In un’epoca di conflitti e tumulti, era inevitabile pensare come l'educazione dei giovani fosse influenzata fin dalla tenera età da elementi prettamente di carattere bellico.
Il corso di studi dei bambini cominciava all'età di tre anni, con l'adesione obbligatoria alla scuola materna; successivamente, dopo due anni di frequentazione, si passava all'istituto superiore infantile, il quale prevedeva un percorso complessivo di sei pentamestri. Al termine di ciò, i giovani dovevano iscriversi all'istituto superiore medio e, in seguito ai quattro semestri di frequentazione previsti, successivamente potevano liberamente decidere se prendere parte ad un istituto superiore finale, dove si studiavano differenti materie a seconda dell'indirizzo selezionato.
La persuasione verso il cammino militare partiva dai più teneri ed innocui atti: i giocattoli. Pensare che i bambini giocassero principalmente con soldatini potrebbe sembrare un elemento del tutto normale, ma per quella era simboleggiava un precoce rapporto di crescita per l'individuo. Ma per spremere ulteriormente i neuroni e le meningi dei bambini, veniva adoperato il gioco di tattica per eccellenza, gli scacchi.
Mettere tutto in gioco significava rischiare tutto pur di ottenere la vittoria: questo era il senso di quella serie di mosse strategiche guidate della mente umana. Eppure, se avessero voluto dare una idea corretta della propria visione della guerra, avrebbero dovuto insegnare i valori bellici – sempre se fossero esistiti – ai giovani, non permettendo che essi ne acquisissero alcuni tralasciandone altri.
Sotto questo punto di vista, la realtà era molto triste; quel tanto agognato gioco, in realtà, distorceva le menti bambinesche e le portava su un cammino cupo e cruento. In che modo? Bastava rifletterci. Lo scopo principale dietro tutte quelle tattiche era eliminare il re avversario e non ci si faceva alcun tipo di problema a sacrificare una unità per volta per raggiungere il risultato sperato.
Ma la domanda era: dunque, in guerra non esistevano uomini uguali e liberi? Ci piacerebbe molto poter dire di sì, ma la verità veniva servita su un piatto nero e freddo. Nero perché questo colore assorbiva ogni emozione distruggendola completamente, freddo poiché un cuore di ghiaccio non poteva essere scaldato da alcuna parola o azione.
Purtroppo, non esistevano uomini e donne dotati di stessi valore e libertà: l'essere umano aveva creato sin dai tempi delle gerarchie sociali, dato prezzo materiale a pezzi di carta, indicato come propri sovrani i più forti per evitare che essi potessero prendere il sopravvento. In poche parole, tutto era un nesso psicologico. Le congetture dell'animo terrestre erano fili di ferro che si collegavano per mezzo di fasce di stoffa. Erano di ferro, ma erano pur sempre dei fili, semplici e vuoti fili.
Non si sarebbe mai parlato di pergamene, di documenti che testimoniavano l'evoluzione umana, ma di comunissimi fili.
La durezza del metallo poteva sempre variare ed aumentare, ma la sostanza rimaneva sempre la tessa. Le fasce di stoffa erano ciò che ognuno nel profondo tendeva sempre ad occultare, seppur inconsciamente, la sensibilità. Staccarsi da un pensiero diffuso significava allontanarsi dalla massa, prendere una propria posizione.
Bisognava essere sinceri con se stessi: avevano veramente il coraggio di esprimere le proprie idee in modo coerente ed unitario? No e non lo avrebbero mai posseduto.
In quei casi, toccava conformarsi, almeno per finta, al pensiero diffuso e portare avanti una filosofia autonoma. Eppure, si diventava un mostro, facendo finta di esserlo per anni ed anni. Sopportare il peso di avere una personalità bivalente era troppo grande.
Le congetture sarebbero venute meno, i fili spezzati e le fasce strappate. Essere se stessi significava mancanza di carattere, siccome il proprio “io” diveniva lo specchio della bocca della massa. Pensare come una singola frase potesse influenzare l'immaginario collettivo per molti era una impresa ardua, nella quale non si sarebbero nemmeno cimentati se ne avessero avuto la possibilità.
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TOD: Atto I - Shadow may come.
FantasyCorreva l'anno 828 nell'impero derundiano. Diventare un cavaliere non era solo un obiettivo per i giovani imperiali: rappresentava una vera e propria evoluzione mentale. Qui, in tale contesto politico e sociale, si articolò la figura di un fanciullo...