3. Piume bianche e lenzula

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Il sole che filtrava attraverso le grandi vetrate dell'attico di Lucifer mi svegliò alle prime luci del mattino. Con la testa poggiata contro il suo petto, il suo respiro a cullarmi e il suo profumo ad avvolgermi, sembrava che niente avesse potuto togliermi il sorriso che sapevo di avere stampato in volto. All'inizio della nostra conoscenza lo avevo trovato spesso frustrante, con i suoi modi eccentrici e non convenzionali, ma era sempre riuscito a strapparmi un sorriso, anche nei momenti peggiori.
C'erano così tante incognite che ruotavano attorno a noi in quel momento, eppure ero serena. Avevo la sensazione che le cose sarebbero andate bene. Dovevano andare bene. Non volevo rovinare un così dolce risveglio con della negatività.

Mi accoccolai di più al suo fianco, accarezzando con la punta delle dita le linee definite dei suoi addominali e chiusi gli occhi. Avrei potuto abituarmi a quella vita; non sarebbe stato bello svegliarmi accanto a lui ogni mattina? Addormentarci insieme dopo aver fatto l'amore? Continuare a risolvere casi come partner? Sì, sarebbe stato esattamente ciò che desideravo.
Trixie lo aveva sempre adorato, sin da piccolissima. Dal primo istante in cui lo aveva visto era stata catturata da lui, lo considerava una specie di eroe e gli voleva un mondo di bene. Anche lei sarebbe stata al settimo cielo se le cose tra di noi avessero funzionato, ne ero certa.

Continuai a disegnare distrattamente cerchi con le dita sul suo addome piatto e definito, passando poi ad accarezzargli il petto che saliva e scendeva ritmicamente al suo respiro. Lo sentii muoversi lentamente e il braccio che aveva attorno ai miei fianchi si strinse più saldamente, costringendomi a poggiare il viso nell'incavo tra il suo collo e la spalla. Posai un bacio lì, la sua pelle era morbida e profumata.

Non era certo questo se si pensava quando si trattava del Diavolo. Nella storia lui era sempre stato il mostro con delle sembianze che erano tutto fuorché umane, ed io lo avevo visto anche così. Certo, niente corna né coda a punta, ma si avvicinava sicuramente all'immaginario che l'umanità aveva di lui. Era stato difficile per me accettare il volto demoniaco che avevo visto quando si era scontrato con Pierce - o per meglio dire Caino - ma ci ero riuscita.
Avevo fatto molti errori in quel percorso, finendo quasi per tentare di ammazzarlo per le mie stupide paure. Mi ero affidata alla Bibbia, al Vaticano, ma loro parlavano di un personaggio mostruoso senza averlo mai potuto conoscere, non avendolo mai incontrato e visto davvero. Io lo avevo conosciuto. Profondamente, totalmente. Era sempre stato sincero con me. Come poteva però la mia mente umana metabolizzare il divino in così poco tempo? Mi ero lasciata trascinare e, stando lontana da lui, quei racconti dell'orrore avevano cominciato a prendere forma e senso nella mia testa. Quando lo avevo rivisto però, ogni cosa era tornata in prospettiva e lo avevo visto davvero. Lui era sempre Lucifer, il mio scapestrato partner, una persona buona e sensibile, che mi aveva protetta in tante occasioni. Mai, mai ero certa, avrebbe potuto farmi del male. Mi sentivo così impotente però di fronte a lui. Io, Chloe Decker, al cospetto del Diavolo. Avevo lottato contro ogni dubbio per mesi, fino ad accettarlo completamente. Lo avrei voluto anche se avesse avuto le sue ali demoniache e la sua faccia da Diavolo. Quello che contava per me era ciò che aveva dentro.

"A cosa pensi?" Mormorò contro i miei capelli, sentivo il suo naso premere contro sul la mia cute.
"A niente", risposi d'istinto e chiusi gli occhi.
"Mmm", annuì lentamente, non sembrava molto convinto.
"Sai mi chiedevo che fine abbia fatto il Lucifer sfrontato e con la battuta pronta che ho conosciuto", gli dissi. Alzai lo sguardo per incrociare il suo, una scintilla di divertimento nei miei occhi. I suoi sembravano cupi, caldo color cioccolato che si perdeva nei miei.
"Si è preso una vacanza", rispose.
Soppesai le sue parole. "Sei arrabbiato con me?".
"No, Chloe", il suo tono era pacato, nessuna traccia di divertimento nella sua voce. "Non che mi piaccia essere ingannato, ma da un lato capisco perché l'hai fatto", continuò volgendo lo sguardo alla finestra da cui si intravedeva il sole sorgere sul panorama di Los Angeles. "Dall'altro lato però, sai bene che ho preso una decisione e questo non può cambiare le cose".
"Le cambia invece", risposi secca. "Ed è meglio che ti ci abitui, perché non ho intenzione di rimanere ferma a guardare mentre te ne vai ancora". Mi spostai dal suo petto aiutandomi con una mano. "Non sono un giocattolo che puoi posare in un angolo ogni volta che credi mi stia per rompere, sono rimasta ferma ogni volta che sei andato via, ti ho riaccolto ogni volta che sei tornato. Mi si è spezzato il cuore ma ti ho sempre perdonato. Sappi che questa è anche la mia vita e che ti piaccia o meno non ho bisogno che tu mi difenda. Non so quale complesso da supereroe tu abbia ma credimi, so benissimo difendermi da sola. E tu", lo puntai con un dito, "non hai nessun diritto di decidere cosa sia meglio per me. Hai sempre voluto il libero arbitrio, la possibilità di scegliere per te stesso ma mi stai negando questa cosa".

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