Capitolo 3

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//Nathan

Sono le 3 quando ormai finiamo di interrogare tutti gli invitati alla festa nella quale ha perso la vita Tracidia Davies.

Rileggo il referto nella speranza di trovare qualcosa di utile.

Il corpo è stato ritrovato nella cella frigorifera circa alle 11 di sera; la morte è avvenuta circa alle 10:45; causa del decesso: 13 ferite d'arma contundente inferte sul collo e sul petto, dissanguata.
Nessun segno di colluttazione.

Ciò fa pensare che la vittima conoscesse l'assassino.

Nessuno sembra aver visto o sentito nulla.

-Non abbiamo niente- mormora Stewart sedendosi davanti a me

-E' strano che nessuno nelle cucine non abbia sentito niente. La cella frigorifera non è a pochi metri?- gli domando

-Sì, ma è isolata ermeticamente e non solo- risponde

Sbuffo e mi passo una mano sugli occhi, inizio a percepire la stanchezza della giornata.

-Nessun sospettato- mormora poi

-Non ne sono così certo- replico prendendo in mano il fascicolo su Michael Hitchinson

-Il ragazzo?- chiede confuso Stewart.

-Nasconde qualcosa. La signorina Addens ha detto di averlo perso di vista per un po', subito prima che Tracy fosse stata ritrovata-

-Secondo la medesima teoria potrebbe essere stata la signorina Addens stessa- dice

Scuoto la testa. Il mio istinto mi dice che lei non c'entra nulla, sull'altro impiastro ho qualche dubbio.
-Non credo-
-Beh se è spietata come il padre- mormora

Mi mordo il labbro per evitare di commentare.
Mi riprometto di parlarci nuovamente.

-Non ne avrebbero avuto il tempo, secondo le nostre ricostruzioni. E poi non avevano neanche una traccia di sangue addosso e con quel macello che è stato fatto lo vedo poco plausibile.- riflette a voce alta

Annuisco.

Di una cosa sono sicuro: Margot Addens mi ha mentito, c'è qualcosa che non torna in tutta questa storia.

-Riprendiamo domani?- mi domanda

-Sì, andiamo a casa-

Mi alzo e raccolgo la giacca, assicurato di avere borsello e chiavi esco dall'edificio con i fascicoli sotto braccio e salgo in macchina.

Quando, quindici minuti più tardi, apro la porta del piccolo appartamento sento un lieve russare provenire dal divano.

Scuotendo la testa mi avvicino quanto basta per vedere Matthew che dorme con un cartone di pizza poggiato sul petto e il telecomando nella tv su una guancia.

Lo scuoto leggermente e borbotta qualcosa.

-Vai a letto coglione- gli intimo

-Fottiti Nate- risponde girandosi e facendo cadere la pizza

Dopo una lunga doccia mi siedo sul letto e non posso fare a meno di aprire due fascicoli. Michael Hitchinson e Margot Addens.

Riesco ad addormentarmi due ore più tardi con un pensiero fisso in mente: questi ricconi del cazzo mi manderanno al manicomio.


//Margot

L'auto di Michael si ferma davanti al palazzo dove abito e lo guardo.

Non ha spiccicato parola da quando lo hanno interrogato.
Tiene gli occhi fissi sulla strada e le mani strette intorno al volante.

Gli sfioro la guancia leggermente e si volta, ha gli occhi lucidi e il labbro inferiore gli trema leggermente.

-Vuoi rimanere da me?- gli domando

Tira su col naso e annuisce.

Entra nel parcheggio sotterraneo, scendiamo ed entriamo nell'ascensore.

Quando premo sull'11esimo piano non posso fare a meno di sospirare di sollievo.

Posso crollare, ma solo a casa mia.

-Vai pure per primo a farti la doccia- gli dico entrando nella mia stanza e prendendo dall'armadio un paio di comodi pantaloni della tuta e una maglia, che tiene da me in caso di necessità.

Glieli passo e dopo avermi lasciato un bacio sulla testa sparisce in bagno.

Tornando in salotto vedo sul divano una camicetta bianca, candida.

La prendo in mano riconoscendone immediatamente l'appartenenza e non posso fare a meno di ispirarne l'odore.
Così familiare, dolce, delicato.

Prendo un respiro profondo.

Non cadere Margot, non ancora.

Prendendo in mano il telefono vedo chiamate da mio padre e da mia madre. Lo spengo e lo lancio sul divano.

Riempio un calice con del vino e mi siedo sul terrazzo in mezzo all'atmosfera che tanto amo di New York.

Il rumore del traffico che non si attenua mai, le luci, i colori, le voci.
È tutto talmente frenetico da non dare alle persone la possibilità di riflettere, e non l'ho mai ringraziato abbastanza per questo.

Se mi fermassi, non riuscirei più a ripartire.

Michael compare un quarto d'ora dopo.

Il vino è finito e con esso qualsiasi tipo di distrazione.

Silenzioso si siede dietro di me sopra a quel buffo lettino arancione che aveva insistito per comprarmi qualche mese fa.

Mi circonda con le braccia e sento il suo profumo arrivarmi al naso.

Singhiozza e nasconde il viso tra i miei capelli.

Posso crollare, ma solo a casa mia.

E così faccio, tra le uniche braccia che mi abbiano mai concesso debolezze e paure.

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