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"Salerno era soffocante, chi la conosce per bene, chi ci ha vissuto sin da piccolo senza mai stancarsi, direbbe che è straziante. Sia d'estate che d'inverno, la brezza marina faceva da compagnia ai cuori solitari, come il mio, amavo il mare. La mia finestrella s'affacciava su una delle tante spiagge, ogni sera ci scrivevo su quel mare, sapeva prendermi ed io con esso perdermi. Mi faceva compagnia un po' tutto, la mattina c'era l'alba, poi per il tramonto ero già a casa, era come se lui m'aspettasse, e alla fine c'era la notte a volte tristemente nuvolosa, altre veniva accompagnata da quelle stelle, che la mia sorellina amava chiamare glitter."

Chiusi immediatamente quel pezzo di carta, che chiamavo diario e restai quasi a bocca aperta, scoprendo che ormai le ore fossero passate ed era abbastanza tardi. Il domani ormai mi aspettava, la routine doveva nuovamente iniziare, ed ero letteralmente piena; che si parlava d'università o di accompagnare Clara praticamente ovunque, tra scuola, danza e dottori vari, mi aspettava il lavoro alla caffetteria, la casa da sistemare... insomma praticamente tutto.

Decisi così di lasciarmi trasportare tranquillamente dalla mia mente, nei posti più bui e di addormentarmi con gli auricolari appiccicati nelle orecchie, con la musica a pompa che faceva quasi da cuore, visto che il mio, quasi quasi non pompava più.

Mi piaceva un sacco dormire, era il mio rifugio da piccola guerriera sfaticata e affaticata dalla sua stessa vita. Ma quelle ore interminabili, appena trovavo luogo nei miei sogni più creativi, finivano per diventare minuti se non secondi. E così ogni mattina, mi trovavo a svegliarmi con lo stesso mood, con la stessa stanchezza se non di più, con gli stessi sogni e con la realtà che mi uccideva sempre più.

Essere un'universitaria, quasi povera, con una famiglia da mantenere non era affatto facile. Ma di sicuro non ero tra quelle che si lamentavano, anche se ammetto, l'ho fatto fin già troppo, nonostante questo riuscivo a cavarmela, portavo a termine i miei esami, riuscivo ad avere una vita sociale e fare anche la mamma quasi a tempo pieno; Clara, la mia sorellina era una stellina per me, o come amava farsi chiamare lei, piccolo glitter.

«Bea ci sei?» ripeté nuovamente la mia compagna di vita, Serena.

Afflitta dai pensieri, decisi solamente di annuire e sorridere dolcemente, mentre lei era già intenta a farmi nuovamente una richiesta.

«Dicevo, visto che oggi dovrei vedermi con Domenico no, e ovviamente salto l'uni, poi mi passeresti gli appunti?» disse lei, con sguardo raggiante e quasi mi supplicava in ginocchio.

«Certo Sere, ma oggi c'è la lezione su Kant. Non so quanto ti converrebbe prendertela, poi ti ritroverai a non capire davvero nulla» le dissi, quasi consigliandole di dare peso alle lezioni, a momenti sembrava non gliene importasse quasi nulla, se non del suo ragazzo.

«Stai forse dubitando della mia intelligenza B?» disse lei, scherzando sotto i baffi, anche se sembrava seria e quasi che se la fosse presa.

«No, certo che no era un consiglio S. Divertiti con Domenico» dissi per poi salutarla e dirigermi in classe.

Nemmeno il tempo di poter iniziare la lezione, che il professore ci avvisò di una probabile manifestazione da parte dei ragazzi contro la camorra e la mafia in generale, e che quindi la lezione sarebbe potuta saltare per i vari disagi che avrebbero creato e per la mancanza dei ragazzi in classe.

Sbuffai al pensiero di aver perso questa lezione, conoscendo il mio interesse per Kant. E nel mentre sorrisi al pensiero che per una volta, Serena avesse avuto fortuna così da non perdersi l'ennesima lezione.

Scostai i capelli dal viso e rimasi un po' in classe per terminare lo studio di storia romana, in silenzio, cosa che a casa mia non regna mai. Forse ero l'unica, che portava avanti lo studio in modo così veloce e quasi affrettato, ma se non toccavo libro per un giorno, mi saliva l'ansia e poi non mi passava mai.

Terminato lo studio, che era durato all'incirca una trentina di minuti, iniziai a sentire voci da megafoni che urlavano libertà e altre cose. Sorrisi al pensiero, amavo partecipare agli scioperi, ma purtroppo la gioventù non veniva mai ascoltata.

Avevo due ore di tempo, in cui potevo fare di tutto, per esempio tornare a casa e preparare il pranzo, portarmi ancora avanti con lo studio, fare commissioni varie, ma per una volta decisi di ricordare i tempi passati, quand'ero solo una ragazzina. Scesi velocemente le scale dell'ateneo e andai direttamente verso l'entrata, dove vi erano tutti i ragazzi che stavano manifestando.

C'era un caos tremendo, un sacco di cartelloni, voci e voci che urlavano di essere stanchi, ma qualcosa stuzzicò il mio udito più di qualsiasi altra voce.

In lontananza si sentiva solamente una voce, con una melodia grezza in sottofondo. E s'avvicinava sempre di più. Curiosa mi avvicinai ad una delle casse per ascoltare meglio.

"Ehi sì sto blocco mi ha fatto così ah,
non toccare me e la mia famiglia,
sto tranquillo che fumo vaniglia,
corro forte, siamo i primi in pista
giovane, giovane, giovane, fuoriclasse"

Immediatamente un coro si alzò, ripetendo le frasi di quella che sembrava una canzone. Era carina.

"Ma chi è Capo?" mi chiese una ragazza accanto a me, tremendamente eccitata e lo si vedeva dagli occhi.

«Sinceramente non ne ho la minima idea» dissi sincera continuando a guardare, quasi sbalordita, quella folla di ragazzi che urlavano ogni singola parola di quella canzone.

Stavo ammirando il più bel caos che avessi visto in tutta la mia vita.

"Plaza campione come Ronaldo
Scemo, mi stavo solo allenando"

«Oh merda è proprio lui» sentii urlare nuovamente la ragazza accanto a me.

«Perdonami ma come hai fatto a capire che fosse lui?» chiesi, nonostante non sapevo chi fosse.

«L'ha detto, sai nel verso di prima. Ha detto Plaza campione come Ronaldo, è il suo nome d'arte Capo Plaza» mi rispose gentilmente per poi ritornare a fotografare e fare stories su instagram.

"Manco ci credevo a questo
Non voglio morire presto
Bravo sì, ma mica fesso
Nel mio blocco buio pesto
Nuovo giorno, nuovo arresto
Io ci credo nel successo
Nella gabbia io non ci finisco
Muoio da leggenda come Jackson
Sì sto blocco mi ha fatto così
Trovi tutto dentro gli angoli
Fuori per i soldi facili
Sono a tavola coi diavoli"

«Muoio da leggenda come Jackson» sorrisi ripetendo quel verso, pensando a quando ascoltavo i giradischi di Michael con mio padre.

Poi, nuovamente un boato di urli e sta volta riuscì a capire il perché. I ragazzi avevano tutti lo sguardo verso l'alto. C'erano un paio di ragazzi, sopra il tetto dell'università. Quello più in mostra aveva una giacca verdognola, una maglietta bianca sotto e gli occhiali, ai miei occhi piaceva quel che stavano guardando.

«Ma quel ragazzo chi è?» questa volta fui io a riformulare un'altra domanda alla ragazza accanto a me.

Lei mi guardò nuovamente agitata e con il labiale mi disse di aspettare.

"Parla, parla ma noi siamo qui
Pure se il mio nome infangano
Plaza il nome mo' lo sanno, bro"

GLITTER | CAPO PLAZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora