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Riuscimmo ad arrivare a scuola, sani e soprattutto salvi. Aveva guidato il più veloce possibile. Gli dissi che poteva andarsene, ma decise comunque di restare per poi riaccompagnarci a casa. Mi dispiacque vedere il faccino di mia sorella, quasi impaurito e stanco per l'avermi aspettata troppo. Non ero mai arrivata tardi. E non so se mi preoccupasse di più che il motivo fosse la droga o un ragazzo. Così la presi in braccio, mi riempì di domande come farebbe un giornalista ficcanaso o un avvocato nel giorno della sentenza. Ed io non feci altro che sparare bugie su bugie. Appena arrivammo al parcheggio, vide Luca da lontano e quasi mi ruppe un timpano, nel frattempo poi si girò a guardarmi male, come per dire che avesse capito la motivazione del mio ritardo. E preferii darle ragione, purché non scoprisse altro.

Luca era letteralmente strafatto ed io non ero di certo da meno, la botta stava salendo e, personalmente mi stava salendo anche l'ansia che non riuscisse a guidare.

«Sei sicuro di riuscire a guidare conciato così?» gli chiesi io, per poi sorridergli in faccia.

Clara non stava capendo nulla e si stava facendo anche mille domande, e lo percepivo dal suo sguardo curioso.

«Fidati, ce la faccio» mi rassicurò lui.

Ed io semplicemente mi lasciai andare alla fiducia. E ciò sembrava quasi folle.

Dimenticammo entrambi di ricordarci dei caschi, e la vita decise di scherzare con noi. Dimenticai di dirgli che in quella zona, c'erano molti vigili, poiché la mattina, aiutavano i bambini che andavano verso scuola, ad attraversare la strada.

Fummo fermati.

E le nostre furono solo imprecazioni.

«Buongiorno, le sembra il caso di girare senza casco e soprattutto senza mettere il casco alla bambina?» chiese il vigile a Luca, per poi squadrarmi.

«Buongiorno signore, deve davvero scusarci non succederà mai più. È stata solo una svista» disse Luca, per poi farci scendere dalla moto e tirare i caschi.

Misi il casco a Clara e poi l'appoggiai sul sedile della moto, per poi avvicinarmi a Luca ed il vigile.

«Ci scusi davvero tanto, è stata davvero una svista. E... oddio, Luca credo di star andando in ansia» dissi inizialmente indirizzando le parole al vigile, per poi abbassare la voce e guardare Luca.

«No ascolta, stai calma. Allora torna a casa a piedi, finirò io qui, d'accordo?» disse lui, prendendomi il viso con le sue mani fredde.

Ed era a causa mia se eravamo lì, non me la sentivo di lasciarlo solo.

«Sentite non ho voglia di rovinare la scenetta romantica, ma dovrei fare una multa» disse il vigile, e non credo di aver mai odiato uno sconosciuto così tanto.

«Ascolti sono stato fin troppo educato con lei, la ragazza non si sta sentendo bene, può gentilmente essere un attimino un normale essere umano?» disse Luca, stringendomi la mano, e guardando negli occhi l'uomo.

«Ora la domanda è lecita, l'avete voluto voi - disse l'uomo per poi, avvicinarsi a me e squadrarmi nuovamente - Signorina per caso è sotto effetti di stupefacenti?» continuò chiedendo lui.

La mia testolina ripeteva la stessa, identica, imprecazione. Cazzo, cazzo, cazzo.

«Ma sul serio? Le sembra strafatta? Abbiamo appena perso una persona cara, porca troia! Per questo siamo senza caschi e probabilmente abbiamo gli occhi lucidi» spiegò Luca ed io sgranai gli occhi, per poi abbassare la testa e stare al suo gioco.

Il vigile ci squadrò per un paio di secondi, sembrava ci facesse i raggi x.

«Mi dispiace ragazzi. Potete andare, chiudo un occhio per questa volta» disse il vigile mantenendo sempre un tono duro, ma i suoi occhi sembrarono pentiti.

Salimmo in sella e non appena ci allontanammo un po' tirai un sospiro di soddisfazione. Ce l'eravamo cavata, nonostante non mi fosse piaciuta molto, la scusa di Luca. Mi sentivo... non sapevo nemmeno io come mi sentivo realmente. Pregavo e speravo, soltanto che Clara non avesse sentito nulla.

Arrivati al portone di casa, feci proseguire Clara, rimanendo così sola con Luca.

«Non avresti dovuto inventarti quella stronzata» spiegai, cercando di evitare ogni contatto visivo.

«Cos'è avevi voglia di farti un anno in carcere per una canna? O peggio di essere arrestata davanti tua sorella?» ribatté lui, e la sua voce era piena di preoccupazione.

«Non è affatto questo, davvero. Ti ringrazio e anzi mi scuso, è tutta colpa mia, però potevi usare altre scuse» dissi io per poi appoggiarmi al muro.

«Non scusarti, non è colpa tua» rispose lui, sembra irritato dal mio discorso. Riuscii a rubare uno sguardo al suo viso, sembrava essere in sovrappensiero.

Restammo in silenzio per quei pochi secondi, che sembravano un'eternità, che mi uccideva dentro.

«Meglio che smetti con la mia roba» disse lui, per poi controllare con gli occhi, se ci fosse qualcuno attorno.

Ed io capii, soltanto quando prese la mia mano, la aprì lentamente, come se dovesse toccarla per l'ultima volta e ci appoggiò un joint. Io non feci altro che guardarlo, e sorridergli quasi con tristezza.

Cos'era quel gesto?

grazie per l'1k di letture! <3

GLITTER | CAPO PLAZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora