8. MACERIE DI SANGUE PT. I
“There’s a devil inside of me,
and he’s holding on
and I don’t know if he’s staying or for how long.
Polling at my heart strings,
Kicking in my mind
And I’m so sad to say he’s got me thinking about the bad parts of my life.”
(Devil inside me, Frank Carter & The Rattlesnakes)Il giorno dopo.
Tommy avrebbe voluto tendere la mano e prendere la bottiglia di whiskey che Johnny gli aveva fatto recapitare la sera prima. Si era svegliato che pioveva ancora a dirotto, il cielo era un manto grigio scuro solcato da nuvoloni neri minacciosi. La testa gli doleva, le tempie pulsavano, e le cicatrici gli prudevano. Amabel dormiva serena, i capelli castani sparpagliati sul cuscino come fili di bronzo. Si era svegliato di soprassalto nel cuore della notte con il frastuono della guerra nella testa. Sua moglie, troppo stanca, non si era accorta di niente e lui si era stretto a lei per cercare un rifugio sicuro. Solo all’alba la sua mente sembrava essersi quietata, così era riuscito a riprendere il controllo della situazione ma aveva abbandonato la speranza del sonno.
“Thomas.” Mugugnò Amabel, affondando la guancia nel cuscino.
Tommy, seduto sul bordo del letto, si voltò per salutarla.
“Buongiorno.”
Amabel si accorse subito che qualcosa non andava, suo marito era pallido e due cerchi neri gli deturpavano gli occhi. Gli accarezzò la nuca dolcemente.
“Stai bene?”
“Sto bene. Mi danno solo fastidio queste cicatrici del cazzo.”
“Lo sai che è colpa della pioggia che stuzzica il tessuto cicatriziale.”
Tommy abbozzò un mezzo sorriso, era confortante sapere che sua moglie avrebbe sempre avuto una spiegazione medica.
“Lo so.”
Amabel si sollevò per baciargli la spalla dove figurava una brutta cicatrice frastagliata.
“Lascia che sia io a prendermi cura di te.”
Tommy tornò a sdraiarsi, il lenzuolo copriva appena la sua nudità, e Amabel si meravigliò per la centesima volta della bellezza di quel corpo marmoreo.
“Nella mia fottuta testa c’è qualcosa che non va. La guerra non mi dà pace.”
Amabel baciò una piccola cicatrice sul bicipite destro, la sua bocca era calda sulla pelle fredda di lui. Scese a baciare le altre cicatrici sul petto e sull’addome, mentre con la mano gli dava tenere carezze.
“Potremmo provare a vedere un medico. So che a Londra c’è un terapeuta esperto di stress post traumatico. Lo so che questa opzione non ti piace, ma potrebbe essere la soluzione che ci serve.”
Tommy le rivolse un’occhiata confusa.
“Ci serve? A te non serve mica uno strizzacervelli.”
“Invece sì. – disse Amabel – Io sono al tuo fianco in ogni cosa che fai. Anche io mi porto dietro il trauma della guerra e della perdita di mio figlio. Il fatto che io sorrida sempre non vuol dire che sto bene. Nessuno di noi è tornato dalla Francia. Siamo tutti morti in quel fango e in quel sangue.”
Tommy ricordava la prima volta che aveva conosciuto Amabel, all’epoca era una ventenne che si faceva spazio nel mondo degli adulti e soprattutto una donna che si faceva spazio nel mondo degli uomini. Era giovane, piena di speranze ed era innocente. Sebbene fosse pura, Amabel si era dimostrata forte sin da subito. Lei non vacillava mai, era determinata, era testarda e tutti pensavano che una così non potesse essere vulnerabile ma Tommy aveva capito che Amabel aveva solo imparato a seppellire il dolore e lo faceva in maniera straordinaria.
“Pensi che un medico possa davvero aiutarci?”
“Sì, Thomas. La sofferenza forse non andrà via, ma noi staremo un pochino meglio.”
Tommy chiuse gli occhi e l’abbracciò per ricavare consolazione da quelle braccia. Oltre alla sua famiglia, solo Amabel aveva conosciuto Thomas. Il vero Thomas. Il ragazzo malizioso, divertente, sempre pronto allo scherzo, quello romantico e spensierato. Ed era stanco di Tommy, l’uomo oberato dalle responsabilità, il criminale, l’assassino, e il suo unico desiderio era quello di vivere finalmente libero.
“Aiutami, Bel.”
Amabel se lo strinse al petto e gli baciò la testa, il mix di alcol e fumo impregnava le lenzuola.
“Ci penso io a te.”Finn scese in cucina con un sorriso radioso che avrebbe illuminato tutta Londra.
“Buongiorno, signor Shelby. Cosa gradite per colazione?” domandò la signora Miles.
Diana, seduta a capotavola, nascondeva un sorrisetto dietro la tazza di the.
“Prendo una fetta di crostata.”
Jalia si era svegliata alle sei per preparare la crostata di mele – una sua specialità – ed era contenta che tutti ne avessero preso una fetta.
“Com’è? Ci ho aggiunto un pizzico di vaniglia.”
“Ottima.” Rispose Diana, che piluccava il dolce con la forchettina.
Al contrario, Finn stava già divorando la seconda fetta ricoprendosi di briciole.
“E’ buonissima.”
“Finn, sei tutto sporco. Sei proprio un bambino!”
Diana si protese sul tavolo per pulire la bocca di Finn col tovagliolo. Erano così vicini che il profumo della ragazza lo inebriava. Finn fissò le labbra di Diana e dovette reprimere l’impulso di baciarla.
“Buongiorno, gente!” strillò Milos entrando in cucina con un enorme mazzo di fiori.
La signora Miles storse il naso perché era allergica alle primule.
“E quelli da dove vengono?”
Milos poggiò i fiori sul tavolo e scoccò un bacio sulla guancia di Diana.
“Sono uscito per comprare questi fiori a Diana. Un bel mazzo per una bella ragazza.”
Jalia inarcò le sopracciglia, quel ragazzo non le stava per niente simpatico.
“Hai rubato le primule dal parco qui vicino? Sono le stesse che ho visto la settimana scorsa. Inoltre, la carta è tutta rovinata.”
Finn rise e quasi si soffocò con la crostata, e la signora Miles gli diede dei colpetti sulla schiena per farlo ingoiare.
“Comprare, rubare, che differenza sottile!” disse Milos con nonchalance.
“Bene. – disse Diana – Milos, va a rimettere le primule al loro posto. Non vorrei mare un mazzo di fiori sulla coscienza. Lo faresti per me?”
Milos gonfiò il petto come un gallo, persuaso dallo sguardo dolce di Diana.
“Farei di tutto per te, mia bella signorina.”
Quando Milos uscì di casa con le primule sotto braccio, Diana fece cenno a Finn di seguirla.
“Io e Finn andiamo ad esercitarci al pianoforte.”
“Da quando Finn suona?” chiese Jalia, la fronte corrugata.
La signora Miles sospirò e scosse la testa.
“Quei due non stanno andando a suonare, fidati.”
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Red right hand 3 || Tommy Shelby
FanfictionErnest Hemingway ha scritto "ma noi non eravamo mai soli e non avevamo paura quando eravamo insieme''. Thomas e Amabel si sono ritrovati dopo la Guerra, dopo anni di lontananza, dopo le difficoltà che hanno dovuto affrontare. Insieme non devono più...