Il sole tiepido penetra attraverso le ampie vetrate con una gentilezza innata e materna, e carezza i fiori mentre, ansiosi, fanno a gara a distendere le loro corolle verso quella luce.
I jeans di Paul, alle otto del mattino, sono già macchiati di terriccio scuro e le braccia esili già intorpidite dai carichi che ha spostato, ma il sole sfiora anche lui e Londra sta risvegliandosi e sarebbe davvero sacrilego, dopo tutti questi piccoli miracoli, iniziare la giornata senza sorridere.
Ben sta ancora dormendo nel suo appartamento, le pillole che è costretto a prendere lo rendono più sonnolento e malinconico del solito e quindi, "Che schifo essere vecchi".
Fra qualche minuto Paul salirà le strette scale a chiocciola e lo sveglierà con il rumore della caffettiera che gorgoglia sul fornello, e il sorriso spaesato e gentile che riceverà in risposta sarà l'ultimo, prezioso dono di quella mattinata.
Eppure, qualche passo in là c'è uno scampanio, e la porta si apre.
E a Paul basta drizzarsi in piedi per riconoscere il nuovo venuto, che lo squadra con un sorriso soddisfatto.
"Ancora tu" mormora, e neanche lui sa se quello è un tono irritato, speranzoso, o una semplice constatazione.
"Ti avevo detto che sarei tornato, mi sembra" gli ricorda John, infilando distrattamente le mani nelle tasche dell'elegante cappotto nero e oscillando sui talloni.
Non porta gli occhiali, stavolta, e in qualche modo Paul è restio a incontrare il suo sguardo, ora che non ci sono più barriere a dividerli.
"Sì, ma sembri un tipo che dice molte cose"
Il tono di Paul è quasi un'accusa, e John semplicemente gli sorride, "Lo sono, infatti" conferma, abbandonando la giacca sul bancone per il puro gusto di infastidirlo.
Le sopracciglia di Paul si corrugano, senza che si lasci sfuggire un commento a riguardo, ma John nota chiaramente le sue labbra stringersi per un breve istante.
"Devo lavorare" si limita a dire, voltandosi come se l'altro avesse improvvisamente smesso di esistere.
Si siede a terra, ignorando lo sguardo attento e curioso che sente fisso su di sé, e torna a travasare le primule arrivate con il carico delle sei.
Non è un lavoro che gli piace particolarmente, per dirla tutta, ma può vedere le radici delle piantine cercare la fuga attraverso i fori di drenaggio dei vasi in plastica nera, e sa di non avere davvero tempo da perdere.John si siede davanti a lui, a gambe incrociate, e per un po' lo osserva in silenzio.
"Posso aiutarti?" chiede.
"Non hai di meglio da fare?"
"Tu che ne dici?"
Paul sospira, "Si fa così".
John lo osserva mentre sparpaglia dei sassolini sul fondo dei vasi, per poi trasferire le primule, ancora con il terriccio ben stretto intorno.
"Ora riempi i bordi di altra terra mentre io tengo fermo qui"
La voce di Paul è più tranquilla e pacata, ora, e John obbedisce in silenzio, facendo attenzione a non sfiorare accidentalmente le sue dita mentre compatta la terra intorno alle piantine.
È un lavoro monotono, ma quasi rilassante, e ben presto John può abbandonare un po' della propria concentrazione."Stu e Astrid hanno fatto pace" dice "Pensavo ti avrebbe fatto piacere saperlo"
"Sì, ne sono contento"
Paul sorride, con dolcezza, e John sa che non è una frase di pura cortesia.
"Anch'io, Stuart è molto innamorato di lei. E Astrid di lui, ovviamente. Solo che ogni tanto escono fuori di testa, tutti e due. Non sanno stare insieme ma non sanno stare l'uno senza l'altra, sono cose da cui non esci"
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𝐋𝐄𝐒 𝐅𝐋𝐄𝐔𝐑𝐒 𝐃𝐔 𝐌𝐀𝐋 - mclennon
RomansaPaul è ormai rassegnato al fatto di aver dimenticato il linguaggio degli esseri umani, e la cosa non gli pesa. Se non che, presto, John si rassegnerà al fatto di dover imparare quello dei fiori.