Minho aveva diciannove anni, e gli stereotipi adolescenziali li aveva vissuti sulla sua pelle quasi tutti. Era andato a feste che erano finite la mattina del giorno dopo, aveva saltato scuola per andare al mare, dire che aveva fumato era una parola grossa ma comunque in quei filtri ogni tanto si permetteva di indugiare, pieni di tabacco o erba non faceva granchè la differenza. Ma ad una festa in piscina non era mai andato. E quando Jeongin gli offrì di andarci, e di portare Felix –e Changbin di riflesso- accettò, entusiasta. E quando, una volta sciorinatagli la lista degli invitati, il fidanzato del suo migliore amico affermò che Jisung avrebbe difficilmente potuto mancare, si sentì ancora più leggero.
Alla fine sulle parole di Felix aveva riflettuto, e parecchio. Era persino tornato a casa sua a pranzo per più di quattro giorni di fila, preso dai suoi pensieri com'era, ma alla fine l'amico lo aveva letteralmente preso per un orecchio –lo faceva spesso, ultimamente, ora che ci pensava-, lo aveva portato a casa sua, aveva chiesto a suo fratello Chan di preparare il suo piatto preferito –il proprio, mica quello di Minho- e gli aveva chiesto se avesse qualcosa da dire. Lui gli aveva semplicemente detto che aveva avuto molto tempo per pensare, e non si era scucito ulteriormente. In realtà, aveva preso la decisione di far abituare il suo organismo ad Han Jisung, come se il ragazzo fosse stato una medicina invasiva: certamente gli faceva del bene, più di quanto fosse disposto ad ammettere a sé stesso, ma l'effetto della sua presenza lo scuoteva talmente tanto che al primo impatto lo lasciava stordito.
Così, piano, erano diventati amici. Le intenzioni dell'uno erano cristalline, quelle dell'altro erano fumo persino a lui stesso, ma, nonostante tutto, erano diventati il tipo di amici che pranzano l'uno con la comitiva dell'altro, che si mandano un messaggio non appena hanno finito i compiti così da poter uscire a noleggiare un film e vederselo sotto le coperte, indifferentemente a casa dell'uno o dell'altro; il tipo di amici che Jeongin canzonava senza pietà quando li incontrava per strada perché mancava loro ormai solo un'etichetta, e che Felix non considerava più tali, considerato come ogni tanto se ne uscisse con frasi come 'Preferiresti vestirti di bianco o di nero? Il nero è un classico, ma il bianco sugli sposi fa sempre un'ottima figura'. Jisung sorrideva lusingato, Minho si nascondeva dietro il suo braccio, non realizzando che in quel modo dava solo altro spazio a Felix per fantasticare.
Proprio la mattina della festa, il suo migliore amico aveva scherzato su come sarebbe stato meraviglioso se Jisung avesse usato la scusa della festa come pretesto per dichiararsi ufficialmente. Però, nonostante tutte le belle fantasie, gli sguardi sognanti e le guance rosse quando notava un particolare di Jisung che fino ad allora gli era sconosciuto, al solo pensiero Minho era impallidito come un cencio lavato. Non era certo possibile, non era ancora pronto, e non sapeva ancora se lo sarebbe stato mai. Aveva quasi in testa una mezza idea di lasciare le cose così com'erano: nessuna etichetta, nessuna responsabilità, loro che tecnicamente potevano fare quello che volevano potendo ancora godere della compagnia dell'altro. Suonava grandioso, ma un presentimento gli diceva che se avesse esternato le sue emozioni, Felix si sarebbe arrabbiato di nuovo. Perché lo sapeva che non era giusto nei confronti di Jisung eccetera, ma quello che voleva lui non contava proprio nulla?
Dal modo in cui rimase accanto a lui per tutta la sera, era evidente che per quel ragazzo lui contava più di chiunque altro. Non si era staccato un attimo, Minho aveva sempre avvertito il tocco fantasma delle sue dita sulla sua vita, lo aveva riempito di complimenti, anche se stava indossando una vecchia maglietta, sottile come un foglio di carta a causa dei troppi lavaggi, in previsione del tuffo che avrebbe fatto di lì a breve, e un paio di pantaloncini, ed era corso di qua e di là ad ogni schiocco delle sue dita. Quando gli aveva chiesto di allontanarsi dal bancone degli alcolici, dentro casa, per andare a sedersi sul bordo della piscina, aveva accettato senza battere ciglio. A quel punto, Minho cominciava a sentirsi in colpa.
-Non credere di starmi comandando, o cose del genere- scosse la testa Jisung, sorridendo, con i piedi che dondolavano nell'acqua, quando interrogato sull'argomento. –Mi piace fare quello che posso per renderti felice. È ridicolo, vero?- chiese, visetto abbattuto dopo aver visto l'espressione sulla faccia di Minho.
-Oddio, no!- si affrettò a rassicurarlo l'altro, con gli zigomi spruzzati di rosso, come gli succedeva spesso quando Jisung se ne usciva con frasi del genere. –È una cosa dolcissima da parte tua. Credo solo che sia un po troppo dal momento che non-
-Dal momento che non stiamo insieme, vero?- Minho aveva paura di assentire, ma Jisung non sembrava turbato. –Non mi hai mai detto che non mi volevi, hai sempre e solo chiesto tempo. Scusa ma non ho perso le speranze-.
-Presto- gli promise Minho, guardando lontano, al di là della piscina, al di là dei cancelli della proprietà in cui si trovavano. –Presto-. Si rese conto troppo tardi di quello che aveva detto, un istinto che sembrava davvero essere venuto da lontano e che non sapeva se lo rappresentava o no, perché un attimo dopo aver chiuso la bocca sentì attorno a sé il freddo dell'acqua. Dopo essere riemerso, si tirò indietro i capelli che gli erano caduti sul viso, e si premurò di indirizzare al ragazzo che stava ridendo a crepapelle sul bordo della piscina la sua occhiata più rude. –Mi hai buttato in acqua? Vestito? Sei impazzito?-
-Scusa, sono felice!- Jisung allargò le braccia, come a dire che posso farci, e in quel momento, davanti a lui lì così, sorridente, gli occhi ridotti a due fessure e i piedi magri scalzi, Minho, inebriato da quella sensazione, giurò di non aver mai visto nulla di più bello. Ma, dato che comunque stava rischiando un raffreddore per quella piccola merda, si avvicinò al muretto, lo prese per le caviglie e lo trascinò giù con lui. Quando riemerse, Jisung stava ancora ridendo. Più ubriaco di felicità di quanto non si sentisse Minho, evidentemente, nuotò verso di lui, gli serrò le braccia attorno e chinò la testa verso la spalla dell'altro e gli posò le labbra sul collo, lasciando piccoli baci e assaggiando il cloro sulla sua pelle.
Minho si irrigidì: non era la prima volta che si trovava in una situazione del genere, ma quella non era una situazione del genere, era Jisung ed averlo lì era tutto ciò che avrebbe mai chiesto alla vita-
-Grazie- mormorò Jisung sotto il suo orecchio –Grazie, Stella mia, amore mio. Grazie per avermi dato un'opportunità-.
Altro che sangue giovane, Minho sentiva di essere lì lì per esalare l'ultimo respiro. Gli portò una mano tremante tra i capelli e gli sfiorò la tempia con le labbra. –Grazie a te, Sungie-. Appoggiò la fronte su quella dell'altro e strizzò gli occhi, scuotendo la testa. Jisung lo strinse più forte.
-Lo so, va bene. Ancora no. Ancora un po-.
Presto, si giurò Minho. Presto riuscirò a dirlo. Non ancora. Ma presto.
Sissignore, 'ste sdolcinaterie le ho scritte davvero io.
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YOUNGBLOOD - minsung.
Short StoryDove Minho impara che il suono di un unico nome può essere più dolce della vodka che ama tanto. Anche se il nome è quello dell'anima gemella che sperava di non incontrare mai. Spin-off di Stella mia perché sono un'insopportabile perfettina. Può esse...