Capitolo 4

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La spada ricadde come una mannaia. La lama vergata di rune colpì con violenza la catena lanciando scintille. Un anello e il rosario vennero tranciati di netto.

Il pesante lucchetto trascinò a terra il suo carico sferragliante. L'uomo dal volto sfregiato spinse lentamente la porta che cigolò sui cardini. Tenendo alta la lanterna, la spada stretta in pugno, entrò in una stanza altrimenti buia. Uno spazio ampio e vuoto che doveva essere stato adibito a magazzino, ma che ora accoglieva un solo ospite.

La ragazza se ne stava rannicchiata addosso alla parete opposta alla porta, non fosse stato per la folta chioma sarebbe sembrata un cumulo di stracci lasciati in terra tanto era lacera e lercia la sua veste. Quando la luce inondò la sua prigione alzò il capo. I capelli unti ricadevano su un volto comune, solo vagamente grazioso, i tratti ancora addolciti dalla giovane età. Gli rivolse un sorriso speranzoso. «Mio buon signore, liberatemi...»

Si mosse rivelando nei movimenti un corpo esile e acerbo che sembrava navigare dentro all'abito troppo grande. Era giovanissima, ancora lontana dall'età da marito, poco distante da quella dei giochi e delle bambole di stoffa. «Chi sei?»

La fanciulla sbatté le palpebre, incerta. «Ve l'ho detto poco fa, prima che apriste la porta, sono Friederika Krüger. Piuttosto voi chi siete signore? Voglio conoscere il nome del mio salvatore.»

Saul Klinge ignorò la domanda mentre si addentrava nella stanza percorrendo un ampio arco che lo teneva a distanza dalla prigioniera.

«Esiste un unico salvatore,» mormorò, «e conosci il suo nome, bambina.»

La ragazzina fece una risatina. «Non importa se non volete rivelarmi come vi chiamate, sono certa che siete un uomo giusto, liberatemi e conducetemi via da qui.»

«Perchè non pronunci quel nome, bambina? Il nome del salvatore di noi tutti.»

L'espressione della piccola Krüger mutò dalla speranza al dubbio. «Perchè giocate con me? Non vedete in che stato sono? Liberatemi!»

Il cacciatore inspirò profondamente. La ragazza doveva essere stata lì per diverso tempo perché l'aria della prigione era impregnata dell'odore del suo corpo, del suo sudore, e puzza di escrementi e urina, mescolato al lezzo di uova marce e all'odore pungente della fuliggine.

Lasciò andare il respiro che tratteneva nei polmoni come una liberazione, poi afferrò la lama della spada con la sinistra e percorse con la mano tutta la lunghezza del filo. Il sangue scorse sull'acciaio. Klinge non disse una parola mentre il metallo apriva la sua carne. Osservava la ragazzina ammutolirsi e farsi attenta, gli occhi dilatati, le narici frementi. Poi puntò la spada a terra e girò lentamente su se stesso mormorando parole antiche. «Adonai-Elohim-Adonai.» E poi ancora «Yhaveh- Adonai-Elohim».

Non appena ebbe tracciato un cerchio scarlatto attorno a se stesso, tornò a osservare la ragazza che a sua volta lo osservava, ora con un sogghigno che rivelava una malizia molto più antica della sua età. Molto più antica di qualsiasi età.

«Qual è il tuo nome?» Le parole dell'uomo avevano il tono del comando.

«Ma io ve l'ho detto,» ridacchiò la ragazza, «sono Friederika Krüger, ma voi potete chiamarmi Frieda, come fanno tutti quelli che mi sono vicini.»

Klinge conficcò lo spadone nella terra battuta che costituiva il pavimento, e quello restò lì con l'elsa rivolta al soffitto. L'uomo si inginocchiò di fronte a quella croce guerriera e cominciò a salmodiare. «Pater noster vindicta bonum tuum...»

Friederika scoppiò in una risata aspra e sguaiata. «Oh un uomo di fede! Siete quelli dai gusti più rivoltanti!»

Lo schernì mentre le parole della preghiera si affievolivano fino a svanire, per poi tornare a crescere nuovamente: «Sicut Mater, curis et severitate...»

«Vieni mio buon signore, liberami e godi di me se è questo che ti piace.» La giovane si era allungata a terra, le catene che le serravano i polsi le impedivano di sollevarsi la veste, ma teneva le gambe allargate quanto bastava perché la sua offerta fosse più che un'allusione..

Klinge osservò per un momento quell'invito di indicibile oscenità e d'improvviso gli parve che dalla ragazza provenisse il profumo delle viole e delle campanule nel pieno della primavera. «Et ne nos indúcas in tentatiónem;» mormorò a denti stretti, «sed líbera nos a malo.»

Poggiò la mano sulla lama già insanguinata, e nuova linfa scese sull'acciao. Le parole uscirono dalla sua bocca con l'impeto di un comandante sul campo di battaglia: "Veni hostis hominis, ostensum est mihi..."

Allora la ragazza smise di ridere. Ascoltò quelle parole, poi iniziò a urlare, dimenandosi e contorcendosi. Il corpo della giovane, così fragile all'apparenza, venne scosso completamente dalle convulsioni, scattò come una marionetta e si inarcò fino a sembrare che si dovesse spezzare.

Le parole di Klinge finirono, la piccola Krüger lanciò un urlo folle e ricadde a terra.

La cosa che si rialzò non aveva più nulla di umano.

HEXENJÄGER - Il Cacciatore di StregheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora