9. Una famiglia felice

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Durante la mattinata avevo chiesto a Lucifer di fermarsi a cena da noi. Lui aveva accettato di buon grado, offrendosi di cucinare per noi. Sapevo che era un bravo cuoco; mi chiedevo se dipendesse dai milioni di anni che aveva alle spalle.
Non mi fermavo mai davvero a pensare alla sua età, perché probabilmente quella cosa avrebbe rischiato di farmi impazzire. Lucifer esisteva praticamente da sempre, prima della creazione dell'uomo e decisamente da molto tempo prima che io potessi anche solo essere concepita. Era un concetto che mi risultava estraneo. Quando eravamo insieme non riuscivo a pensare a lui come qualcosa di eterno. Era solo Lucifer, un uomo, una persona.
Non c'era da stupirsi che per tanti annie avessi evitato di pormi il dubbio che lui potesse essere effettivamente il Diavolo. Non ne aveva l'aspetto. Avrei immaginato qualcosa di più... Vecchio? Non avrei saputo neanche io come definirlo. Nemmeno il suo aspetto quando mutava lasciava intravedere la sua vera età. Lui era semplicemente immutabile, bloccato nell'aspetto in un'età che avrebbe avuto fino alla fine dei tempi.
Mi sforzavo di non pensarci troppo spesso, ma non sempre riuscivo nel mio intento. Era inevitabile pensare a cosa sarebbe successo se avessimo deciso di restare insieme. Io sarei invecchiata ad un certo punto, ma lui no. Avrebbe scelto di rimanere con me anche quando avessi avuto ottant'anni e i capelli bianchi? Soprattutto, avrei sopportato di averlo al mio fianco, per sempre giovane? Erano domande a cui non avevo risposta, perché semplicemente avevo deciso di ignorarle più a lungo possibile.

Intorno alle sette di sera, Lucifer si presentò a casa mia con una busta della spesa in mano. Trixie gli corse subito incontro.
"Lucifer!" Esclamò abbracciandolo. Era cresciuta nel tempo, e da che gli abbracciava le ginocchia, in quel momento le sue braccia arrivavano a cingergli la vita.
"Uh, salve bambina", rispose Lucifer impacciato. Le scompigliò i capelli con la mano libera e mi si strinse il cuore.
Non era un gesto eclatante, ma sapevo che per Lucifer era un passo da gigante. Appena conosciuta l'aveva trattata come poco più di un cagnolino, ma in quel momento riuscivo a vedere l'affetto che provava per lei. Conoscendolo, si imparava a notare in lui tanti piccoli dettagli importanti che lo rendevano assolutamente speciale.
Quando Trixie lo liberò dalla sua morsa, lui si avvicinò a me e posò le labbra sulle mie in un bacio breve e leggero. Lasciò la busta sul tavolo e cominciò ad estrarne il contenuto, posizionandolo in modo da avere tutto a portata di mano. Mia figlia era tornata a guardare la TV, così io mi soffermai ad osservarlo.

Aveva lasciato la giacca su di una sedia, rimanendo in gilè e camicia, a cui stava arrotolando le maniche. Il pantalone, di un blu scuro come il gilè, lo abbracciava nei punti giusti, esaltando la forma rotonda e solida del suo sedere. Non ero mai stata tipo da guardare il culo degli uomini, non ci trovavo niente di particolarmente attraente, ma il suo era pura e semplice opera d'arte. Lo guardai mentre cominciava a tagliare dei pomodori, con movimenti calcolati e precisi.
Notai la bottiglia di vino che aveva portato, così estrassi due calici dalla credenza. Lucifer mi sorrise, guardandomi mentre aprivo la bottiglia.
"Fai attenzione, potresti tagliarti", gli ricordai, ridacchiando.
"Tendo a dimenticare che mi rendi vulnerabile, Detective", rispose lui.
Riempii i due bicchieri e gliene porsi uno, facendo poi battere il vetro del mio contro il suo. Ne presi un sorso.
"Sai, potrei abituarmici", mormorai, le labbra appoggiate al bordo del calice.
"A cosa? Fissarmi il sedere mentre cucino? Piccola pervertita", disse piano, ammiccante.
"Anche", ridacchiai. "Ad averti intorno, soprattutto. Cenare insieme, dormire insieme", feci spallucce. Cose che avrebbe fatto una normale coppia. Ma noi non eravamo mai stati normali, ovviamente.
"Sai, non dispiacerebbe neanche a me, soprattutto la parte del dormire insieme", mi fece l'occhiolino.
"E sarei io la pervertita?"
Lui rise, prendendo un sorso del suo vino, per poi tornare a dedicarsi alla cucina. Lo guardai maneggiare padelle ed ingredienti con fare esperto, quasi incantata. Io sapevo cucinare, o meglio me la cavavo, ma lui era sicuramente su un altro livello.

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