Aureus amava andare a caccia ogni domenica mattina verso le 9:30: rischiava ogni volta la sua vita, siccome cacciava spesso orsi ed alci, ma non si era mai sentito intimorito, anzi, in un certo senso, tutto questo parlar di morte lo faceva sentire vivo, quasi come se non provasse paura per un'eventuale fine che sarebbe potuta giungere da un momento all'altro... o almeno ciò era quello che voleva fare intendere a tutti coloro i quali gli stessero intorno.
Egli era vissuto quasi interamente da solo, con soltanto laiuto da parte di suo zio Felix, un abile fabbro che abitava le campagne situate nella periferia di Ascaloth, quasi al confine con il regno di Vexilius.
Ad Aureus non piaceva per niente la vita che conducevano i nobili aristocratici delle grandi città di Derundas: loro potevano avere tutto ciò che desiderassero quando gli pareva, lui invece non era così; apprezzava l'idea di combattere per ciò che voleva, ottenerlo senza dover far alcuna fatica non era mai stato nel suo stile. Forse odiava che qualcuno al mondo avesse avuto più fortuna di lui, che qualcuno potesse avere tutto senza sforzo a differenza sua, che doveva lottare sempre per qualsiasi cosa in ogni occasione. Il ragazzo, però, non provava alcun tipo di repulsione verso il suo vissuto, al contrario, adorava parlarne: trascorreva qualsivoglia giorno come se potesse essere l'ultimo; gli piaceva molto fare nuove conoscenze, ubriacarsi ed andare a dormire sempre con una donna diversa.
Insomma, Aureus non era certo un santo, eppure aveva qualcosa nel suo modo di fare che intrigava chiunque gli stesse vicino: magari era semplicemente la sua ingenuità da campagnolo – alquanto ignorante, oserei dire – oppure, in maniera molto più concreta, ci sapeva fare con le persone. Nonostante la sua grande socievolezza, detestava essere schernito o provocato: sin da quando era più piccolo, aveva cominciato ad essere preso in giro dai più grandi per i suoi modi di fare; spesso quelle situazioni finivano con battibecchi nei quali se ne dicevano di tutti i colori o, a volte, addirittura con una scazzottata dalla quale Aureus, nel più dei casi, usciva vincitore. Aveva cominciato a vivere realmente nella foresta: pronunciava periodicamente una frase alquanto simbolica: nelle scuole si impara a vivere, nella foresta si impara a sopravvivere.
In un certo senso, questo periodo rispecchiava la sua filosofia di vita, non perché lui non fosse mai andato a scuola, ma per una ragione più complessa: in quell'enunciato, i termini "scuola" e "foresta" avevano un significato metaforico; per scuola egli intendeva tutte quelle situazioni nelle quali si avesse una sorta di maestro, una guida che ci potesse condurre verso la strada giusta, mentre una foresta ne era l'esatto opposto...
Aureus aveva passato la sua intera vita in un'enorme foresta dalla quale non riusciva a fuggire, ma, ritrovandosi per anni nello stesso luogo senza uscirne mai, allora ci si sarebbe abituato e quel regno verde sarebbe divenuto la sua casa: così era stato per quel giovane campagnolo.
Eppure, quel cacciatore diciassettenne aveva un sogno nel cassetto che non sposava del tutto gli ideali da lupo solitario che aveva adottato: il suo più grande obiettivo consisteva nel diventare un cavaliere al servizio dell'esercito imperiale: era molto abile nel combattimento, sapeva sempre cosa fare e come contrattaccare, tuttavia, a volte, risultava troppo sicuro di se stesso ed anche piuttosto arrogante.
Tutto ciò che sapeva lo aveva appreso non con la scherma, arte che praticavano giovani di famiglie più agiate, ma con la caccia: era il suo hobby o forse l'unica cosa che potesse farlo minimamente divertire. Gli piaceva avere una preda da dover catturare, si sentiva come se avesse sempre un nuovo trofeo da raggiungere ad una collezione immaginaria. Ma spesso non era lui ad interpretare la parte del cacciatore: gli capitava talvolta di avere confronti con bestie che fossero veramente pericolose; incredibilmente riusciva sempre ad uscirne indenne. Effettivamente, il fatto che avesse così tanta sicurezza in sé da farla sfociare in arroganza aveva delle motivazioni: un adolescente che riusciva cacciare qualsiasi tipo di animale e che non aveva rivali nell'arte del combattimento – o almeno limitatamente alla sua zona – non era un ragazzo come gli altri. Come gli si poteva, dunque, dar torto?
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TOD: Atto I - Shadow may come.
FantasiCorreva l'anno 828 nell'impero derundiano. Diventare un cavaliere non era solo un obiettivo per i giovani imperiali: rappresentava una vera e propria evoluzione mentale. Qui, in tale contesto politico e sociale, si articolò la figura di un fanciullo...