52. Come una lunga sciarpa di seta svolazzante

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Due ore dopo il decollo del volo 311 della Thai Air da Bangkok a Kathmandu, mi alzai dal mio posto per dirigermi verso la coda dell'apparecchio. Vicino alla fila di toilette sul lato di tribordo, mi accovacciai per scrutare attraverso un finestrino all'altezza della cintola, nella speranza di intravedere le montagne. Non restai deluso: laggiù all'orizzonte si stagliavano nel cielo gli incisivi aguzzi dell'Himalaya. Rimasi al finestrino per tutto il resto del volo, in trance, accovacciato su un sacco di plastica pieno di rifiuti, lattine vuote di acqua tonica e pasti consumati a metà, con il viso schiacciato contro il plexiglas freddo.
Riconobbi subito l'enorme mole massiccia del Kangchenjunga, la terza vetta del mondo in ordine di altezza con i suoi 8.586 metri sopra il livello del mare. Un quarto d'ora dopo avvistai il Makalu, la quinta vetta del mondo, e poi, finalmente, il profilo inconfondibile dell'Everest.
Il cuneo nero come l'inchiostro della piramide superiore si stagliava contro il cielo quasi in rilievo, dominando dall'alto i monti circostanti. Proiettandosi verso l'alto con la corrente a getto, la montagna apriva uno squarcio visibile nell'uragano che soffiava alla velocità di 120 nodi, sprigionando un pennacchio di cristalli di ghiaccio che si allungava a oriente come una lunga sciarpa di seta svolazzante. Mentre fissavo quella scia di condensazione nel cielo, mi venne in mente che la cima dell'Everest si trovava esattamente alla stessa altezza del jet pressurizzato che mi trasportava attraverso il cielo. L'idea che mi accingevo a salire fino alla quota di crociera di un Airbus 300 mi sembra in quel momento assurda, o peggio. Avevo il palmo delle mani umido di sudore.

(Aria sottile, Jon Krakauer)

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