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La domenica mattina mi ritrovai letteralmente in hangover, in un vortice che il mio cervello mi aveva nascosto, probabilmente per il mio bene.
Appena sveglia non sapevo manco che giorno fosse, so però che ieri avevamo fumato fino a diventare stupidi. Ripensai a ieri mentre l'acqua tiepida, si versava sulla mia pelle sotto la doccia e un sorriso affrettato, si formò involontariamente sul mio volto.

E come se non bastasse, partì Hangover di Gemitaiz, sembrava stesse parlando di me, di ieri, di quella fantastica notte che non credo potrò mai eliminare dai miei ricordi. Rimasi sotto la doccia per un po' con quella canzone di sottofondo a ripetizione, come se mi volesse dire qualcosa.

Dopo essermi sistemata, alzai le serrande aprendo i balconi per fare un po' di aria. Clara era rimasta a dormire da Serena, e appena sveglia non feci altro che chiamare sua madre e scusarmi con una voce mortificata, però lei subito mi tranquillizzò dicendo che non fosse un problema, ormai facevo parte della famiglia.

Il mio secondo pensiero quella mattina andò a Luca, era stato davvero carino con me ed io, come una maleducata non lo avevo neanche ringraziato. Ma ero troppo fatta per pensarci in quel momento, ma l'unica cosa di cui mi convinsi era che potevo tornare a fumare, magari qualche volta, con equilibrio, magari in sua compagnia. Solo perché avevo riso, mi ero divertita, sentivo i miei polmoni risperare quell'aria di Salerno piena di libertà.

Una notifica riuscì a chiudere il libro dei desideri che mi ero creata in testa, era il mio capo, aveva bisogno alla caffetteria e così velocemente indossai le prime cose che trovai davanti, letteralmente sembravo una scappata di casa, ma poco m'importava, visto che la faccia era messa peggio e avrebbero notato solo quello.

Arrivata alla caffetteria capì il perché avesse bisogno di me, c'erano un sacco di ragazzi ed è giusto che fosse così, insomma era una normale domenica mattina.

«Bea prima è passato un ragazzo, ti cercava» disse il mio capo, mentre preparavo la macchina del caffè.

«E di cosa aveva bisogno?» risposi io continuando a lavorare.

«Non lo so, alla fine ha lasciato stare perché non eri ancora arrivato e doveva andarsene, però mi ha detto di salutarti, ha detto proprio salutala da parte di Luca» disse lui ed io subito sbiancai in faccia.

Ah era lui.

«Non ha lasciato nulla? Un numero di telefono? Qualcosa?» chiesi sperando e pregando Dio che mi avesse lasciato qualche suo contatto.

«No, niente» disse lui, per poi incitarmi a continuare a lavorare e pensare solo a quello.

Sbuffai involontariamente, chissà di cosa aveva bisogno, stavo letteralmente morendo dalla voglia di saperlo.

E questa volta fu il telefono che squillava, a farmi tornare tra i viventi. La gente doveva assolutamente smetterla, d'interrompere i miei viaggi mentali.

Era Serena.

«Ehi B, dove sei?» mi chiese lei, appena accettata la chiamata.

«A lavoro, Clara sta bene? Scusami se non ti ho avvisata, me n'ero dimenticata, dovrò stare qui fino a sera» dissi in preda al panico, sentendomi nuovamente in colpa per averla infastidita.

«Finiscila Bea, Clara sta venendo da te, se non è un problema...» disse lei con voce calma.

«No certo, sicuramente si stava lamentando che le mancavo vero?» chiesi io ridendo al telefono.

«Esattamente» rise lei di gusto, Clara lo faceva sempre.

«Allora vi aspetto» dissi io, consegnando io caffè al cliente davanti a me.

«Eh Bea, in realtà sta venendo con Luca, è venuto a chiedermi come ti potesse contattare perché aveva bisogno di qualcosa, ora non so bene, non è un problema vero? Clara sembra al settimo cielo, canta la sua canzone da quando è arrivato» disse lei con nonchalance.

Ed io aprii lentamente la mia bocca, dopo la parola Luca. Ero sorpresa, non riuscivo nemmeno io a capire la mia reazione.

«Cazzo che merda, quella bambina è imbarazzata, dille di starsene zitta per favore. Comunque sì... è okay credo» dissi io pensando a tutte quelle volte, in cui quella bambina mi fece fare figure di merda.

«Non so quanto mi ascolterà» Serena rise dall'altra parte del telefono.

«Cazzo ridi, Dio... Ora devo andare, ci sentiamo S» dissi io per poi salutarla e chiudere la chiamata.

Dal quel momento in poi, la mia ansia iniziava a salire piano piano, ero in panico e non riuscivo a credere in un'immagine di Luca che prende a mano la mia piccola Clara, che la porti da me, mi stava quasi dispiacendo per lui, gli avrebbe fatto una testa piena.

E anche la mia dignità iniziava a salutarmi, perché quel piccolo glitter del mio cuore, sapeva solo parlare di me con le persone che non conosceva.

"Piccolo glitter, ti prego non dire nulla di scandaloso" fu l'unica cosa che pensò di dire la voce della mia coscienza.

GLITTER | CAPO PLAZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora