1

105 12 7
                                    

Erano passate da poco le 9:00 del mattino quando le pesanti porte arrugginite si chiusero dietro di lui. L'aria fresca di fine ottobre lo svegliò come se fosse stato tutto un brutto sogno, anzi no. I brutti sogni si possono anche dimenticare, ventitré anni passati nella prigione federale di Phoenix, erano una fetta della sua vita troppo grande da digerire con della semplice aria fresca. Respirò quell'aria con una grande boccata, fino a farsi bruciare i polmoni. Aveva aspettato a lungo il momento della sua libertà ma non lo aveva immaginato così, nessuno era venuto a prenderlo, nessuno ad abbracciarlo ne tanto meno a baciarlo. Del resto se lo aspettava. In tutti gli anni trascorsi in prigione non aveva ricevuto nessuna visita. Nessuno gli aveva mandato della cioccolata, sigarette o cose del genere. Strinse tra le mani la busta di carta marroncina con dentro i suoi pochi effetti personali; qualche dollaro e delle monete, un vecchio orologio a molla ancora funzionante, una catenina d'oro e si incamminò. I vestiti erano ancora gli stessi degli anni prima, lavati e stirati dalla lavanderia del penitenziario; un paio di jeans scuri, maglietta bianca, scarpe consumate e giacca jeans. La fermata del bus che da Phoenix portava a Tucson era a poche centinaia di metri e non vedeva l'ora di farli a piedi. Avrebbe percorso l'intera tratta a piedi per sgranchirsi bene le gambe, poi pensò che vedere un ex detenuto vagabondare per le strade, non era una cosa buona per nessuno e decise di fermarsi sotto la pensilina in plastica in attesa dell'autobus. Si infilò l'orologio e lo allacciò, diede tre energiche cariche con la rotella, poi si infilò la catenina al collo. Tutto quel movimento e quella confusione della città lo stordirono come se avesse bevuto whisky liscio sotto il sole. Nella sua testa frullavano tanti, troppi pensieri. Il primo su tutti era cosa avrebbe trovato a casa dei suoi genitori. Vivevano in una piccola fattoria fuori Tucson con qualche maiale e delle galline da accudire, o almeno quella era la situazione che ricordava prima di finire dietro le sbarre. Sapeva che erano stati informati dalla polizia della sua incarcerazione. Poi di loro, non seppe più nulla. Forse morirono dal dispiacere di avere un figlio rapinatore aspirante omicida o forse semplicemente lo avevano dimenticato, continuando ad alzare culi di gallina per farsi uno zabaione caldo. Quale sarebbe stata la loro reazione? Cosa si sarebbero detti? Secondo i suoi calcoli oggi avrebbero avuto più di settant'anni o giù di li. Forse si sarebbero riabbracciati. O forse no. Il fischio dei freni del bus lo strappò dai suoi pensieri come si strappa un' erbaccia da un prato all'inglese. Scesero alcune persone e poco dopo salì, pagò il biglietto con i pochi dollari in tasca e prese posto accanto al finestrino. Tra un paio d'ore sarebbe giunto a destinazione.

Sotto l'ombra del cactusDove le storie prendono vita. Scoprilo ora