

“Ti vedo, piccoletta. Sei sfinita.”

Anna si voltò verso il suo compagno: “Samuel, vorrei dimenticare quello che è successo fra di noi. Non possiamo permetterci una cosa simile, se ci scoprono ci dividono e se non lo scoprono, potrebbe dividerci la guerra...”

“Non dirlo.”

“E' la verità. Vorrei con tutto il cuore che non fosse così. Io non mi aspetto di tornare a casa.”

“E' due anni che faccio la guerra e se non sono ancora morto, vuol dire che qualche speranza ancora c'è.”

“Ehi, smettetela di parlare, se ci sentono sono cazzi nostri!”, sussurrò Smith infastidito. Quel brusio di voci poteva risvegliare chissà quale animale in letargo e tutto sommato, il sussurrare in un luogo tranquillo come quello, era come gridare. Si fermarono all'inizio della foresta, controllarono che non ci fosse nessuno a spiarli e si rimisero in marcia. L'angoscia stava divenendo 

schiacciante. Ad ogni passo temevano di ricadere su una mina, oppure avevano paura di qualche proiettile che trapassasse loro il torace. Il silenzio aumentava sempre di più, man mano che proseguivano e soltanto il rumore leggero del vento ed i loro respiri erano udibili. I cuori battevano ferocemente ad ogni passo, le gambe tremavano e nessuno di loro si accorse che si erano raggruppati come dei bambini indifesi davanti ad una maestra arrabbiata. 

Anna guardava intorno a sé come un aquila che cerca cibo; ripeteva, con un filo di voce, Il Padre Nostro, la preghiera cristiana. Martinez era quello più spaventato, la pausa che non era stata fatta aveva infierito molto su di lui, si considerava molto fortunato a non essere ancora morto ed ora aveva terribilmente paura. Si muoveva lentamente e con il cuore in gola: chiunque gli avesse toccato il petto avrebbe sentito il cuore quasi fuoriuscire. Arrivarono ad un piccolo ruscello che si riversava nella palude pochi chilometri più indietro e si misero in ginocchio per bere. Anna e Martinez controllavano la zona, con il cuore in gola. Non c'era assolutamente nulla, tutto vuoto, tutto tranquillo. Anna si sedette e prese, dalla tasca, la foto che aveva preso a Deborah poco prima di morire. La osservò e pianse davanti ad essa, desiderando andarsene con lei. Anche Garcia si mise a terra a piangere, mentre tutti rimasero in silenzio ad aspettare che i due si fossero ripresi. Il Capitano prese la cartina e indicò al sergente il punto in cui dovevano arrivare. “Qui ci saranno due fronti, il nostro che non è controllato quasi per niente, quello loro che è pieno di cecchini. Dobbiamo trovare un modo per farli fuori tutti”, spiego Barley. Il sergente prese del rum, bevve lentamente e rispose: “Io credo che ci faranno fuori tutti. Metti una fila di cecchini con dei deficienti come noi che vogliamo attraversarla?” Il Capitano scosse la testa, rimanendo a pensare e a formulare un piano che avrebbe funzionato. Era difficile, ma doveva pensarci. “Arriveremo fra due ore, quindi dammi il tempo di pensarci, la pausa pranzo non la facciamo, mangiamo in cammino.”

FratelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora