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Uscimmo dal bar e sembravamo una gang pronta a rapinare qualche banca o negozietto, come si sentiva sempre in tv. Ci dirigemmo direttamente nel parchetto, il parchetto cui ogni genitore sconsigliava di andarci e passarci e il perché lo scoprii presto.

«Qualcuno che mi aiuti a girarle?» chiese Luca, ed io mi precipitai subito da lui alzando la mano, come si faceva a scuola.

Mi guardò e sorrise, non fece commenti e non corrugò la fronte contrariato, si fidò ciecamente.

«Da quando non fumi?» mi chiese lui per poi leccare lentamente la cartina lunga, ed io ovviamente non evitai nessun dettaglio.

«Da un bel po', purtroppo» aggiunsi con un viso quasi malinconico ed un broncio si formò su di esso.

Lui sorrise stupidamente.

«Sei brava» commentò guardando la canna che avevo appena finito di girare.

Sorrisi per poi alzare gli occhi al cielo, ascoltando i commenti gratuiti di Serena.

«Devi sapere che Bea era una super fattona, è anche per questo che secondo me le manca qualche neurone» scherzò lei, mentre io le davo una gomitata.

«Mi piacciono le fattone» ammise il ragazzo, che ormai aveva già preparato un paio di canne posandole dietro l'orecchio.

Così iniziammo a fumare, posai il joint tra le labbra e chiesi d'accendere, e Luca approfittando del momento decise di avvicinarsi con l'accendino e di accendermela. E in quel momento, tra l'odore di erba, i suoi occhi che mi guardavano troppo, il primo tiro dopo tempo e tutta quella poca aria che c'era in mezzo a noi, credevo di diventare folle.

Dopo quei secondi che sembravano ore, si spostò, mettendosi praticamente davanti a me. E ciò che stavano ammirando i miei occhi, probabilmente era più bello della Pietà di Michelangelo. E non esageravo.

Lo vidi spostare i suoi occhi sui miei, e l'imbarazzo era ormai morto, perché decisi di stare al gioco e non distoglierli per prima. Infatti poco dopo lo fece lui. Iniziammo a parlare del più e del meno, dovevo ammettere che avevo bisogno di questo.

La prima canna era ormai finita, e non ero ancora sazia. E lui lo notò.

«Ti andrebbe di venire con me? - disse all'inizio per poi farmi allontanare un po' dai ragazzi, come se volesse dirmi qualcosa di proibito - Dicevo, vuoi fare ping pong dal purino che ho fatto di nascosto? Non ti vedo sazia» continuò lui.

«E me lo chiedi anche? - dissi guardandolo per poi prenderlo a braccetto - Ragazzi noi andiamo un attimo a... - e mi fermai per poi avvicinarmi al suo orecchio - e mo che c'iventiamo?» dissi per poi sorridergli in faccia.

«Eh... noi andiamo e basta, tanto che vi frega» disse lui per poi iniziare a camminare ed invitarmi a fare lo stesso.

Scoppiai a ridere, per poi girarmi e salutare gli altri con la mano.

«Prevedo un limone duro» riuscii solo a sentire questo commento da Serena, nonostante l'avesse detto a bassa voce.

«Poverini, staranno a pensare che stiamo a fare roba» disse lui, per poi sedersi sul primo scalino che trovammo dopo esserci allontanati.

Sorrisi, ma non risposi, cercando di evitare l'argomento.

«Vuoi accenderla tu?» mi chiese una volta preso l'accendino dalla tasca.

Annuii velocemente e subito lui me la passò, stesso schema, la infilai tra le labbra e lui nuovamente si avvicinò per accendermela.

E adesso, a causa del ping pong che avevamo deciso di fare, eravamo costretti a star vicini, e non mi dispiaceva. Oppure era l'erba a parlare.

Feci il primo tiro, per poi passarla velocemente a lui, mentre il fumo fuoriusciva e la mie papille gustative godevano per il gusto. Lui fece lo stesso, e per fare veloce, decise di mantenere lui il purino, così l'avvicinò alla mia bocca che si aprì, restando semiaperta, tirai e in un nano secondo era già tra le sue labbra. Continuammo questa scenetta, fino agli ultimi tiri.

«Cazzo» commentai facendo l'ultimo tiro, e lo vidi sorridere.

Notai i suoi occhi, appannati dal rosso. E sorrisi mordendomi il labbro, per com'era conciato e probabilmente per com'ero conciata io.

«Ti ha presa, lo vedo ma adesso devi dirmi tu se era buona o meno» disse con tono dolce.

«Era buona, mi devo davvero complimentare con te Plaza» risposi con il suo stesso tono.

Eravamo ancora nella stessa posizione, stessa, troppa vicinanza nonostante fosse già finita da un pezzo.

«Chiamami Luca, piccerè» e dalla sua voce riuscii ad intendere che fosse serio, nonostante fosse imbambolato a fissarmi.

«Coi reati nelle palle, cicatrici nella pelle» dissi canticchiando, e aveva ragione lui, m'aveva completamente presa, ed ero persa.

«Faccia sporca come trafficanti» disse ridendo, per poi accarezzarmi il viso come se ci avessi qualcosa.

Restammo fermi per quel breve tempo, che lui fermò, come se gli fosse appena accesa la lampadina.

«Cazzo devo andare, mi è venuta l'ispirazione - disse lui per poi iniziare a camminare - che fai non vieni? Ti riaccompagno dagli altri»

Annuii, nonostante fossi contraria.

Ma alla fin dei, stavo morendo dalla voglia anch'io di scrivere, mentre la mia mente ormai aveva deciso di affrontare i peggio viaggi.

Ma alla fin dei, stavo morendo dalla voglia anch'io di scrivere, mentre la mia mente ormai aveva deciso di affrontare i peggio viaggi

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GLITTER | CAPO PLAZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora